Padoan a gamba tesa contro la Consulta per evitare la sentenza negativa contro il blocco dei contratti nel pubblico impiego Autore: fabio sebastiani da: controlacrisi.org

Il ministro Pier Carlo Padoan attacca la sentenza della Consulta. “I giudici – dice – avrebbero dovuto tenere in considerazione le ricadute economiche della loro sentenza. Intanto ritorna il falso in bilancio”. Un intervento a gamba tesa, edulcorato qua e là dal necessario aplomb diplomatico. Ma ad un mese esatto dal pronunciamento della Corte costituzionale sul blocco dei contratti nel pubblico impiego è chiaro che il responsabile dell’Economia si preoccupa di scongiurare l’eventualità di una sentenza a favore dei dipendenti che comporterebbe per il bilancio un esborso quasi identico a quello comminato dai giudici sulle pensioni. 

“La Corte Costituzionale sostiene di non dover fare valutazioni economiche sulle conseguenze dei suoi provvedimenti e che non c’era una stima dell’impatto”, dice Padoan. “Non so chi avrebbe dovuto quantificare il costo – spiega -, ma rilevo che in un dialogo di cooperazione tra organi dello Stato indipendenti, come governo, Corte, ministri e Avvocatura sarebbe stata opportuna la massima condivisione dell’informazione”. “Se – aggiunge – ci sono sentenze che hanno un’implicazione di finanza pubblica, deve esserci una valutazione dell’impatto. Anche perché‚ serve a formare il giudizio sui principi dell’equità Questo è mancato e auspico che in futuro l’interazione sia più fruttuosa”. Il “futuro” è appunto il 23 giugno, quando la corte ha in programma il verdetto sul pubblico impiego.

Secondo il segretario del Prc Paolo Ferrero, la posizione di Padoan “è un caso evidente di cosa si intenda per fascismo finanziario”. “Per Padoan la democrazia non è il fondamento del vivere civile – aggiunge Ferrero – ma una variabile dipendente dalla politiche economiche neoliberiste. Posizione in piena continuità con l’inserimento del pareggio di bilancio in Costituzione, votato qualche anno fa da tutti i neoliberisti, dalla Lega Nord al PD”. “Mussolini usava l’olio di ricino – conclude il segretario del Prc – Padoan e i suoi sodali i vincoli di un bilancio che finanzia la speculazione, ma il risultato è identico: una dittatura che toglie arbitrariamente i diritti ai popoli”.

Proprio sul rinnovo del contratto del pubblico impiego, fermo da più di settanta mesi, ieri è intervenuta la titolare della Funzione pubblica Marianna Madia. Il ministro, a margine di lavori della commissione Affari Costituzionali alla Camera, ha ricordato come ci sia già stata una sentenza della Corte Costituzionale sull’argomento, che giustificava il congelamento a partire da due criteri “la temporaneità” e la “redistribuzione solidaristica”. A riguardo, ha precisato, “il Governo Renzi ha bloccato solo per un anno” e quanto “all’aspetto redistributivo”, un esempio è rappresentato dagli “80 euro, che sono andati anche ai lavoratori pubblici”. Quindi, ha aggiunto Madia, con riferimento alla pronuncia della “Corte che già c’è stata, le iniziative prese dal Governo hanno
rispettato la sentenza”. Un modo alquanto sbrigativo e mistificatorio di “tirare la linea” che ha irritato, ovviamente, i sindacati, pronti allo scontro diretto. Per il mese di giungo sono in programma “tre grandi assemblee” che coinvolgeranno tutto il Paese, dal Nord al Sud. Insomma verrà data “continuità alla mobilitazione”. Soprattutto i sindacati stanno lavorando per mettere a punto una piattaforma unitaria, il 5 giugno è in calendario un incontro, così da presentarsi con rivendicazioni comuni davanti al datore di lavoro, lo Stato

L’anello mancante Fonte: il manifestoAutore: Tommaso Di Francesco

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Abdel­ma­jid Touil: il nome di que­sto gio­vane maroc­chino di 22 anni non dob­biamo dimen­ti­carlo. Rap­pre­senta la testi­mo­nianza della nostra ver­go­gna nazio­nale, come dell’improntitudine del governo Pd-Ncd. Senza dimen­ti­care fogliacci come Il Tempo Il Gior­nale che hanno rispet­ti­va­mente tito­lato «L’Isis è pre­gata di pre­sen­tarsi all’imbarco» e «Cen­tro acco­glienza ter­ro­ri­sti». Un’accolita anche sta­volta gui­data dal capo­ma­ni­polo Mat­teo Sal­vini al grido di: «Ve l’avevamo detto, i ter­ro­ri­sti arri­vano coi barconi».

Il caso di Touil doveva essere la prova pro­vata dell’insidia ter­ro­ri­sta che sale sui bar­coni — alla deriva nel Medi­ter­ra­neo, dav­vero una bril­lante logi­stica. E che invece è rap­pre­sen­tata dai migranti che sulle car­rette del mare fug­gono da guerre e mise­rie, e che per que­sto subi­scono il tra­ghet­ta­mento mala­vi­toso degli scafisti.

Ma il castello di men­zo­gne è crol­lato. Gra­zie in primo luogo alla reti­cenza di una magi­stra­tura mila­nese che almeno ha cono­sciuto esempi cla­mo­rosi di depi­stag­gio inter­na­zio­nale, come fu per il caso Abu Omar.

Pote­vano mai bastare allora sull’attentato san­gui­noso del Bardo, le accuse dei ser­vizi segreti tuni­sini rima­neg­giati e tra­volti anche loro dagli avve­ni­menti degli ultimi mesi a Tunisi? Per il governo ita­liano bastava e avan­zava, tant’è che il mini­stro Alfano ha rife­rito in Par­la­mento riven­di­cando la giu­stezza dell’arresto. E il pre­si­dente del Con­si­glio Renzi ha rin­ca­rato la dose: «Chi mette in dub­bio l’arresto è da let­tino dello psicanalista».

Nono­stante che l’accusa ad Abde­la­jid Touil pas­sasse nel giro di poche ore da «par­te­ci­pa­zione diretta» a «ispi­ra­zione» dell’agguato del Bardo.

Alla fine una rapida veri­fica delle noti­zie — per­ché esi­ste ancora un gior­na­li­smo non embed­ded — ha deli­neato il qua­dro di un gio­vane immi­grato certo «clan­de­stino», ma che stu­dia l’italiano, che non appog­gia la jihad, che era in Ita­lia il giorno della strage ed è sem­pre rima­sto nel paese dove abita la fami­glia che aveva denun­ciato la per­dita del suo passaporto.

Ce n’era abba­stanza per essere quan­to­meno guar­din­ghi. E invece no.

Il tro­feo andava comun­que esi­bito. Tanto per nascon­dere il passo falso del governo ita­liano: per­ché l’annuncio della distri­bu­zione di migranti per quote invece rifiu­tate dai paesi euro­pei mostra che la cosid­detta «guerra agli sca­fi­sti» con una mega-flotta navale euro­pea fin nelle acque ter­ri­to­riali della Libia, altro non è che un’avventura di guerra.

Ora pos­siamo ripa­rare. Ad Abdel­ma­jid Touil che ha subìto que­sto oltrag­gio rischiando il rim­pa­trio in Tuni­sia o in Marocco (che hanno la pena di morte), la pre­si­denza della Repub­blica del «pon­de­rato» Mat­ta­rella dovrebbe per­lo­meno con­ce­dere il per­messo di sog­giorno. E a Sal­vini un bar­cone (con viveri, s’intende) per­ché si avvii da solo nel grande Mediterraneo.