Roberto Saviano denuncia Maria Elena Boschi e il suo conflitto d’interessi per la Banca Etruria su “il Post” da: huffngtonpost

Pubblicato: 11/12/2015 12:51 CET Aggiornato: 4 ore fa
BOSCHI SAVIANO

Roberto Saviano denuncia – in un articolo pubblicato su “il Post” – il conflitto di interessi del ministro per le Riforme, Maria Elena Boschi, a proposito del decreto salva banche e del ruolo del padre, ex vicepresidente della Banca Etruria, proprio uno degli istituti di credito salvati.

Il celebre scrittore non usa giri di parole e scrive su “il Post”:

Perché la Banca sia fallita – dopo essere stata oggetto nei mesi scorsi di sospette speculazioni – è compito degli organi competenti accertarlo (sempre che non si applichino al caso moratorie altrove felicemente utilizzate). Ma il conflitto di interessi del Ministro Boschi è un problema politico enorme, dal quale un esponente di primissimo piano del governo del cambiamento non può sfuggire. In epoca passata abbiamo assistito a crociate sui media per molto meno, contro esponenti di terza fila del sottobosco politico di centrodestra: oggi invece pare che di certe cose non si debba o addirittura non si possa parlare. È probabile che il Ministro Boschi non risponda come se il silenzio fosse la soluzione del problema. Ma questo è un comportamento autoritario di chi si sente sicuro nel proprio ruolo poiché (per ora) le alternative non lo impensieriscono. E se il Ministro resterà al suo posto, senza chiarire, la colpa sarà principalmente nostra e di chi, temendo di dare munizioni a Grillo o a Salvini, sta tacendo o avallando scelte politiche inaccettabili.

Saviano poi fa un paragone con il metro utilizzato per altri governi. Per primo, gli esecutivi guidati da Silvio Berlusconi:

Proviamo a immaginare per un attimo che la tragedia che ha colpito Luigino D’Angelo, il pensionato che si è suicidato dopo aver perso tutti i risparmi depositati alla Banca Etruria, fosse accaduta sotto il governo Berlusconi. Tutto questo avrebbe avuto un effetto deflagrante. Quelli che ora gridano allo scandalo, gli organi di stampa vicini a Berlusconi forse avrebbero taciuto, ma per tutti gli altri non ci sarebbe stato dubbio: si sarebbero invocate le dimissioni. Dunque, cosa è successo? Come siamo passati dai politici tutti marci ai politici tutti intoccabili? Cosa ci sta accadendo?

Nel suo articolo su il Post, lo scrittore ricorda anche le dimissioni del ministro Josefa Idem dal governo Letta:

All’alba della Terza Repubblica un ministro del governo Letta, la campionessa Josefa Idem, sfiorata da una vicenda senza alcuna rilevanza penale (aveva indicato come abitazione principale ai fini della tassazione un immobile che non lo era), decise di dimettersi. Era iniziato un nuovo corso e alle elezioni politiche il Movimento 5 Stelle, con la carica moralizzatrice che gli è propria, aveva ottenuto un risultato impensabile: c’era la necessità di marcare la differenza con il passato. Il passato era la Seconda Repubblica e la sua impostazione liberale, non nel senso classico, ma in quello icasticamente definito da Corrado Guzzanti per il quale la Casa della Libertà era solo un luogo dove ognuno – e i potenti ancor di più – facevano quello che volevano, contro la legge o con l’ausilio di leggi ad hoc.

Saviano dunque si chiede:

Perché era giusto sotto Berlusconi chiedere le dimissioni, urlare allo scandalo e all’indecenza ogni volta che qualcosa, a ragione, ci sembrava andare nel verso sbagliato e tracimare nell’autoritarismo? Perché sotto Berlusconi non ci si limitava a distinguere tra responsabilità giuridica e opportunità politica, ma si era giustizialisti sempre? E perché invece oggi noi stessi ieri zelanti siamo indulgenti anche dinanzi a una contraddizione cosi importante e oggettiva?

Lo scrittore conclude così il suo articolo su il Post:

Del resto come si comunica contro gli hashtag del premier senza passare per gufi o nemici del travolgente cambiamento? Ormai si è giunti ad un passo dall’accusa di disfattismo. Imporre la furba dicotomia che criticare il governo o mostrare le sue forti mancanze sia un modo per fermare le riforme, che invece vogliamo, e per armare il populismo, verso cui nutriamo sempiterna diffidenza, è un modo per anestetizzare tutto, per portare all’autocensura.

Ma non cadiamo nella trappola: la felicità di Stato non esiste, è argomento che riguarda gli individui, non si impone, si raggiunge e noi ne siamo lontani. E la critica non è insoddisfazione malinconica, non è mal di vivere, non è spleen: e considerarla tale è quanto di peggio possa fare un capo di governo. Che il ministro Boschi risponda e subito della contraddizione che ha visto il governo salvare la banca di suo padre con un’operazione veloce e ambigua. Lo chiederò fino a quando non avrò risposta.

Edmondo De Amicis poesia : Gli Emigranti

GLI EMIGRANTI.

Cogli occhi spenti, con lo guancie cave,
Pallidi, in atto addolorato e grave,
Sorreggendo le donne affrante e smorte,
Ascendono la nave
Come s’ascende il palco de la morte.

E ognun sul petto trepido si serra
Tutto quel che possiede su la terra.
Altri un misero involto, altri un patito
Bimbo, che gli s’afferra
Al collo, dalle immense acque atterrito.

Salgono in lunga fila, umili e muti,
E sopra i volti appar bruni e sparuti
Umido ancora il desolato affanno
Degli estremi saluti
Dati ai monti che più non rivedranno.

[p. 228 modifica]

Salgono, e ognuno la pupilla mesta
Sulla ricca e gentil Genova arresta,
Intento in atto di stupor profondo,
Come sopra una festa
Fisserebbe lo sguardo un moribondo.

Ammonticchiati là come giumenti
Sulla gelida prua morsa dai venti,
Migrano a terre inospiti e lontane;
Laceri e macilenti,
Varcano i mari per cercar del pane.

Traditi da un mercante menzognero,
Vanno, oggetto di scherno allo straniero,
Bestie da soma, dispregiati iloti,
Carne da cimitero,
Vanno a campar d’angoscia in lidi ignoti.

Vanno, ignari di tutto, ove li porta
La fame, in terre ove altra gente è morta;
Come il pezzente cieco o vagabondo
Erra di porta in porta,
Essi così vanno di mondo in mondo.

Emigranti-italiani-su-un-bastimento-agli-inizi-del-900

Vanno coi figli come un gran tesoro
Celando in petto una moneta d’oro,
Frutto segreto d’infiniti stenti,
E le donne con loro,
Istupidite martiri piangenti.

Pur nell’angoscia di quell’ultim’ora
Il suol che li rifiuta amano ancora;
L’amano ancora il maledetto suolo
Che i figli suoi divora,
Dove sudano mille e campa un solo.

E li han nel core in quei solenni istanti
I bei clivi di allegre acque sonanti,
E le chiesette candide, e i pacati
Laghi cinti di piante,
E i villaggi tranquilli ove son nati!

E ognuno forse sprigionando un grido,
Se lo potesse, tornerebbe al lido;
Tornerebbe a morir sopra i nativi
Monti, nel triste nido
Dove piangono i suoi vecchi malvivi.

[p. 230 modifica]

Addio, poveri vecchi! In men d’un anno
Rosi dalla miseria e dall’affanno,
Forse morrete là senza compianto,
E i figli nol sapranno,
E andrete ignudi e soli al camposanto.

Poveri vecchi, addio! Forse a quest’ora
Dai muti clivi che il tramonto indora
La man levate i figli a benedire….
Benediteli ancora:
Tutti vanno a soffrir, molti a morire.

Ecco il naviglio maestoso e lento
Salpa, Genova gira, alita il vento.
Sul vago lido si distende un velo,
E il drappello sgomento
Solleva un grido desolato al cielo.

Chi al lido che dispar tende le braccia.
Chi nell’involto suo china la faccia,
Chi versando un’amara onda dagli occhi
La sua compagna abbraccia,
Chi supplicando Iddio piega i ginocchi.

[p. 231 modifica]

E il naviglio s’affretta, e il giorno muore,
E un suon di pianti e d’urli di dolore
Vagamente confuso al suon dell’onda
Viene a morir nel core
De la folla che guarda da la sponda.

Addio, fratelli! Addio, turba dolente!
Vi sia pietoso il cielo e il mar clemente,
V’allieti il sole il misero viaggio;
Addio, povera gente,
Datevi pace e fatevi coraggio.

Stringete il nodo dei fraterni affetti.
Riparate dal freddo i fanciulletti ,
Dividetevi i cenci, i soldi, il pane,
Sfidate uniti e stretti
L’imperversar de le sciagure umane.

E Iddio vi faccia rivarcar quei mari,
E tornare ai villaggi umili e cari,
E ritrovare ancor de le deserte
Case sui limitari
I vostri vecchi con le braccia aperte.

ANPI Catania sarebbe lieta se i docenti di letteratura e lingua italiana facessero conoscere ai loro alunni questa poesia

Diritti umani, una palermitana premiata da Amnesty International da. l’espresso

 

Daniela Tomasino e Porpora Marcasciano dell’Arcigay sono state insignite del riconoscimento. Da sempre lottano al fianco di migranti e transessuali
di EUGENIA NICOLOSI

Diritti umani, una palermitana premiata da Amnesty International
Daniela Tomasino e Porpora Marcasciano
A palazzo Cefalà, sede della Consulta delle Culture, Daniela Tomasino e Porpora Marcasciano vengono insignite del prestigioso premio Human Rights Defender. Il riconoscimento arriva da parte di Amnesty International, che una volta l’anno sancisce il valore dell’operato di un singolo nell’ambito dei diritti umani. Daniela Tomasino, membro del consiglio nazionale di Arcigay accosta da sempre al lavoro di sensibilizzazione verso i diritti della comunità Lgbt il volontariato nella Croce Rossa. Assistendo i migranti nel corso delle operazioni di sbarco e partecipando alle attività dell’Unità di strada in favore dei senzatetto, la palermitana è riconosciuta da Amnesty come simbolo dell’apertura a tutto tondo nella tutela dei diritti umani.

“Considero questo premio un incentivo, non un punto di arrivo – afferma Daniela Tomasino – , lo prendo come un impegno a continuare su questa strada. Mi impone una riflessione, inoltre, essere premiata insieme a qualcuno che vale moltissimo. Persone come lei hanno lottato quando la situazione era davvero difficile”. Si riferisce a Porpora Marcasciano, presidente del MIT, il Movimento per l’Identità Transessuale nato nel 1981, più volte coinvolta da Amnesty nel corso di incontri europei come rappresentante del movimento Lgbt italiano e premiata oggi per l’immediatezza della comunicazione e per la motivazione con la quale ha messo in luce la discriminazione nei confronti delle persone transessuali. È un riconoscimento per l’intero MIT, di transessuali voglio e devo parlare – sostiene commossa Porpora Marcasciano – una fetta di popolazione sovrastata dalla retorica e le cui problematiche vengono ignorate e spesso intese come capricci”. Sono circa 50mila i transessuali in Italia e, denuncia, sono “continuamente vittime di discriminazioni, campagne denigratorie, aggressioni e violenze”. Tomasino e Marcasciano continuano a raccogliere sfide straordinariamente complesse, “oggi omofobia e razzismo sembrano essere fuori moda tra i cittadini ma sono diventate strategie politiche riconosciute e riconoscibili – spiegano – , un collante tra diverse entità politiche che si ritrovano in una difesa di valori che noi in qualche modo minacciamo invocando diritti. I diritti non sono, per fortuna, in un numero limitato, possono essere goduti da tutti”.

Da nove anni l’organizzazione
internazionale per la tutela dei diritti umani consegna il premio Human Rights Defender a Palermo, città scelta grazie alla storica cultura dell’integrazione e per la presenza del centro di documentazione, promozione e tutela dei diritti umani che Amnesty ha intitolato al fondatore Peter Benenson.
Alla presenza di Giusto Catania, a consegnare il riconoscimento sono la responsabile regionale Liliana Maniscalco e il responsabile relazioni esterne Emanuele Marino.

I boss tornano al voto per il nuovo governo di Cosa nostra. Le cimici svelano un omicidio da: larepubblica.it

I boss tornano al voto per il nuovo governo di Cosa nostra. Le cimici svelano un omicidio

Blitz dei carabinieri a Palermo, 6 arresti. Smantellata la storica cosca di Santa Maria di Gesù. Il nuovo padrino veniva baciato in fronte. Come cambia la mafia siciliana, tra vecchi riti e nuova violenza: due mesi fa, un giovane è stato punito in modo eclatante. Mentre i sicari sparavano, i capimafia assistevano a distanza all’esecuzione. E in macchina canticchiavano
di SALVO PALAZZOLO

11 dicembre 2015

La campagna elettorale è stata breve, i candidati non erano molti. Ma è stata una campagna elettorale intensa a Santa Maria di Gesù, periferia orientale di Palermo: dopo tanti anni, i boss sono tornati al voto per eleggere il governo di una delle famiglie più antiche di Cosa nostra. Questo dicono le microspie disseminate nel ventre della città. Un segnale importante per le indagini dei magistrati della Direzione distrettuale antimafia: è davvero finita l’era del tiranno Totò Riina che tutto decideva e imponeva, la mafia siciliana riparte dalle vecchie tradizioni. Ed è purtroppo un segnale di riorganizzazione, nonostante gli arresti e i processi degli ultimi tempi. Due mesi fa, i padrini di Santa Maria di Gesù che sono tornati al voto hanno ordinato ed eseguito l’omicidio di un giovane, Mirko Sciacchitano, aveva la sola colpa di avere accompagnato in moto l’autore di una spedizione punitiva. Questa mattina, i carabinieri del Ros e del nucleo Investigativo del comando provinciale hanno arrestato 6 persone. I sostituti procuratori Sergio Demontis, Francesca Mazzocco e Gaspare Spedale hanno firmato un provvedimento urgente di fermo. Perché la cosca più vecchia di Palermo era tornata ad essere la più pericolosa. A guidarla, uno scarcerato eccellente degli ultimi tempi, Giuseppe Greco. Consigliere del capo, Salvatore Profeta, uno dei boss condannati per la strage Borsellino e poi scagionati. Era tornato in attività anche un altro degli scarcerati del caso Borsellino, Natale Gambino, pure lui chiamato in causa dal falso pentito Vincenzo Scarantino. Con l’eccidio del 19 luglio 1992 i boss di Santa Maria di Gesù non c’entravano niente, ma erano mafiosi a tutti gli effetti.

Gli investigatori li hanno intercettati all’interno di una sala da barba mentre discutono delle nuove votazioni. E si apre il dibattito, tra i fautori del voto palese e del voto segreto. Si discute di franchi tiratori e di alleanze necessarie per designare tutte le cariche all’interno del mandamento. Fra dichiarazioni di voto e rinunce alla candidatura: per Cosa nostra palermitana è il ritorno alle regole che raccontò il pentito Tommaso Buscetta al giudice Giovanni Falcone. Così, i mafiosi di Palermo provano a far rivivere l’organizzazione. Il capo del mandamento, Giuseppe Greco, veniva ossequiato con un bacio in fronte: nella nuova mafia i simboli servono a rinserrare le fila. E non erano solo nostalgici del passato: due mesi fa, i boss di Santa Maria di Gesù hanno deciso un omicidio nel giro di poche. Dopo il ferimento di una persona a loro vicina, la vendetta è arrivata severa. Con una gragnola di colpi in piazza. Così è morto Mirko Sciacchitano, aveva 29 anni. Mentre tre sicari gli sparavano, due dei vecchi padrini del clan assistevano a distanza all’esecuzione, all’interno di un’auto. C’era una microspia nella vettura. Si sentono i colpi a distanza, e uno dei boss che canticchia.

LE INTERCETTAZIONI
In una sala da barba, i carabinieri hanno ascoltato la riunione in cui si discuteva delle elezioni. “Quando parliamo di Cosa nostra, parliamo di Cosa nostra… quando dobbiamo babbiare, babbiamo”, diceva Natale Gambino. Che ossequiava il padrino, Giuseppe Greco: “Tu qua rappresenti a noialtri”. E chiedeva: “Ma per fare la famiglia che aspetti?”. I boss chiedevano a gran voce le nuove elezioni. “Ma io incarichi non ne voglio”, spiegava Gambino. “Io voglio essere solo diretto con te, sottocapo”.

“La
famiglia tutta dobbiamo fare per votazione”, diceva anche Salvatore Profeta. E il capomafia ribadiva: “Sì, così dobbiamo fare”. Gambino era il voto palese: “Io lo do aperto”. Soprattutto, per evitare altri contrasti in famiglia: “Ci ammazziamo come i cani, ma perché non lo possiamo fare ad alzata… ad alzata di mano?”. E Profeta ribadiva: “Allora, alziamo la mano e li contiamo”.

Milano, Sala non può attendere Fonte: Il ManifestoAutore: Luca Fazio

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La partita è a carte scoperte e i giochetti sono ormai alla luce del sole, eppure primi attori e comparse delle primarie del centrosinistra milanese continuano a «menare il torrone» su questioni di secondaria importanza (per i non nordici il linguista Tullio De Mauro traduce «scocciare con discorsi protratti e volontariamente infastidenti»). Tanto per girarci attorno, ieri pomeriggio, il Comitato promotore delle primarie si è riunito per valutare l’ipotesi di protrarre fino al 20 gennaio la possibilità di raccogliere le firme necessarie per partecipare alle primarie e quindi di spostarle alla fine di febbraio. Niente da fare: la coalizione ha deciso che si faranno il 7 febbraio come precedentemente stabilito, dunque senza concedere nulla a chi chiedeva un posticipo (vedi alla voce «diktat romani»). La raccolta delle firme, ne servono 2.500 per candidarsi, comincerà sabato e terminerà il 12 gennaio. Scampoli di orgoglio meneghino e il presidente del Consiglio se ne farà una ragione: si vocifera di una telefonata «distesa e collaborativa» tra il sindaco di Milano e Lorenzo Guerini del Pd.

Forse Giuliano Pisapia avrebbe preferito non fare questo piccolo sgarbo agli «amici» di Giuseppe Sala che avevano chiesto più tempo per una raccolta firme meno trafelata, ma non sono certo questi i problemi del sindaco che sta tentando disperatamente di garantire continuità ad una esperienza politica che è tramontata nei fatti. Da quando Matteo Renzi ha trasformato il Pd nel suo partito personale, il centrosinistra non esiste più. Tenerlo in vita solo a Milano sarebbe un miracolo e forse anche un’operazione destinata ad andare presto in frantumi. A meno che, come favoleggia il Corriere della Sera, dietro le quinte dello scontro Renzi-Pisapia, il sindaco di Milano non stia addirittura preparando la sua candidatura a palazzo Chigi.
Restando ai fatti, la situazione è questa: ci sono due quasi candidati, che continuano a rimandare la loro auto incoronazione, il manager dell’Expo Sala e la vice sindaca Francesca Balzani, il primo unto da Renzi e dal Pd milanese, la seconda tenuta per mano da Pisapia, e poi c’è un terzo incomodo. Per quei giornali (e tv) che se lo fossero dimenticato, si chiama Pierfrancesco Majorino, è ancora incredibilmente un uomo del Pd, si è candidato per primo a sindaco e sulla sua candidatura i milanesi di Sel hanno puntato tutto per garantirsi un qualche futuro. Perché sia una partita a due, Sala vs Balzani, il brutto anatroccolo delle primarie a questo punto dovrebbe farsi da parte, eppure sembra intenzionato a tenere duro nonostante non goda di sponsor molto potenti — e alla lunga potrebbe anche essere un vantaggio. Questo è il nodo, non la data delle primarie. Pisapia farà di tutto per farlo desistere e forse basterebbe un posto al sole di fianco a Balzani, poi dovrà preoccuparsi che i due prescelti non si facciano troppo male visto che cominciano a starsi antipatici con una certa naturalezza.

L’uomo che ha tenuto insieme Expo è da un anno che va in tv, Balzani invece ha appena cominciato a farsi conoscere. Piace, ma spiazza (e fa incazzare) i fan di Majorino che si sentono traditi dal loro sindaco che aveva promesso neutralità. La stessa accusa, in questo caso ridicola, viene rivolta a Pisapia dal Pd locale, come se il deus ex machina del «modello Milano» non avesse il diritto di dire la sua mentre il presidente del Consiglio fa di tutto per eliminare ciò che si muove alla sua sinistra. La preferita del primo cittadino in questi giorni si è distinta per un paio di brillanti battute, prima in tv da Lilli Gruber e poi a Radio Capital. Ha fatto finta di doverci pensare (la grana Majorino…) e ha cercato di non infastidire Renzi, «appoggia Sala? Per me sono leggende metropolitane». Poi con una battuta pop ha pareggiato il conto con Sala che la scorsa settimana aveva balbettato qualcosa sulla Milano da bere: «Se iniziassero a essere primarie quattro salti in padella, apri la busta con il candidato di partito e la scaldi nella pentola, poi ti ritrovi con gli elettori sconcertati. Io escludo che Renzi abbia posizioni che non vogliano spingere per primarie vere, aperte, inclusive e democratiche». Malizia, profumo di intesa.

Accordi per fare argine al Fronte nazionale Fonte: Il ManifestoAutore: Anna Maria Merlo

elezioni francia

Di fronte alla nuova conferma del progressivo avvicinamento al potere del Fronte nazionale, i partiti tradizionali cercano un’immediata linea di difesa per evitare una frana al secondo turno di domenica. Per una discussione in profondità sulle cause dell’avanzata dell’estrema destra, bisognerà aspettare più tardi, sempre che, passato lo choc, tutto non passi di nuovo in cavalleria.

Trattative a sinistra, quindi, fino alle 18 di ieri, ora-limite per presentare le liste per il secondo turno di domenica. In otto regioni (sulle 13 della Francia metropolitana), Ps, Europa-Ecologia-Front de Gauche (o Pcf) hanno “fuso” le candidature e trovato un’unità di facciata, malgrado le forti divergenze sulla politica economica del governo a guida socialista. Anzi, c’è persino l’ipotesi di poter evitare il peggio: la speranza è di poter vincere tra tre e sette regioni. La “fusione” è un’aggregazione attorno alla lista arrivata in testa al primo turno, cioè nel caso attuale sempre il Ps, fatta eccezione per la Corsica (dove il Ps ha preso meno del 5% e sostiene l’indipendente di sinistra Paul Giacobbi, che ha fuso la lista con il Pcf)). La destra ha “fuso” due liste concorrenti in Corsica, mentre altrove aveva già fatto l’unione tra Les Républicains (Lr) e il MoDem al primo turno, quindi presenta gli stessi candidati. Ma anche in questo schieramento, le acque non sono tranquille. Nicolas Sarkozy è sotto accusa, per una campagna troppo sulle terre dell’estrema destra e per la scelta al secondo turno del “né ritiro né fusione” per arginare il Fronte nazionale. Valérie Pécresse, che è arrivata in testa in Ile-de-France, rifiuta la presenza di Sarkozy o di altri leader Lr negli ultimi comizi.

L’accordo a sinistra è fallito solo in Bretagna, dove il Ps è quasi sicuro di vincere, dopo essere arrivato in testa al primo turno (34,9%) con alla testa il ministro della Difesa, Jean-Yves Le Drian, che praticamente non ha fatto campagna essendo occupato con i numerosi interventi militari esterni della Francia. Aveva la possibilità di accordarsi con Eeiv (6,7%), ma al Ps dicono che gli ecologisti sono stati troppo “esosi” nelle loro richieste, mentre i Verdi ribattono che non sono stati neppure interpellati e sono venuti a conoscenza dell’assenza di fusione solo dai media. La segretaria di Eeiv, Emmanuelle Cosse, accusa il “settarismo” di Le Drain e dei papaveri vicini a Hollande. Nell’Ile-de-France, dove è arrivata in testa la lista Lr di Valérie Pécresse, l’accordo era stato già raggiunto lunedi’. Ps e alleati sono al 40%, “siamo in posizione di vincere”, dice il candidato Claude Bartolone, attuale presidente dell’Assemblea nazionale. Visto che le liste sono su base dipartimentale, Eeiv e il Pcf hanno due teste di lista nella regione (Val-d’Oise e Val-de-Marne)e i posti sono poi stati distribuiti “su base proporzionale” rispetto ai risultati del primo turno (il tutto è reso ancora più complicato dalla parità tra uomini e donne candidati). Di fronte al rischio di sconfitta, di fronte a Lr arrivato in testa il 6 dicembre, anche nel Pays de la Loire è stato raggiunto un accordo: non facile, visto il braccio di ferro tra Ps e Eeiv sulla costruzione del nuovo aeroporto di Nantes a Notre-Dame-des-Landes. La base dell’accordo è l’impegno a ricorrere a uno “studio indipendente sull’ottimizzazione” dell’aeroporto attuale di Nantes, che potrebbe far cadere l’ipotesi di Notre-Dame-des-Landes (anche se, proprio in questi giorni, dovrebbero iniziare gli espropri dei terreni, dopo aver esaurito tutti i possibili ricorsi giudiziari). Nella regione Rhône-Alpes-Auvergne, dove è arrivato in testa l’esponente della destra dura Lr, Laurent Wauquiez, il presidente Ps uscente, il vecchio barone Jean-Jack Queyranne, ha raggiunto solo una “fusione tecnica” con Eeiv e il Pdg, cioè una fusione dei nomi dei candidati con il sistema proporzionale rispetto ai risultati del primo turno, ma senza nessun impegno, per la sinistra della sinistra, di partecipare alla giunta, in caso di vittoria.

Nelle regioni a rischio Fronte nazionale, dove la direzione del Ps ha deciso il ritiro puro e semplice della lista socialista e Manuel Valls ha invitato a votare per la destra Lr, il mugugno non si placa. Preoccupa l’auto-esclusione dai consigli regionali per 6 anni. In Provenza, di fronte a Marion Maréchal-Le Pen del Fn, Christian Estrosi (Lr) ha ieri promesso l’istituzione di un “consiglio territoriale”, per “permettere agli esclusi di esprimersi” e partecipare alla vita politica regionale: una mano tesa agli elettori socialisti e di sinistra, molto restii a votare per il rappresentante del partito di Sarkozy, che è sempre stato su posizioni molto a destra. Depressione a sinistra nel Nord-Pas-de-Calais-Picardie, di fronte alla vittoria annunciata di marine Le Pen, che ha portato al ritiro della lista Ps. Il Nord, bastione nel passato del movimento operaio, non avrà per 6 anni nessun consigliere di sinistra. C’è poi il caso controverso della regione Alsazia-Lorena-Champagne. Qui, il capo-lista socialista, Jean-Pierre Masseret, ha deciso di disobbedire alla direzione del Ps e, malgrado il rischio di una vittoria del Fn grazie a una triangolare, ha presentato la lista per il secondo turno. Ma poco alla volta i candidati hanno fatto defezione: se il 95% si ritira, la lista è automaticamente annullata.

In attesa di vedere se l’argine elevato contro l’estrema destra tiene al secondo turno, ci si consola con l’Oltre-mare: in Martinica e Guyana, il Fronte nazionale è assente e la sinistra è in testa, come in Guadeloupe, dove l’estrema destra è all’1,4%. Solo a La Réunion la sinistra è in ballottaggio sfavorevole, ma il Fronte nazionale è al 2,3%.

“Mare di nessuno”. Dona Liberta, la nave che cambia bandiera a seconda dei traffici del momento Autore: francesca marras da: controlacrisi.org

“Few places on Earth are as free from legal oversight as the high seas”, scrive Ian Urbina, giornalista del New York Times, su uno dei quattro reportage (The Outlaw Ocean series) che raccontano un mondo che in pochi conoscono: quello dell’abbandono dei migranti nei mari e dello sfruttamento del lavoro a bordo dei pescherecci. “Mare di nessuno” prova a spiegare questa realtà al pubblico italiano.
Ogni anno migliaia di lavoratori, tra cui anche bambini e migranti attirati sulle barche con il raggiro, vengono costretti al lavoro forzato sui pescherecci. Si contano tra i 2000 e i 6000 morti ogni anno per cause non ben identificate o per la mancanza delle norme di sicurezza. Si tratta degli stessi pescherecci che contribuiscono allo scarico nei mari di sostanze inquinanti e che si dedicano alla pratica della pesca, per lo più illegale, con fini commerciali, causando la scomparsa di una gran parte dei pesci predatori dalla fauna marina.

La compravendita delle bandiere
Benché i Paesi abbiano firmato diversi patti internazionali marittimi, che riguardano norme di navigazione, la sicurezza sulle navi, l’equipaggio e le attività marittime, scrive Ian Urbina, queste leggi sono deboli e facilmente aggirabili; questo è uno dei motivi per cui risulta così difficile perseguire legalmente questi pescherecci. Basti pensare alla normativa relativa alla bandiera, che permette alle navi di acquistare il diritto a utilizzare la bandiera di uno Stato, con l’obbligo di rispettarne le leggi nazionali; la falla di questo sistema consiste nel fatto che un’imbarcazione che vìola tali leggi può essere bloccata in mare solo dalle navi militari che portano la stessa bandiera e difficilmente i Paesi mandano pattuglie a perlustrare i mari al di fuori delle proprie acque nazionali; inoltre risulta poco costoso acquistare la bandiera proprio in alcuni di quei Paesi che non hanno sbocchi sul mare, come Bolivia e Mongolia, e che quindi non hanno possibilità di controllare che le imbarcazioni che portano il loro nome si comportino secondo norma.

“Dona Liberta, la nave mai uguale a se stessa”
“Dona Liberta” è uno dei nomi di spicco nella lista nera degli attori negativi che popolano i mari. Oggi non esiste più, almeno di nome, perché continua a circolare come “Sea Pearl”, la “Perla del mare” che attualmente fa parte di una compagnia cinese.
La Dona Liberta è stata costruita in Giappone nel 1991, utilizzata da compagnie inglesi e giapponesi e acquistata, infine, dalla compagnia Commercial S.A. nel 2004. È ritenuta responsabile del trasporto di merci illegali e del maltrattamento del proprio equipaggio. Una nave “trasformista” la Dona Liberta, che nel corso degli anni ha portato nomi diversi, Emerald Reefer, Sanwa Hope e Sun An e altrettante diverse bandiere: di Panama, delle Bahamas e di Kiribati, un’isola dell’Oceano Pacifico.

L’International Seafarers’ Union (sindacato internazionale marittimi) ha ricevuto spesso segnalazioni sugli abusi subiti, sulle precarie condizioni di lavoro dei marinai, sprovvisti anche di semplici abiti invernali per affrontare l’inverno nei mari della Norvegia, e sui falsi salari riportati sul giornale di bordo, ma mai pagati realmente all’equipaggio. Come si spiega che, nonostante i diversi capi d’accusa imputati alla sua condotta scorretta, compresi anche ingenti debiti e un sospetto di pesca illegale, la nave abbia sempre agito indisturbata?

La giostra delle responsabilità
Sembra essere molto complicato raccogliere testimonianze dei marinai vittime di violazione dei diritti umani nei mari e questo è uno dei motivi che rendono complicato avviare indagini contro le compagnie, infatti l’equipaggio cambia spesso i suoi componenti e le informazioni si disperdono all’orizzonte insieme alle imbarcazioni. Le indagini, inoltre, entrano in un vortice definito “merry-go-round” marittimo – la “giostra marittima” – tale per cui la responsabilità di indagare sulle attività illegali della Dona Liberta rimbalza da un’autorità all’altra: la Guardia Costiera degli Stati Uniti passa la palla all’Interpol, che a sua volta ribatte che “its role was mostly to pass information between countries” – il suo maggior ruolo è quello di far circolare le informazioni tra i Paesi.
Allo stesso modo i funzionari dell’International Maritime Organization (I.M.O.), un’agenzia delle Nazioni Unite, ritengono che sia compito dei Paesi proprietari di una bandiera controllare le navi che la utilizzano, mentre, di rimando, un funzionario preposto al Programma di registrazione della bandiera delle Bahamas ripone le responsabilità nelle mani dell’I.M.O.
Le diverse bandiere che hanno sventolato sulla Dona Liberta sono forse un modo per far perdere le sue tracce e sfuggire così ai controlli già di per se deboli e poco efficaci. Una nave “fantasma”, divenuta irrintracciabile lo scorso anno e riapparsa a novembre 2014 nel Golfo della Thailandia con il suo nuovo nome.

Dunque la debolezza delle norme internazionali e gli scarsi controlli rendono più facile per le compagnie pescare illegalmente, sfruttare i marinai a bordo e inquinare le acque senza essere notati. Spesso le imbarcazioni trascorrono tempi molto lunghi – talvolta anche anni – in mare aperto fuori dal controllo delle autorità, una situazione che consente di violare liberamente e indisturbatamente le norme sui diritti dei lavoratori marittimi.

Il lavoro forzato
Il problema del lavoro forzato sui pescherecci riguarda in particolar modo il mare del Sud della Cina e ancor più da vicino le imbarcazioni thailandesi non registrate dal governo della Thailandia, dove i migranti vengono sfruttati per sopperire alla carenza di marinai disposti a lavorare nel loro equipaggio. Migranti che, spesso, sono privi di documenti e letteralmente scompaiono una volta a bordo.

“L’intervento del governo è raro”, scrive Ian Urbina, nonostante il lavoro forzato sia proibito dalle Nazioni Unite. Il governo della Thailandia è stato accusato di non fare abbastanza per contrastare lo sfruttamento del lavoro nei mari; un esempio è dato dalle norme sul periodo che i pescherecci possono passare in mare, che sono meno restrittive rispetto a quelle di altri Paesi della stessa area geografica. Inoltre nel 2014 la Thailandia è stato l’unico Paese ad aver votato contro un trattato delle Nazioni Unite che prevede sanzioni contro i trafficanti, decisione rivista in seguito a una forte pressione internazionale.
Non solo le autorità thailandesi non effettuano i dovuti controlli sulle navi del proprio Paese, ma, secondo le Nazioni Unite e alcune organizzazioni per i diritti umani, gli stessi ufficiali prenderebbero tangenti dai trafficanti per chiudere un occhio sul trasporto di migranti da un confine all’altro, accusa avvalorata dalle testimonianze dei migranti stessi.
Si tratta degli stessi uomini che vengono sfruttati a bordo e costretti a precarie condizioni di lavoro e di sopravvivenza. Sono le vittime di crimini difficilmente perseguibili proprio perché spesso i pescherecci sono esenti da quelle norme internazionali che impongono un sistema di monitoraggio a bordo per verificare che le leggi e i diritti umani vengano rispettati.
Inoltre i controlli sono ostacolati non soltanto dalla mancanza di perizia ma anche dalla carenza di risorse, come denunciano le autorità di Thailandia, Malesia e Indonesia; per queste infatti risulta quasi impossibile, a causa della mancanza di mezzi, raggiungere i pescherecci che trafficano i mari lontano dalle coste e che, essendo irraggiungibili, diventano praticamente incontrollabili.

Le inchieste di Controlacrisi, “Mare di nessuno”: Sfruttamento e morte ai confini del mondo Autore: fabio sebastiani/francesca marras da: controlacrisi.org

“Few places on Earth are as free from legal oversight as the high seas”, scrive Ian Urbina, giornalista del New York Times, su uno dei quattro reportage (The Outlaw Ocean series) che raccontano un mondo che in pochi conoscono: quello dell’abbandono dei migranti nei mari e dello sfruttamento del lavoro, a bordo dei pescherecci.
Controlacrisi pubblica una inchiesta a puntate su questa realtà sconosciuta al grande pubblico. Grazie alle ricerche e al lavoro di selezione di Francesca Marras, giovane giornalista che ha tutta l’aria di volersi specializzare sul tema del lavoro internazionale, “Mare di nessuno” è il primo tentativo di focalizzare l’attenzione su una serie di vicende lontane dai riflettori del “mass media system”.

Abbiamo diviso tutta questa massa di informazioni in vari capitoli cominciando da uno degli aspetti più misteriosi e bizzarri, “la compravendita delle bandiere” (prima puntata), che in realtà nasconde reti di complicità e interessi davvero incredibili. Marras si è anche occupata della miserrima condizione dei lavoratori. E sono venute fuori situazioni che paragonarle allo schiavismo è in realtà renderle più accettabili alla nostra sensibilità. Si tratta di una filiera dello sfruttamento davvero sorprendente che può arrivare in qualche caso anche nei gangli delle multinazionali dell’alimentazione. Insomma, una inchiesta dai “toni forti”. Un segno, comunque, del fatto che la sete di profitto può spingere i capitali in qualsiasi luogo, anche remoto e inaccessibile. E che il lavoro umano deve essere continuamente umiliato anche quando è così necessario.

I mari e gli oceani vengono paragonati da Urbina al “wild west”, un mondo lontano in cui sembra non esistano leggi, in cui è possibile comunque violare le regole vigenti riuscendo a nascondere le prove, facendole sprofondare nelle acque e spesso insieme ai corpi di persone senza più un’identità. Migranti e marinai in cerca di migliori condizioni di vita, pescatori senza nome vittime di atti di pirateria, uomini sfruttati sulle navi per interessi commerciali ed economici.
Multinazionali degli oceani che sono in grado di utilizzare attraverso la violenza uomini e mezzi laddove ne hanno più bisogno, secondo la loro sete di profitto. Nel complesso, una “balena bianca” che divora vite umane, inquina a più non posso, distrugge ecosistemi e crea tassi di illegalità in luoghi “liquidi”, non governabili dalla legge.

Il traffico di “carne umana” è impressionante. Ogni anno migliaia di lavoratori, tra cui anche bambini e migranti attirati sulle barche con il raggiro, vengono costretti al lavoro forzato sui pescherecci. Si contano tra i 2000 e i 6000 morti ogni anno. Pescherecci della morte, quindi, coinvolti anche in traffici illeciti di tutti i tipi, con carichi e “scarichi” che, guarda caso, finiscono in mare, e contribuiscono sempre più a renderlo una pattumiera.

grafica di Alessandro Marras

Sistema sanitario, il pollice verso dei medici (sondaggio Anaao) che per il 16 dicembre hanno in programma lo sciopero generale Autore: redazione da: controlacrisi.org

Il prossimo 16 dicembre ci sarà lo sciopero generale dei medici. Saranno 24 di chiusura totale di ospedali e ambulatori, anche perché sono nel 18 le sigle sindacali che hanno trovato una convergenza sulla protesta. Un fatto davvero inusuale, quindi, che ci racconta di un settore, quello della sanità, in cui i medici sono diventati i più agguerriti critici del Governo. Il settore è messo in ginocchio non solo dai tagli ma anche dai troppi schiaffi che i camici bianchi hanno preso dal governo, a cominciare dal mancato rinnovo del contratto di lavoro e dal mancato rimpiazzo del turn over.

Anaao Giovani propone i risultati di una survey che ha voluto indagare la percezione della qualità ed equità del SSN e mettere a fuoco i principali problemi visti dalla parte di chi indossa il camice bianco. E i risultati confermano le attese: su un campione di oltre 1600 intervistati in tutta Italia, il 70% ritiene che la situazione sia molto peggiorata negli ultimi 5-6 anni e quasi la totalità (91,74%) è rassegnato al fatto che anche per il futuro non ci saranno miglioramenti. A questo si aggiunge che il 40% dichiara di aver dovuto dimettere un paziente condizionato anche dalle criticità organizzative, dal sovraffollamento dei reparti o dal rispetto della durata di degenza media.

E’ stato anche sondato il punto di vista del medico sulla necessità di riorganizzare l’offerta ospedaliera in relazione al tema della sicurezza. Ben l’83.74% non sceglierebbe e/o non consiglierebbe ad una parente di partorire in una struttura con meno di 500 parti/anno e ben l’83.15% preferirebbe per se stesso un pronto soccorso dotato di guardia cardiologica. Una risposta ancor più significativa dal momento che viene data da chi conosce bene i rischi e i limiti del sistema dove lavora.

La percezione delle diseguaglianze in salute è poi evidente quando ben il 60.92% dei medici sostiene di aver avuto pazienti che non seguono le cure per motivi economici. Concordemente a questo, più dei 2/3 degli intervistati non è stupito di fronte ai dati secondo cui l’accesso all’intervento per by pass-aorto coronarico risulta del 40% inferiore tra i meno abbienti di sesso maschile, rispetto ai benestanti. Le cause di questa mancanza di equità nell’accesso alle cure vengono attribuite per il 62,9% ad una carente organizzazione delle cure primarie territoriali e per 26.90% a condizioni culturali ed educative, in accordo con il fatto che mano a mano che si scende lungo la scala sociale tutti gli indicatori di salute peggiorano.

I protagonisti della sanità ritengono nel 65,85% delle risposte che i fenomeni di corruzione e abuso della posizione di potere siano un sistema diffuso nella sanità. Tale percezione risulta più elevata al sud (71,79%) e nelle isole (76,87%).

In tema di medicina difensiva, il 52% degli intervistati sostiene che, sia tra le cause principali degli sprechi di risorse in sanità, conseguente al preoccupante ed esponenziale aumento del contenzioso in sanità e ritiene quindi necessario un intervento normativo per limitare anche il ricorso ad esami e procedure.

Ma nonostante le attuali ed evidenti difficoltà del Sistema Sanitario Nazionale (Ssn), progressivamente depauperato da piani di rientro e tagli lineari, il 46.75% dà un giudizio più che positivo del nostro sistema “salute” e solo il 3.74% dà invece un voto pessimo. Disaggregando i dati per area geografica, i medici del Nord si dimostrano mediamente più soddisfatti della qualità del Ssn (57,8%), a fronte di un Sud molto più deluso (24,8%).

Il 59,2% degli intervistati è infine convinto che il sindacato si stia occupando di difendere l’equità in salute e debba continuare a farlo, opponendosi ai tagli e contrastando la crescita esponenziale del privato, anche accreditato.