Il tumore che minaccia l’Europa da: www.resistenze.org – osservatorio – europa – politica e società – 24-05-15 – n. 545

 

Higinio Polo, La vecchia talpa | rebelion.org
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

04/05/2015

Un anno dopo la caduta del presidente Yanukovich e il trionfo del colpo di stato a Kiev, l’Ucraina continua ad essere coinvolta in una guerra civile che Poroshenko aveva promesso di vincere in un mese. È difficile trovare uno scenario in cui l’irresponsabilità occidentale sia così grande come in Ucraina. In un anno, i responsabili della diplomazia europea e statunitense sono passati dallo spingere le proteste e dal finanziare i gruppi di teppisti e provocatori, cui distribuivano biscotti a Maidan, come fatto da Victoria Nuland, assistente segretario del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, al contemplare impassibili una guerra civile che ha già causato migliaia di morti nell’est del paese e che può evolvere in una guerra europea di maggiore portata se non si consoliderà la via diplomatica fissata negli accordi di Minsk.

Tuttavia, l’assenza degli Stati Uniti ai negoziati e il loro persistente desiderio di alimentare gli scontri procedendo ad armare il governo di Kiev e a fornire assistenza alle sue truppe per propagare una guerra che potrebbe coinvolgere la Nato, hanno aperto una pericolosa ferita in Europa. Obama, il Pentagono e il Dipartimento di Stato discutono sulla portata del loro coinvolgimento nella guerra, perché, nei fatti, già vi partecipano indirettamente avendo inviato consulenti, spie e mercenari. Victoria Nuland, inoltre, non ha avuto remore a incontrare Andrij Parubij, il dirigente neonazista che ha organizzato Maidan a Kiev con la complicità della Cia nordamericana e della Aw [Agencja Wywiadu] polacca e che più tardi è diventato capo del Consiglio di sicurezza nazionale del governo sorto dal colpo di stato. Abituati alla manipolazione e alla propaganda, Washington e il quartier generale della Nato a Bruxelles, assistiti da un esercito di giornalisti senza scrupoli, hanno sollevato una gigantesca montagna di menzogne, che riporta alla mente altre guerre come quelle della Jugoslavia e dell’Iraq, sapendo che la memoria dell’opinione pubblica è debole e che alcune bugie ne coprono altre. Perché l’incendio dell’Ucraina ha una logica che acquista un senso quando si tiene conto delle guerre iniziate dagli Stati Uniti nel corso degli ultimi anni in Jugoslavia, Afghanistan, Iraq, Siria, Libia, Yemen.

Sotto Yanukovich, la corruzione dilagante era moneta corrente e strangolava il paese, ma tutti i passi compiuti finora, dal compiacente, con Washington, governo di Poroshenko e Yatseniuk, sono andati nella direzione del disastro. L’Ucraina retta da Poroshenko è oggi un paese grottesco dove comandano i capitalisti della nuova oligarchia creata, come ieri, a partire dal furto, ma anche i teppisti e gli assassini, i comandanti dei gruppi armati di strema destra che non esitano a sbarazzarsi di qualsiasi persona, i ladri delle risorse del paese e gente che non sembra essere sana di mente. Non è un’esagerazione: basta guardare i personaggi che frequentano il Parlamento e i ministeri, armati, accompagnati da picchiatori fascisti che non esitano a tirar fuori bombe a mano dalle tasche. Sebbene divisi in fazioni, condividono con solidarietà il fatto di essere i beneficiari del colpo di stato e i protetti degli Stati Uniti. Yakseniuk (complice e socio di Igor Kolomoyskyi, uno dei principali capitalisti ucraini e organizzatore dei battaglioni fascisti) è uno degli uomini di Washington a Kiev. Poroshenko oscilla tra l’avvicinamento a Berlino e la sottomissione agli Stati Uniti e come Turchinov e il resto dei governanti, sguazzano entrambi nella corruzione e nell’incompetenza che ha affondato l’economia del paese, mentre lanciano richieste di aiuto a Washington e Berlino e cercano di convincere il mondo che la Russia è un pericolo. E’ significativo che tutti utilizzino una retorica patriottica che si rifà ai tempi di Stepan Bandera, nascondano i fatti di Volin e Babi Yar e si disinteressino dei simboli e della lotta contro il nazismo durante la Seconda guerra mondiale. Non esitano nemmeno a servirsi delle più grossolane bugie, fornendo, ad esempio, a Washington fotografie scattate nella guerra in Georgia nel 2008… come prove dell’invasione russa in Ucraina, lasciando il senatore degli Stati Uniti Jim Inhofe in una posizione imbarazzante.

Durante l’anno trascorso dal colpo di stato, la corruzione non solo non è stata bloccata, bensì è aumentata, aiutata dal caos della guerra e ad essa partecipano tutti i dirigenti di Kiev: è addirittura la stampa ucraina a scrivere che Poroshenko ha fatto enormi profitti con le sue aziende e che non ha esitato a mentire e ad approfittare delle strutture statali per arricchirsi ancora di più. Così, l’economia ucraina, che già attraversava una grave crisi, è stata praticamente distrutta: molte fabbriche hanno smesso di funzionare. E’ abituale che non si paghino i salari in molte aziende, che le pensioni siano miserabili e le condizioni di vita sempre più dure, ma il governo golpista sa che forse non avrà un’altra opportunità come quella attuale e i suoi membri rubano a man bassa. E la guerra e la paura silenziano molte bocche.

Poroshenko ha riconosciuto che furono le sue forze a rompere la prima tregua di Minsk, consigliato senza dubbio dai servizi segreti nordamericani, confidando in una rapida sconfitta dei ribelli del Donbass, ma l’aiuto russo con armamento e rifornimenti alle milizie ha sventato l’offensiva e forzato Poroshenko a firmare gli accordi di Minsk II. Se durante la guerra fredda i confini tra destra e sinistra, tra sostenitori e oppositori degli Stati Uniti erano chiari, oggi la situazione è più confusa. Nel Donbass sono accorsi volontari provenienti da molti paesi, benché in numero ridotto, per aiutare le milizie. Dai comunisti e dai sostenitori di sinistra fino ai nazionalisti e ai membri di estrema destra, da tradizionalisti cosacchi ai sostenitori della solidarietà pan-slava che vedono nella Russia la sorella maggiore, anche se è evidente che il riferimento antifascista e antimperialista è dominante tra le forze ribelli, così come la simbologia fascista e nazista è molto presente nella Guardia Nazionale ucraina e nelle truppe che combattono con Kiev, integrate anche da mercenari e avventurieri fascisti. Così, il gruppo neonazista russo Restrukt (Ristrutturazione) supporta il partito fascista ucraino Pravii Serktor, circostanza che ha portato alcuni membri dei servizi di sicurezza ucraini ad accusare il Fsb (Servizio di sicurezza federale) russo di infiltrare membri di questa organizzazione (insospettabili e che sono stati comperati) nel battaglione Azov (creato dal governo golpista di Kiev e finanziato dall’oligarca Igor Kolomoisky) al fine di ottenere informazioni. Si tratta di uno tra tanti esempi, simile a quanto stanno facendo i servizi segreti occidentali.

Una parte del nazionalismo russo supporta, in funzione pan-russa, i ribelli del Donbass. In questa galassia si trovano gruppi neonazisti, mentre gruppi di estrema destra simpatizzano anche con i gruppi fascisti di Maidan a Kiev, e alcuni gruppi ceceni, con motivazioni opposte, lottano con entrambe fazioni. Allo stesso modo, gruppi di serbi sono accorsi per sostenere i ribelli dell’Ucraina orientale rifugiandosi nell’identità slava, che ritengono sia minacciata dall’Occidente, come essi stessi constatarono nelle guerre jugoslave e addirittura sono accorsi gruppi di destra ungheresi che sognano di “recuperare” territori rumeni e ucraini per creare una Grande Ungheria… che necessita dell’imprescindibile requisito della partizione dell’attuale Ucraina. Tuttavia, questi gruppi conservatori sono molto minoritari tra i miliziani del Donbass. Anche alcuni gruppi russi parlano di “scontro imperialista” tra Washington e Mosca per chiedere una rigorosa neutralità. Per rendere la situazione più confusa, la lunga mano dei servizi segreti, la Cia, il Mossad, il Bnd tedesco, l’Aw polacca e altri, hanno reso possibile il transito di mercenari dal Medio Oriente all’Ucraina e di gruppi islamici della periferia russa, mentre il Fsb russo cerca di non far arrivare i combattenti jihadisti tele-diretti dalla Cia in Ucraina e nella stessa Russia.

Se sono cessati i combattimenti in Ucraina grazie a Minsk II, la guerra di propaganda continua. La fantasia dei devoti della Nato recita così: il sogno imperiale di Putin, come dimostra l’annessione della Crimea, rivendica sfere d’influenza esclusive in Europa e ha provocato la più grave crisi dopo la scomparsa dell’Unione Sovietica. In questo mantra è incluso il ruolo di Putin come aggressore nella guerra, nell’abbattimento dell’aereo malese, nella violazione dei confini dell’Ucraina, nel dispiegamento di truppe russe nel Donbass e nella violazione del diritto internazionale. Non importa che non abbiano dimostrato nessuna di queste accuse, anche se non c’è dubbio che le milizie dell’est non sarebbero state in grado di resistere senza l’aiuto russo in armi, rifornimenti e provviste. Nella gigantesca campagna di propaganda occidentale non mancano nemmeno gli sforzi perché nessuno ricordi l’incoraggiamento nordamericano ed europeo per rovesciare un governo, quello di Yanukovich, eletto dal popolo ucraino in elezioni che né gli Stati Uniti, né l’Unione Europea hanno ritenuto illegittime; ed è stato nascosto il sostegno occidentale alla violenza scatenata dalle bande fasciste (decine di poliziotti sono stati uccisi da colpi di pistola al Maidan, ad esempio), mentre si diffondeva la bontà di un presunto “movimento per la pace”, che voleva “unirsi all’Europa”, così come rimane in ombra il fatto che, nei mesi precedenti la caduta di Yanukovich, era stato organizzato l’addestramento militare di gruppi di mercenari e fascisti in Polonia per inviarli poi al Maidan di Kiev. Non viene neanche fatto, naturalmente, alcun riferimento alla progressiva espansione della Nato in Europa orientale, alla guerra provocatoria della Georgia, allo scudo antimissilistico, al tentativo di incorporare l’Ucraina e la Georgia nella Nato, al colpo di stato a Kiev. Le argomentazioni di Washington sono palesemente inconsistenti, come lo è la successiva sua ipocrita indignazione per l’aiuto russo alle milizie, poiché se Putin avesse avviato il conflitto, non si capirebbe la crisi ucraina. Per quale motivo l’avrebbe creata Mosca se il governo Yanukovich manteneva buoni rapporti con la Russia? E, dopo il colpo di stato filo-occidentale, poteva Mosca lasciare al suo destino il popolo ribellatosi a Kiev perché fosse schiacciato dal governo golpista? Ma per gli esperti nordamericani nel lancio di massicce campagne pubblicitarie, il colpo di stato di Kiev si e trasformato in “rivoluzione della dignità” e i loro clienti ucraini lo ricordano ogni giorno sulla stampa. Un anno dopo la caduta del governo di Yanukovich, rimangono senza chiarimento gli omicidi commessi dai misteriosi cecchini che hanno causato una strage a Maidan e che sono stati la scintilla per il rovesciamento del governo. Né il governo golpista di Kiev né gli Stati Uniti hanno mostrato il minimo interesse per tale inchiesta, mentre gli oligarchi si spartiscono il bottino e il territorio: Igor Kolomoisky, uno dei milionari più corrotti di Ucraina, finanziatore di gruppi nazisti, un personaggio che è arrivato a utilizzare gruppi di teppisti per imporre i suoi desideri, che compra giudici e ottiene sentenze o, se necessario, le falsifica, è oggi governatore di Dnepropetrovsk. Il procuratore generale Viktor Shokin, che trascura la lotta alla corruzione e alla criminalità, che disdegna di indagare sui cecchini di Maidan nei giorni del colpo di stato contro Yanukovich e non ha alcuna intenzione di chiarire il terrificante massacro nella casa dei sindacati di Odessa, lavora invece per mettere fuori legge il Partito comunista, l’unica forza politica che cerca di limitare il potere dei corrotti uomini d’affari-ladri. Perché il Partito comunista è anche l’unico partito che denuncia il fascismo in Ucraina, sostenendo lo scioglimento delle bande paramilitari naziste e chiedendo, invano, la tutela dei monumenti e dei simboli della lotta contro i nazisti durante la Seconda guerra mondiale.

Gli Stati Uniti sono divisi tra un maggiore coinvolgimento nella guerra e la spedizione di armi. Influenti fondazioni private e settori del Pentagono e del governo sono inclini all’invio di armi, benché consapevoli che questo non convertirà l’esercito ucraino in una forza in grado di vincere la guerra civile e che potrebbe crearsi una difficile situazione con Mosca. Tuttavia, altri settori dell’amministrazione Usa, pur accettando i rischi dello sfidare la Russia, un paese dotato di un enorme arsenale nucleare, puntano sull’armare Kiev, fiduciosi che una guerra di logoramento finirà con danneggiare l’economia russa e che, eventualmente, potrebbe affondare Putin, o almeno rendere irrealizzabile lo sforzo di ricomposizione dell’Unione eurasiatica progettato da Mosca. Tutto questo, a Washington, in mezzo a discussioni assurde sul fatto se si debbano inviare in Ucraina armi “offensive” o “difensive”, quando la verità è che una escalation nella guerra avrebbe una soluzione difficile e che la tentazione di annullare la Russia e legare di più l’Unione europea attraverso una guerra continentale è molto presente nelle strategie del Pentagono e della Casa Bianca. Dello stato delle cose a Washington possono dare un’idea i commenti di un analista del Csis (Centro di studi strategici e internazionali), il più importante “laboratorio d’idee” della capitale nordamericana le per questioni di politica estera. Andrew C. Kuchins, direttore del programma per la Russia e l’Eurasia del Csis, presentava l’assassinato Boris Nemtsov come un patriota e demonizzava Putin, dicendo che il discorso del presidente russo al parlamento nell’aprile 2014 potrebbe indicare il “punto di flessione della Russia verso uno stato fascista”. Ovviamente, per quelli che la pensano così, sarebbe più che giustificato l’intervento militare aperto in Ucraina, benché con attori interposti, mercenari o soldati che siano dei paesi più aggressivi, come Polonia o gli stati baltici. Dopo tutto, si possono sempre argomentare i pericoli di un “attacco russo imminente” o pretesti similari a quelli che hanno portato all’aggressione nordamericana in Iraq.

Lo strano omicidio di Boris Nemtsov (che, oggi, sarebbe stato un personaggio irrilevante in Russia) potrebbe avere implicazioni legate alla crisi ucraina e non può escludersi la lunga mano della Nuland e dei circoli russofobi del governo degli Stati Uniti, soprattutto davanti all’evidenza che la scomparsa di Nemtsov non va a beneficio precisamente di Putin. Convertito il presidente russo in un litigioso spaventapasseri, Washington non vuole riconoscere la propria responsabilità nell’aumento della tensione internazionale. Dobbiamo ricordare che Putin ha iniziato la sua presidenza cercando di adattarsi a un mondo unipolare diretto dagli Stati Uniti, chiedendo il rispetto e il riconoscimento degli interessi russi. Il palese disprezzo verso il presidente russo, l’evidenza che gli Stati Uniti continuano a speculare e incoraggiare un’ipotetica spartizione della Russia, come hanno fatto con l’Unione Sovietica, hanno fatto suonare tutti gli allarmi a Mosca e portato Putin, ancora sotto la presidenza di George W. Bush, al discorso del febbraio 2007 a Monaco di Baviera, nel quale denunciava l’espansionismo nordamericano e la violazione di tutti gli accordi firmati o taciti, tra Mosca e Washington dopo la sparizione dell’Unione Sovietica. Da allora e nonostante i gesti teatrali come quello del tasto “reset” offerto da Hillary Clinton (che non si è concretato in alcun cambiamento nella politica estera Usa), gli Stati Uniti hanno continuato ad avvicinare il loro dispositivo militare ai confini russi.

Francia e Germania si sono spese nella ricerca di una soluzione politica in Ucraina, ma il loro margine di manovra è limitato, perché nei loro governi predominano degli obblighi in quanto membri della Nato e Washington, con il quartier generale alleato a Bruxelles hanno elaborato un discorso che, in sostanza, è stato imposto a tutti i membri ed è stato adottato anche da Parigi e Berlino, che sebbene seguano a malincuore il discorso bellicista, sono costretti a imporre sanzioni economiche a Mosca e a discutere su ipotesi più pericolose, non scartando l’invio di armamenti e di forze militari, benché per il momento tale possibilità venga discussa in segreto. Intrappolati dalla loro stessa propaganda, i paesi della Nato non sono in grado di accettare il fatto che la crisi ucraina è scoppiata non per delle “proteste cittadine” (tra l’altro istigate e finanziate in gran parte dai paesi occidentali), bensì per il sostegno ad un colpo di stato e ad un cambiamento di regime che pretende di integrare l’Ucraina in un’alleanza militare apertamente ostile a Mosca. Se ti mostri aggressivo con gli altri, non puoi sperare di essere accolto a braccia aperte.

Né l’Unione europea, né tanto meno gli Stati Uniti vogliono riconoscere che il tentativo di incorporare l’Ucraina nella Nato è una vera e propria provocazione contro la Russia (qualcuno riesce ad immaginare l’ipotesi che il Messico o il Canada si uniscano ad un’alleanza militare aggressiva contro Washington?) che, oltre che inutile, ha portato a una guerra civile, ha distrutto l’economia ucraina, ha aperto un pericoloso fronte in Europa e minato la possibilità a medio termine di una convivenza amichevole e pacifica nel continente. Che la guerra ucraina sia stata il risultato di un calcolo o una conseguenza imprevista del colpo di stato non attenua la responsabilità degli Stati Uniti. La guerra che l’avventurismo della politica estera nordamericana ha acceso si presenta ora come responsabilità esclusiva di Mosca e come la prova del pericoloso “espansionismo” russo, ma si dimentica che, dopo la dissoluzione del Patto di Varsavia, il destino manifesto della Nato non è stato di iniziare il proprio smantellamento, bensì quello un’espansione accelerata verso i confini russi che l’ha portata a stabilirsi in otto paesi (Polonia, Estonia, Lettonia, Lituania, Repubblica Ceca, Slovacchia, Romania, Bulgaria) e al tentativo di farlo con la Georgia e l’Ucraina, senza dimenticare le sue basi in alcune delle vecchie repubbliche sovietiche dell’Asia centrale. Questo è stato il vero espansionismo militare degli ultimi due decenni. Perché Washington non vuole capire che la sicurezza deve essere un principio condiviso e che portare la presenza militare della Nato ai confini russi non è solo una provocazione, ma anche la rottura degli instabili equilibri internazionali.

Le accuse e gli allarmi, sempre senza prove, lanciati contro la Russia dal nordamericano Philip M. Breedlove, comandante delle forze Nato in Europa, o la visita segreta a Kiev nel mese di gennaio 2015 del generale James R. Clapper, direttore della National Intelligence Usa, tra le altre cose, riflettono la visione dei falchi di Washington. Il segretario alla Difesa Chuck Hagel e il capo dello Stato Maggiore, il generale Martin Dempsey, sostengono anche l’invio di armi a Kiev e gli allarmi lanciati dal duro Zbigniew Brzezinski su di un ipotetico attacco della Russia verso i paesi baltici, vanno nella stessa direzione: vogliono inviare armi in Ucraina, avvelenare la situazione e rendere irreversibile una guerra europea, forse mondiale, e lo si può fare in diversi modi, perché i falchi di Washington non si fanno troppi scrupoli: non molto tempo fa, il generale Wesley Clark fece una dichiarazione alla Cnn sui nuovi islamisti che sgozzano in favore delle telecamere: “Abbiamo creato lo Stato Islamico con il finanziamento dei nostri alleati”.

La recente dichiarazione del Partito Comunista Ucraino, la principale forza di opposizione, ora perseguitata e ridotta, si è chiusa con un proclama preoccupante diretto agli ucraini e agli europei: dite no alla guerra e al fascismo. Perché questo è il rischio, il tumore che minaccia l’Ucraina e l’Europa. Ci sono altri problemi per l’Europa, ovviamente, in aggiunta alla grave crisi economica e alle crepe nella zona euro: dall’imprevista ribellione greca, che Bruxelles intende sottomettere; fino alla risposta dei poteri reali davanti all’ipotetico emergere di un movimento di opposizione che, anche se confusamente, attacchi in diversi paesi la costruzione neoliberista dell’Unione europea; passando per il rafforzamento dell’estrema destra, che non preoccupa tanto per il suo modello sociale, quanto perché può far indietreggiare le formazioni conservatrici oggi dominanti; o anche le insidie dell’inaffidabile partner britannico, testa di ponte nordamericana in Europa, insieme alle rivendicazioni dei governi polacco e baltici; e, infine, ai resti del terrorismo che la stessa Europa e gli Stati Uniti hanno contribuito a creare. Ma nessuno di questi problemi è così grave come la guerra in Ucraina e la possibilità che si estenda al resto del continente, se non si consolida la via diplomatica. Il pragmatismo di Angela Merkel, che ha dato impulso agli accordi di Minsk, ha una duplice interpretazione: da una parte, sa che non si può vincere la Russia in una guerra globale e, di conseguenza, si muove lungo la via della diplomazia; dall’altra parte, benché voglia mettere in ginocchio Mosca, sa che la vittoria non sarebbe tedesca, bensì statunitense e questo spinge Berlino a cercare l’equilibrio tra l’obbligata sottomissione a Washington (e alla Nato), l’interesse proprio per la stabilità europea e le immancabili diffidenze tedesche verso il grande paese slavo, che si rifiuta di accettare la supremazia occidentale. Da parte sua, gli Stati Uniti vogliono una Russia debole e non rinunciano alla sua frammentazione, che consentirebbe il controllo nordamericano sui giacimenti di idrocarburi e, in questo scenario, non è un caso che gli Stati Uniti non partecipino alla soluzione pacifica della crisi in Ucraina: una guerra aperta sottoporrebbe Mosca a una dura prova, le impedirebbe la ricostruzione dei legami tra le antiche repubbliche sovietiche e bloccherebbe il suo ammodernamento economico. Al tempo stesso, per l’Unione europea, l’estensione della guerra ucraina sarebbe un nuovo chiodo piantato nella bara dell’impotenza strategica e della sottomissione nella quale Washington vuole rinchiudere Bruxelles. Un confronto tra la Russia e l’Unione europea in Ucraina sarebbe una ferita aperta e sanguinante nel continente e l’ipotesi migliore per gli Usa per rafforzare il proprio potere attraverso la Nato, mettendo nell’angolo la Russia e preparandosi così alla grande battaglia dei prossimi decenni, quella con la Cina.

I barbari a Palmyra da: www.resistenze.org – osservatorio – mondo – politica e società – 26-05-15 – n. 545

 


La farsa della lotta all’ISIS e l’ipocrisia dell’Occidente.

Vincenzo Brandi | vocedelgamadi@yahoogroups.com

24/05/2015

Palmyra (o Tadmor per gli Arabi) è una magica città monumentale posta in un’oasi di palme al centro del deserto siriano, passaggio obbligato fin da tempi antichissimi delle carovane che transitavano tra la Mesopotamia (oggi Iraq) e la Siria. Quando l’ho visitata pochi anni fa sono rimasto affascinato, come capita a tutti i visitatori, dai resti dei grandi colonnati dell’antica città romana, dell’elegante teatro, dall’imponenza degli edifici costruiti nel grandioso stile siro-romano che si può ammirare anche a Baalbeck in Libano, dal castello di epoca islamica, attribuito a Saladino, che sorge su una collina vicina.

Ora il sito archeologico è stato occupato dalle bande criminali dello Stato Islamico (ISIS per gli Occidentali, Daesh per gli Arabi), formate da fanatici e mercenari affluiti in Siria ed Iraq da più di 80 paesi con la complicità della Turchia, dell’Arabia Saudita e di altri paesi limitrofi. Queste bande, nella loro furia iconoclasta verso tutte le grandi civiltà pre-islamiche, hanno già distrutto i grandi siti archeologici assiri del nord della Mesopotamia come Niniveh e Nimrud. Ora anche il sito archeologico di Palmyra si trova nello stesso pericolo, mentre nell’attigua città moderna imperversano gli assassini che massacrano funzionari governativi, le famiglie sostenitrici del governo o appartenenti a minoranze religiose, e decapitano i soldati governativi presi prigionieri che avevano tentato disperatamente di difendere la città.

Ora da parte di tutti i media occidentali vengono versate lacrime di coccodrillo sulla triste sorte di Palmyra sopraffatta dai barbari. Ma è proprio la sciagurata politica occidentale verso la Siria, che consiste nel mettere come primo obiettivo di ogni azione politica o militare la caduta del governo Assad, ad aver causato questo disastro, ed il fatto mi indigna profondamente. Da anni gli Stati Uniti perseguono la politica di una completa ristrutturazione del mondo arabo-islamico che prevede la disgregazione degli stati laici nazionali come la Siria, l’Iraq o la Libia (e 40 anni fa l’Afghanistan socialista). I loro piani trovano alleati come la Turchia islamica di Erdogan ed il Qatar , legati alla Fratellanza Musulmana, o l’Arabia Saudita, dominata dalla setta estremista wahabita, che vuole eliminare tutti gli stati alleati dell’Iran sciita . E’ evidente che l’esercito siriano, che difende accanitamente da più di 4 anni il territorio nazionale dagli attacchi concentrici, finanziati da Arabia Saudita, Qatar, Stati Uniti e altre petro-monarchie semifeudali, e provenienti dal territorio turco o da quello giordano, si trova in difficoltà a dover lottare su innumerevoli fronti. In molti casi le armi statunitensi o di altri paesi occidentali non vengono fornite direttamente alle formazioni più estremiste come Daesh o Al Sham (formazione armata direttamente dalla Turchia), o Al Nusra (ramo siriano di Al Queda) ma vengono fornite ai combattenti “moderati” dell’FSA (Esercito Libero Siriano) addestrati in Turchia e Giordania. Ma di solito, dopo essersi infiltrati in Siria, questi combattenti passano rapidamente ad Al Nusra, che ha in gran parte occupato le province di Idlib e Deraa/Golan poste rispettivamente al confine con la Turchia e a quello con Giordania e Israele, o direttamente a Daesh.

Per quanto riguarda Daesh, dopo la grande avanzata di questa formazione in Iraq con la conquista di Mosul, seconda città del paese, si è formata una variopinta coalizione che dovrebbe fare la “guerra all’ISIS”. Di questa strana coalizione fanno parte paesi i cui servizi segreti e i cui gruppi dirigenti hanno chiaramente finanziato Daesh, come l’Arabia Saudita, ma anche gli Stati Uniti il cui candidato repubblicano alla presidenza Mc Cain è stato immortalato in video che lo ritraggono mentre parla amichevolmente con il “califfo” dell’ISIS Al Baghdadi (già “prigioniero” dell’esercito americano in Iraq e poi opportunamente “riciclato”) e il responsabile militare dell’FSA, generale Idriss.

La “guerra all’ISIS” si è quindi dimostrata un farsa, un inganno per le opinioni pubbliche occidentali sempre più ignoranti e credulone. Daesh continua ad avanzare in Siria e in Iraq. L’intera provincia strategica irachena di Anbar è nelle mani di Daesh, che, dopo aver occupato il capoluogo Ramadi, minaccia direttamente Baghdad. La coalizione guidata da Stati Uniti ed Arabia frena l’azione delle milizie sciite filogovernative, sostenute da “consiglieri” iraniani, che sarebbero le uniche in grado di fermare l’avanzata di Daesh. Lo scopo degli USA è quello di mantenere in uno stato di perenne debolezza il governo di Baghdad considerato troppo filo-iraniano e confermare la divisione di fatto dell’Iraq in tre tronconi ottenuta con la caduta di Saddam Hussein.

-Al governo italiano che, succubo degli USA e della NATO, ha sposato queste politiche e partecipa alla distruzione di Libia, Siria, Iraq e di altri stati nazionali laici;

-agli altri governi occidentali che, alleati delle peggiori monarchie arabe reazionarie, contribuiscono al fallimento di ogni politica nazionale-laica che porti questi paesi verso la modernità e favoriscono oggettivamente l’avanzata di Daesh e delle altre formazioni jihadiste, noi diciamo “VERGOGNA”.

Ma diciamo “VERGOGNA” anche alle opinioni pubbliche occidentali spesso ostaggio di propagande governative, e di saggisti e giornalisti chiusi nella loro fasulla ideologia liberale, per cui “noi” siamo i paesi “civili”, fonte di ogni libertà, mentre quei paesi dell’Asia, dell’Africa o dell’America Latina, che cercano faticosamente una loro via verso uno sviluppo economico e culturale indipendente, che è alla base di ogni stile decente di vita, vengono spesso arbitrariamente indicati come “dittature” e quasi come caricature di stati. Ci siamo dimenticati, noi Occidentali, di aver gestito per secoli il traffico degli schiavi, di aver sfruttato ferocemente il resto del mondo con le colonie e gli imperi, di aver imposto ai Cinesi con due guerre nell’800 di acquistare il nostro oppio, di aver creato il Fascismo e il Nazismo, di sostenere l’oppressione sionista in Palestina, degli orrori di Abu Ghraib e Guantanamo, delle leggi liberticide come il Patriot Act che rendono tutti i cittadini americani meno liberi con la scusa della lotta al terrorismo (che in realtà noi stessi finanziamo).

Diciamo “VERGOGNA” anche quei gruppetti sedicenti ultrarivoluzionari, ultrademocratici, o “trozkisti”, che continuano a sostenere che in Siria è in corso una grande rivoluzione democratica e che lo stesso avevano sostenuto per la Libia fino alla completa distruzione del paese, fornendo così giustificazioni agli interventi armati esterni ed alla destabilizzazione di quei paesi.