Ciancio ed il vicesindaco di Catania Marco Consoli da:lurlo.info/it


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Nel 2008 l’iter burocratico per l’approvazione del Pua – Piano Urbanistico Attuativo – mette in agitazione chi vi ha interesse. L’attesa del parere favorevole da parte del Consiglio comunale di Catania dilata i tempi. Renzo Bissoli scalpita, non è da meno l’imprenditore-editore Mario Ciancio. Questi dialoga con gli esponenti politici del comune, già nella prima puntata della nostra inchiesta viene fuori questo dato, quando Ciancio parlando con Vito Riggio, presidente dell’Enac, gli domanda notizie sull’autorizzazione Enac, perchè “quelli del Comune” la stanno richiedendo per far passare il progetto prima che ci siano le elezioni.

C’è qualcuno che spiega, dall’interno, all’editore catanese le dinamiche legate all’approvazione, l’iter e gli uomini da cui dipende il destino del progetto Stella Polare.

Più di una volta nelle intercettazioni investigative riccorre un nome ed è quello di Marco Consoli, che dal 2008 al 2013 è presidente del Consiglio.
Consoli politicamente riesce ad essere sempre dalla parte del vincitore. Seppur giovane costruisce una carriera politica che lo porta costantemente ad essere vicino alla poltrona della presidenza regionale. Agli esordi politici compare nelle fila dell’Udc in rapporti con Totò Cuffaro, poi diviene il pupillo di Raffaele Lombardo. Poco prima delle elezioni comunali del 2013 abbandona il partito autonomista per entrare nei ranghi nel Megafano. L’attuale carica di vicesindaco nell’amministrazione Bianco nasce dall’accordo con Crocetta.

La telefonata tra Ciancio e Consoli – Mario Ciancio, l’8 ottobre del 2010, discute al telefono con Consoli del problema Catania. Pare che quest’ultimo sia in compagnia di un ingegnere. L’allora presidente riferisce a Ciancio che Zapparrata ha lasciato l’incarico alla provincia ed è tornato al Comune. Consoli e Ciancio quindi discutono del nuovo piano regolatore. Nel corso della conversazione Mario Ciancio parla di Bissoli a suo dire “sautafossi” che ha comprato alla Playa dei terreni. Ciancio racconta a Consoli che l’impreditore a capo della società Stella Polare ha fatto un accordo con quelli della fiera di Milano e ha tutte le carte pronte, quindi l’editore chiede al presidente del Consiglio perchè non venga sbloccato a Bissoli il progetto.

L’intervista di ConsoliMarco Consoli sta dalla parte del PUA, non lo ha mai nascosto. In una intervista rilasciata al Quotidiano di Sicilia datata 17 novembre 2009 parla di Piano Regolatore e del Piano Urbanistico Attuativo “Mi riferisco al Pua meglio conosciuto come Variante Catania Sud. Riguarda quella parte del territorio che interessa la Playa. È importante che il Consiglio possa determinarsi in quanto si è perso troppo tempo – afferma – circa 4 anni, per l’adeguamento del Pua”. Riferendosi ancora al Pua dichiara “È importante non soltanto perché poniamo fine e chiudiamo una questione che è stata in una fase di stallo ma daremo un nuovo aspetto alla Playa. Finora è una zona fruita solo nel periodo estivo ma, per la sua caratteristica turistico-ricettiva, può essere valorizzata per tutto l’anno”.

L’intercettazione tra Mario Ciancio e Angela Ciancio – Il 17 aprile 2013 il Consiglio Comunale di Catania approva la variante al Pua. La stessa sera Mario Ciancio e la figlia Angela ne discutono gioiosamente al telefono.

Mario Ciancio: Bella Mia
Angela Ciancio: Papà, parti felice
Mario Ciancio:  Domani sono molto più forte nella trattativa
Angela Ciancio: Non c’è dubbio, non c’è dubbio
Mario Ciancio: Non c’è dubbio mi viene da ridere
Angela Ciancio: Io domani mattina scrivo a tutti gli avvocati
Mario Ciancio: Scrivi a tutti gli avvocati… è bellissimo… ventisei, ventisei alla prima seduta l’unanimità, l’unanimità!
Angela Ciancio: Quello che auspicava, quello che auspicava Consoli
Mario Ciancio:
Angela Ciancio: Bene, benissimo
Mario Ciancio: Questo è importante, questo è importantissimo… vabbè basta poi mi commuovo, ciao bella tesoro grazie
Angela Ciancio: Ciao papà, ciao

A parte la grande felicità espressa dall’imprenditore per l’esito positivo della seduta del consiglio salta all’occhio l’osservazione della figlia Angela. Consoli, Marco Consoli, ancora una volta ha parlato con la famiglia Ciancio e dei loro affari, in particolare ha espresso la migliore delle condizioni perchè il Pua fosse approvato ovvero l’unanimità che tira fuori da qualsiasi ambasce il progetto. L’attuale vicesindaco, l’allora Presidente del Consiglio conosce l’enorme interesse di Ciancio nei confronti del Piano Urbanistico Attuativo e per tutto il tempo in cui se ne discute al consiglio è la voce interna al comune che notizia l’editore sul destino e le migliori opportunità che questo possa avere, quasi un amico se non possa dirsi un facilitatore.

Vi racconto chi è Rita, un angelo tra i bimbi orfani da: famiglia cristiana

 

29/11/2015  Il medico del San Raffaele Maria Antonietta Volontè ci spiega tra le lacrime la vita di Rita Fossaceca. il medico radiologo uccisa in Kenyia durante una brutale rapina. “Curava l’orfanotrofio come fosse la sua famiglia, l’ospedale come fosse il suo ospedale”

Rita Fossacea, medico di ForLife Onlus in missione in Kenya.

Rita Fossacea, medico di ForLife Onlus in missione in Kenya.

“Nel suo cuore c’era l’orfanotrofio e per lei questa doveva essere una grande famiglia”. Forse la sua grande famiglia, visto la cura che metteva nelle cose che faceva: l’attività in Africa e quella all’ospedale di Novara dove lavorava. Della dottoressa Rita Fossaceca, radiologo italiano ucciso in Kenya durante una feroce rapina, ci racconta la dottoressa Maria Antonietta Volonté, medico neurologo dell’Ospedale San Raffaele di Milano, che con lei è stata più volte a Mijomboni 20 chilometri da Malindi, dove Rita ha trovato la morte.   “Incredibile  la passione per le tutte le attività  che la vedevano coinvolta– racconta la dottoressa Volonté – curava l’orfanotrofio come fosse la sua famiglia, così come l’ospedale come fosse il suo ospedale”. Che fosse la sua famiglia lo si capisce anche dal fatto che Rita era entusiasta dei “suoi”  bambini perché i “bambini dell’orfanotrofio erano felici, come lei continuava a dire, ma soprattutto avevano prospettive di un futuro dignitoso, educazione e lavoro; questi  gli obiettivi di Rita per loro  – continua la dottoressa Volonté – li avrebbe seguiti finché non sarebbero stati indipendenti, proprio come una ‘grande famiglia’ e diceva sempre: staremo con voi  finché non vi sposerete”.

Nel “Villaggio del Fanciullo” sono accolti 20 orfani tra bambine e bambini, seguiti in tutti le fasi della loro vita, con grande attenzione al fatto che fossero ben vestiti, pur sempre nella sobrietà, che frequentassero la scuola, che fossero soddisfatti tutti i loro bisogni. E tra questi il diritto alla salute. “L’associazione ForLife Onlus è stata creata dal professor Alessandro Carriero nel 2007, primario del Dipartimento di Radiologia dell’ospedale di Novara, primario di Rita, con un inziale intento verso l’ educazione costruendo  e sostenendo scuole. Lei subito ha accolto con entusiasmo questa iniziativa e due-tre volte all’anno andava in Kenya per prendersi cura delle attività dell’associazione. Ma il sogno di Rita, poi maturato negli anni, era quello di costruire un orfanotrofio, sogno che si è finalmente realizzato nel 2012, e che oggi ospita 20 bambini. E nel 2014 è nata l’infermeria aperta a tutta la gente del villaggio. “ Quando è stata avviata l’infermeria – racconta la dottoressa Volonté – io ero lì insieme a tutto il gruppo dei volontari di Forlife.  Il nostro lavoro consisteva nell’affiancare l’attività del personale locale”.

L’infermeria, dopo pochi mesi, è stata distrutta da un incendio. “Si, ma la sua determinazione ha fatto si che l’attività fosse riavviata, così come è stata. Il lavoro di Rita, e il nostro che la affiancavamo nei brevi periodi di permanenza a Mijomboni,  era quello di verificare i bisogni, formare il personale, perché tutto fosse all’altezza del  servizio alla popolazione locale”.  E proprio nella casa di ForLife Onlus Rita ha trovato la morte. Era in compagnia del padre, della madre, di uno zio sacerdote e di due infermiere italiane. Sono state aggrediti durante una rapina selvaggia. Uomini incappucciati e armati di macete, bastoni e pistole hanno fatto irruzione nella casa. Casualmente anche la dottoressa Volonté era in Kenya in quei giorni, a Nairobi in occasione della visita di Papa Francesco. “Ci siamo scritte spesso durante la settimana scorsa;  come procedeva l’attività del “villaggio” e le attività a Nairobi in attesa del Papa.  Dopo avere visitato alcune “rescue home “ e case di accoglienza per ragazzi di strada, mi sono congratulata con Rita e con le altre volontarie per l’atmosfera di gioia associata a serena disciplina, ordine, igiene, cura dei particolari, assenza di trascuratezza che permeano il villaggio del fanciullo di Mijomboni e che raramente ho travato altrove”.

E proprio le volontarie di Forlife  che hanno subito, insieme a Rita,  quella violenza inaudita hanno raccontato alla dottoressa Volonté cosa è accaduto. “Sono entrati in casa 5 o forse 6 persone incappucciate e armate di macete, bastoni e pistole. Hanno cominciato a picchiare ferocemente tutte le persone. Rita, quando ha visto che stavano malmenando con una furia inaudita anche sua madre è corsa in suo aiuto e questo le è stato fatale: un colpo di pistola l’ha centrata al petto. E tutto per un bottino di poco più di 150 euro e le fedi d’oro”.

“Ricordare le stragi di ieri, fermare le guerre di oggi”. Il 12 dicembre in piazza a Milano Autore: redazione da: controlacrisi.org

“Il 12 dicembre 1969, una bomba scoppiava in Piazza Fontana. Una bomba, che facendo 17 morti e decine di feriti unita alla morte di Giuseppe Pinelli assassinato tre giorni dopo nella Questura di Milano, inaugurava la “Strategia della Tensione”, ovvero la costruzione sistematica di paura volta a criminalizzare i movimenti sociali e le richieste di diritti e libertà che in quegli anni riempivano le strade.Oggi, 46 anni dopo, vediamo come, in Italia e in altre parti del mondo, la strategia della paura, della criminalizzazione verso chi pretende diritti per un futuro e una vita migliore, non sia cambiata: dalle piazze xenofobe di Salvini & co, ai muri di Orban, alle sparizioni forzate in Messico, alle stragi ad Ankara, Suruç e Dyarbarkir.
Come 46 anni fa, i poteri politici, economici e militari hanno tutto l’interesse a bloccare ogni spinta e autorganizzazione dal basso che metta ulteriormente in crisi un modello economico globale basato sulle speculazioni, l’espropriazione di terre e diritti, lo sfruttamento di miliardi di persone e territori in tutto il mondo. Oggi come ieri, ciò che vediamo attuarsi non è altro che uno status quo che cerca di rimanere inalterato: alle destabilizzazione di intere aree del pianeta fatta dalla speculazione economica e dai bombardamenti della guerra di turno, si risponde con nuove guerre e vendite di armamenti; alle lotte dei contadini e delle popolazioni locali per l’autodeterminazione dei territori si risponde con il landgrabbing, l’espropriazione di terre, le coltivazioni terminator, lo sfruttamento; a quante e quanti si spostano dalle loro terre alla ricerca di un futuro più degno, rivendicando un diritto alla mobilità che sia di tutte/i a prescindere dal passaporto, si risponde con muri, eserciti alle frontiere e respingimenti… quando non direttamente con il bombardamento dei barconi.

Oggi la tensione e la paura sono esportate a livello globale per coprire la crisi economica che il neoliberismo stesso ha creato e per cui adesso cerca nuovi capri espiatori: diventano così il nemico da additare i kurdi in Turchia che combattono contro una discriminazione decennale e la repressione del governo Erdogan, i Palestinesi adesso colpevoli addirittura (in una totale riscrittura della storia) di aver istigato la Soluzione Finale di Hitler e l’Olocausto, mentre nelle strade della “democratica” Europa continua la caccia al migrante, all’uomo nero accusato di “rubare la casa e il lavoro”, alimentando così la guerra tra poveri.

Ancora, a 46 anni di distanza, vediamo come anche gli attori non siano poi molto cambiati: nel 1969 i fascisti armati da CIA e servizi segreti con la complicità della Democrazia Cristiana, oggi sempre i fascisti che siano di Casapound o della Lega di Salvini in Italia, del Front National della Le Pen in Francia, di Alba Dorata in Grecia, quando non sono direttamente coinvolti nel governo come in Ungheria, Polonia, Austria…

Lo stesso vale anche per il Medio Oriente e il Nord Africa, dove i servizi segreti di mezza NATO e le petromonarchie del golfo loro alleate hanno finanziato organizzazioni come Daesh e Al-Nusra per anni, armandoli, addestrandoli e utilizzandoli per i propri fini, salvo poi dover fare i conti con le mostruosità prodotte, come ha ricordato la strage di Parigi.

L’Europa bombarda in Africa e Medio Oriente da decenni e oggi si arma per difendere le proprie frontiere dai migranti che essa stessa ha contribuito a creare. Pur di fermare con ogni mezzo chi scappa da guerra e miseria, l’Europa cerca l’accordo con governi come quello di Erdogan, che Daesh non l’ha mai combattuto, ma in cambio bombarda i curdi che lottano contro Daesh.

Ricordare la Strage di Piazza Fontana, oggi come ieri, non è un semplice esercizio di memoria. È una scelta partigiana, di rifiuto della paura e della guerra tra poveri che ci vengono proposte, e di lotta per i diritti, per un futuro degno, libero e sostenibile per tutte e tutti.

Rifiutiamo la retorica del mostro sbattuto in prima pagina: ricordiamo bene Valpreda e Giuseppe Pinelli, il primo rimasto in galera innocente per anni, il secondo assassinato nei locali della Questura di Milano la notte tra il 15 e il 16 dicembre del 1969.
Ricordiamo anche Saverio Saltarelli ucciso un anno dopo mentre manifestava per affermare che Piazza Fontana fu una strage di Stato e che Pinelli era stato assassinato.

Scegliamo di essere ancora oggi nelle strade e nei quartieri della nostra città, tessendo reti solidali, antirazziste ed antifasciste; scegliamo di essere complici con quante e quanti in ogni angolo del globo resistono alla paura, alle speculazioni, alle dittature, alle guerre, proponendo pratiche di organizzazione dal basso, pratiche che rifiutano ogni confine, sia esso fisico o mentale”.

Licia Pinelli
Pia Valpreda
Claudia Pinelli
Silvia Pinelli
Memoria Antifascista
Ponte della Ghisolfa
Comunità Curda Milanese
Rete Kurdistan
ZAM Zona Autonoma Milano
Csoa Lambretta
CS Cantiere
Soy Mendel
Sinistra Anticapitalista – Milano
Partito della Rifondazione Comunista – Fed. Di Milano
Osservatorio Democratico sulle Nuove Destre
Amici e Compagni di Luca Rossi
Associazione Amici e Familiari di Fausto e Iaio
Associazione Per Non Dimenticare Claudio Varalli e Giannino Zibecchi
Associazione di Amicizia Italia – Cuba
Teatro della Cooperativa
Zona 3 per la Costituzione
CASC Lambrate
Rete Studenti Milano
Collettivo Bicocca
Collettivo Universitario the Take – CUT
Coordinamento dei Collettivi Studenteschi – CCS
LUME
Dillinger Project
Rojava Calling Milano
Spazio di Mutuo Soccorso – SMS
Comitato Abitanti San Siro
Adesso Basta
Fronte Palestina di Milano
PRC sez.Casaletti di Paderno Dugnano
Redazione di Lotta Continua
SI Cobas
Rete della Conoscenza
Unione degli Studenti
Link – Sindacato Universitario
Fronte Popolare
Centro Culturale Concetto Marchesi
ANPI Crescenzago
Comitato NO Muos milano
Parallelo Palestina
Associazione antirazzista Le Radici e Le Ali
Sondrio Antifascista
Leoncavallo Spazio Pubblico Autogestito
Sestodemocratica
Collettivo Berchet
Rete Milano senza frontiere
Collettivo Controvento
L’Altra Europa con Tsipras

Habemus R@p. La rete proletaria riprende il suo cammino. Ieri a Milano la fondazione Autore: fabrizio salvatori da: controlacrisi.org

E la R@p? La R@p rip@rte. E stavolta non si ferma… Ieri a Milano, nella sede regionale di Rifondazione comunista, è ripreso il percorso della rete del mutuo aiuto popolare. Quattro regioni presenti: Piemonte, Veneto, Emilia Romagna. Un’altra, la Toscana, assente giustificata. Ora c’è uno statuto e un luogo di incontro. Controlacrisi darà il suo contributo sostanziale offrendo una pagina per tutti i contenuti che serviranno sia per la comunicazione interna che verso l’esterno.

Rifondazione di quel “fare proletario” che sta cercando un suo posto dentro la crisi, quindi, senza smarrire l’obiettivo politico. Una posizione di resistenza, per affrontare le dure necessità quotidiane, ma anche per tentare di trasformare la “comunità del desco” in una classe mobilitata.
All’atto della fondazione hanno preso parte compagni e compagne che in qualche modo faranno da “veicolo” alle onlus territoriali che già agiscono nei vari territori. E’ un po’ lo stesso funzionamento dell’Arci, che è in realtà un coordinamento di realtà varie.
L’obiettivo numerico è alla portata e ora bisogna darsi da fare per raggiungerlo e consolidarlo. C’è tanto da fare, ma l’energia non manca.

L’esperienza di Lodi, presentata attraverso un video molto esplicativo, è lì a fare da guida. E così, è in qualche modo più facile articolare un percorso che parte dai Gas, ovvero dai gruppi di acquisto, e si snoda lungo l’esperienza di realtà che non solo riescono a creare anche qualche posto di lavoro ma arriva a coinvolgere le amministrazioni comunali, come è accaduto Lodi, soddisfacendo i bisogni di quelle fette di popolazioni che non hanno di che vivere. Persone che sono in povertà assoluta, circa il 6% secondo le statistiche ufficiali.

Insomma, occorre sapere articolare un circuito in cui la condizione materiale delle persone torni ad essere un bene pubblico, e collettivo. Da qui l’idea di un coinvolgimento dei comuni, ma soltanto dopo aver costruito una rete sociale ben oliata nel territorio.
A Lodi, come in qualche altro luogo in Toscana, l’esperienza è così avanzata che tra le carie “caselle” c’è anche un dentista sociale e un centro per l’assistenza psicologica. Insomma, si può arrivare piano piano al welfare.

Linke contro i piani di guerra tedeschi in Medio Oriente Fonte: il manifestoAutore: Sebastiano Canetta

Si moltiplicano i possibili obiettivi di ritorsione in vista del prolungamento dell’impegno della Bundeswehr in Mali annunciato dalla ministra della difesa Ursula von der Leyen

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Si chiama Sascha W, 34 anni, «il supporto logistico» della cellula di Parigi. E’ stato arrestato ieri dalla polizia tedesca a Magstadt su mandato della procuratore del Baden-Württemberg con l’accusa di traffico internazionale di armi da guerra. Le stesse utilizzate nel massacro di Parigi secondo Bild che pubblica la notizia insieme ai dettagli dell’operazione condotta con le teste di cuoio.

Il «sospettato» — già schedato dalle autorità in passato — è accusato di aver venduto on-line il 7 novembre due Kalashnikov di fabbricazione cinese e due Zastava M70 yugoslave agli «arabi di Parigi»; gli investigatori francesi sarebbero convinti che si tratti esattamente delle armi che hanno provocato la carneficina sei giorni più tardi, rivela il quotidiano al pari del ritrovamento di 15 fucili dopo la perquisizione a casa del trafficante.

L’arresto fa il paio con i blitz delle unità speciali della polizia federale effettuati anche a Berlino. Perquisizioni soprattutto nelle moschee e nei centri islamici dove ieri sono stati fermati un tunisino e un siriano «connessi» alla galassia dell’estremismo sunnita nella capitale; gli investigatori ipotizzano la preparazione di un attacco in una città nell’ovest della Germania. Non più segnalazioni dunque, ma «allarmi veri» conferma la polizia che dopo la bomba allo stadio di Hannover (mai ritrovata) respira lo stato di guerra che si manifesta anche ai berlinesi nel quartiere di Charlottemburg, con venti edifici sgomberati a causa di una sospetta auto-bomba collegata agli arrestati.

Una vera e propria «dark-net» messa sempre più sotto pressione e controllo dalle autorità mentre si moltiplicano i possibili obiettivi di ritorsione in vista del prolungamento dell’impegno della Bundeswehr in Mali annunciato dalla ministra della difesa Ursula von der Leyen. Sul tavolo della coalizione rosso-nera l’invio di nuovi soldati in appoggio (e progressiva sostituzione) delle truppe francesi in Africa, in attuazione di un piano messo in piedi due anni fa.

Uno sforzo bellico rinnovato ma non nuovo, perché la Germania fa la guerra in Mali ufficialmente da quasi tre anni. Il 28 febbraio 2013 il Bundestag ha incaricato per la prima volta il dispiegamento di soldati tedeschi nelle file della European union training mission per la formazione delle forze armate locali. Il mandato è stato prorogato fino al 31 maggio 2016 con l’impiego di 350 soldati inquadrati in una brigata mista franco-tedesca. L’obiettivo dichiarato è la vietnamizzazione del conflitto: «L’esercito maliano deve essere in grado di stabilizzare il paese sotto la propria responsabilità» spiegano i generali della Bundeswehr che non dovranno più occuparsi solo di difesa.

All’orizzonte anche del Parlamento si profila la possibile partecipazione diretta al conflitto in Siria con un appoggio ben più sostanzioso degli attuali ospedali di campo che prevede anche l’impiego dei vecchi Tornado. Dal punto di vista operativo Luftwaffe e Marine sono già in missione con il coordinamento della portaerei francese Charles De Gaulle e il prestito degli aerei cisterna. Una parte troppo attiva nella «guerra civile» siriana, secondo la Linke che si oppone ai piani di guerra tedeschi in Medio Oriente.

«Siamo contrari alla partecipazione della Bundeswehr in Siria. Sarebbe un’operazione senza obiettivi riconoscibili e fini prevedibili. Se la Germania verrà coinvolta crescerà la minaccia di attacchi terroristici nel Paese» riassumono nel quartier generale della Sinistra al Bundestag. Il problema, casomai, è la Turchia alleata soprattutto della cancelliera Angela Merkel che conta (anche) su Erdogan per fermare l’ondata di profughi che travolge la Repubblica federale. Per la Linke «il governo di Ankara è focalizzato sulla guerra contro il Pkk e del Pyd che in Siria e Iraq si difendono contro lo Stato islamico. Qui la Germania ha possibilità di influenza: deve dire, chiaramente, alla Turchia di fermare gli attacchi ai curdi».

Rossana Rossanda: Se la guerra possa essere ingiusta ma utile Fonte: sbilanciamociAutore: Rossana Rossanda

Vedo che la «guerra giusta» di Norberto Bobbio, contro la quale ci eravamo battuti, riappare travestita da guerra «utile», ma non è una gran trovata. Utile per chi? Ogni guerra è sempre utile a una delle due parti in causa, almeno a breve termine, quindi il giudizio di valore va sempre spostato sulla causa del conflitto, mentre il metodo di risolverlo con una guerra va sempre rifiutato. Ricordiamoci di come apparve la seconda guerra mondiale a Gandhi e a molte parti del mondo non occidentale; se si è contro la guerra, non è possibile una guerra giusta, la guerra va misurata non nei termini dei rapporti di forza che ha prodotto, ma va rifiutata sempre per la quantità di vittime che produce. Non è semplice, perché – per esempio – io non tendo a definire «ingiusta » la seconda guerra mondiale perché i milioni di morti da ambedue le parti l’hanno subita; eppure, per la mia generazione, sulla vita dei cittadini i governi non dovrebbero aver potere di vita o di morte (come nel caso della soppressione della pena di morte).

In verità, per le guerre questo potere gli è lasciato – e non dovrebbe esserlo – con l’argomento per cui Daesh non si potrebbe danneggiare o sconfiggere in altro modo, anche perché si tratta di un nemico diffuso e meno esposto di quanto non sia un paese con il suo stato, con un territorio preciso dove si dispiegano eserciti, fortificazioni, industrie militari, sistemi di trasporto. In realtà, anche Daesh è più presente e concentrato in certi territori e, soprattutto, i mezzi militari gli sono forniti nientemeno che dall’Occidente, al più attraverso la mediazione di un altro paese. Nel caso della Turchia questa mediazione non è necessaria perché nella coalizione internazionale contro Daesh nessun altro stato partecipa alla guerra contro i curdi, che per Ankara sono il principale nemico. Il lancio di un missile turco contro l’aereo militare della Russia, che è in guerra contro Daesh ma non contro i curdi, ne è un segnale minaccioso, tranquillamente sopportato dall’Occidente.

In verità, la guerra nel Medio Oriente ha presentato e presenta sovente, a partire dall’Afghanistan, diversi fronti, anche in parte nascosti, aspetto che non è l’ultima delle sue specificità; essa mette in rilievo le ragioni per cui il più vasto movimento pacifista dei tempi recenti le è nato contro. E non solo i civili ne sono regolarmente le vittime (a ogni attacco, specie aereo) ma, come in tutti i conflitti con una forte componente ideologica, le parti non corrispondono nettamente a un territorio ben definito. Insomma, il carattere particolarmente brutale e non giustificabile delle guerre è qui singolarmente evidente.

La Francia, non contenta del disastro senza via di uscita provocato in Libia dall’ignoranza di Sarkozy, reitera errore e vittime in Siria attirandosi addosso – a proposito di guerre «utili» – l’attacco di quella parte del Daesh come movimento che filtra anche sul territorio dell’Europa occidentale, figlio non soltanto (anche se in buona parte) del disagio sociale, ma di una disperazione più interiorizzata e profonda che ha portato sinora giovani francesi e belgi a concludere le azioni omicide attivando le cinture esplosive e togliendosi la vita. Non ci si racconti che attendevano di essere accolti nell’aldilà da centinaia di vergini vogliose, disperavano della vita in terra, senza nulla che le dia un senso umano o sovrumano. Manca nel nostro mondo il solo elemento in grado di sconfiggere Daesh, cioè un senso umano o oltre umano che non sia il successo nel denaro, che non a caso essi bruciano, o lo spettacolo inteso in senso proprio come distrazione dal reale.