Enrico Letta a In Mezz’ora: “L’Italicum è un parente stretto del Porcellum. Voterò contro”

Pubblicato: 03/05/2015 14:41 CEST Aggiornato: 03/05/2015 16:02 C

L’ex presidente del Consiglio Enrico Letta torna all’attacco di Matteo Renzi. Ospite di In 1/2, l’ex premier ha detto che con l’Italicum “abbiamo un parente stretto del Porcellum”. Per questo domani voterà “contro” il provvedimento perché, ha spiegato, “non condivido metodo, percorsi, contenuti”.

Quanto al comportamento del presidente della Repubblica, Letta ha detto che “se Mattarella firma la legge elettorale non mi scandalizzo. Un conto è l’opportunità politica di approvare una legge elettorale a maggioranza, un altro è valutare la costituzionalità”.

L’ex presidente del Consiglio ha criticato duramente i modi con cui l’Italicum sta per essere approvato. “Non mi aspettavo quest’accelerazione” sulla legge elettorale, “ma sono molto libero, posso dire ciò che penso”. “Nel 2005 facemmo discorsi durissimi su Berlusconi e la pessima legge Calderoli- h aggiunto – lo accusammo di fare da solo le regole del gioco. Lo abbiamo accusato e abbiamo detto mai più, oggi invece il centrosinistra e il Pd stanno facendo la stessa cosa: abbiamo sancito che chi ha la maggioranza si fa le regole del gioco da solo”.

Ddl Buona scuola, il 5 maggio prof e studenti insieme contro la riforma di Renzi. Lo scenario della protesta da: left

Ddl Buona scuola, il 5 maggio prof e studenti insieme contro la riforma di Renzi. Lo scenario della protesta

Nel silenzio generale, si avvicina a grandi passi il 5 maggio. Il giorno della mobilitazione contro il ddl della Buona scuola viene snobbato dalla “grande” stampa, eppure è tutto il sistema scolastico che è in fermento. Impossibile non avvertire il terremoto in atto. Un evento epocale che forse non si era verificato nemmeno negli anni dopo il fatidico 2008, l’inizio della mannaia Tremonti-Gelmini (8 miliardi di tagli all’istruzione).

20150503_Sciopero_Scuola_LocandinaLe fiamme covano sotto le ceneri che il ddl avrebbe sparso ridisegnando la scuola italiana. E tutto questo avviene tra flashmob, assemblee, incontri e mille iniziative in rete, mentre in commissione Cultura e Istruzione della Camera si sta procedendo a tappe forzate per approvare il ddl 2994 alias della Buona scuola. Giorni decisivi per la scuola del futuro. E se la partecipazione alla sciopero generale “L’unione fa la scuola”, questo lo slogan del 5 maggio, sarà massiccia e le scuole rimanessero chiuse, il governo e la maggioranza che faranno? Come non tenerne conto? Se così accadesse, se il governo dovesse andare avanti per la propria strada, incurante delle voci provenienti dalla società, allora avremo un’altra prova della deriva che sta prendendo questo Paese.

I protagonisti della protesta: 750mila docenti

  1. Per la prima volta dopo sette anni scenderanno in piazza tutte le sigle sindacali. E cioè: Flc Cgil, Cisl Scuola, Uil Scuola, Snals Confsal e Gilda, oltre a Cobas e Unicobas,che pure aveva scioperato il 24 aprile. Sono state organizzate manifestazioni in alcune città dove confluiranno i manifestanti di altre regioni. Eccole: Aosta, Bari, Cagliari, Catania, Milano, Palermo, Roma. Le mappe e i percorsi delle singole manifestazioni. A Roma un corteo partirà da piazza della Repubblica alle ore 9.30 per arrivare a piazza del Popolo verso le 11.
  2. Sono coinvolti docenti precari ma anche quelli di ruolo che vedono peggiorare la loro situazione. Il ddl, ricordiamo, che doveva stabilizzare all’origine 151mila precari delle Gae, poi è riuscito nell’impresa di lasciarne a casa cinquantamila, oltre agli idonei e coloro con più di 36 mesi di insegnamento. E il famoso decreto legge riservato solo per loro, in modo da garantirne l’assunzione a settembre, non è mai arrivato. Anzi, il fatto che la questione “precari” sia rimasta all’interno del ddl è visto come una forzatura, una sorta di ricatto, per far approvare rapidamente il testo in toto, pena la non stabilizzazione tanto attesa. Tra l’altro, sono previste anche molte deleghe lasciate al governo  in materia di semplificazione che ridisegneranno il testo unico della scuola. E quindi tanto affanno sugli emendamenti ma poi alla fine deciderà il governo sui temi che contano, come segnala molto bene Roars.
  3. Partecipano allo sciopero anche i dirigenti scolastici. “Alla “Buona scuola” non serveil preside nominato dai politici e da loro revocabile. In ognuna delle 8.500 scuole della Repubblica deve esserci un dirigente scolastico selezionato secondo il merito e attraverso un pubblico concorso”, dicono i dirigenti dei sindacati che promuovono lo sciopero. Una presa di posizione contro l’articolo più contestato del ddl, che trasformerà la scuola italiana in un’azienda guidata da un manager con tutti i poteri, sia di scelta degli insegnanti, che della loro valutazione.
  4. Partecipano in massa anche gli studenti. Con un bell’appello i ragazzi dell’Udsinvitano a scendere in piazza insieme ai prof per difendere la democrazia. Mobilitati anche gli studenti universitari del coordinamento Link che per domani 4 maggio hanno convocato alla Camera una conferenza stampa sulle modalità dell’abilitazione e del reclutamento futuro. E’ la campagna #iovoglioinsegnare. Sì, perché molti giovani che frequentano l’università vorrebbero insegnare… Il 5 maggio ci sarà anche il coordinamento Link-Rete della conoscenza in piazza: Università e Scuola insieme.

Il ddl Buona scuola e le “truffe semantiche”

Mentre il mondo della scuola si prepara a scendere in piazza il ddl è oggetto di una vera e propria prova di forza della maggioranza. Lo dice senza mezzi termini la delegazione M5s che durante la conferenza stampa del 30 aprile alla Camera, ha comunicato la propria decisione di lasciare i lavori della commissione insieme a Sel e alle altre forze d’opposizione. Il deputato Gianluca Vacca parla di “truffe semantiche”: non è vero che gli emendamenti presentati dal Pd rendono più soft la figura del preside-sceriffo. Per esempio, sostiene Vacca, l’articolo 2, comma 8 e 9, nell’emendamento della relatrice Coscia sembra che “l’elaborazione del piano triennale passi dal dirigente scolastico al collegio dei docenti, ma solo in apparenza – continua l’esponente M5s – perché i criteri generali verranno definiti dal dirigente scolastico”. Per la chiamata diretta da parte del dirigente, inoltre, il Pd farà muro, sostiene Vacca. Inoltre a partire da domani entra in funzione la “ghigliottina” per cui si potranno presentare solo 2 emendamenti per articolo. I tempi sono contingentati per permettere la votazione finale in aula il 19 maggio. E allora i Cinque stelle hanno deciso di abbandonare la Commissione, definita una farsa.

Critiche al ddl, per come è stato scritto e per le irregolarità contenute che renderebbero il suo percorso a ostacoli giungono anche dal Comitato per la legislazione della Camera, come scrive il Fatto quotidiano.

In una tale situazione di confusione arriva la giornata del 5 maggio. Per la quale un gruppo di insegnanti ha pensato un ipotetico Consiglio di classe per un ipotetico alunno chiamato Matteo, come leggiamo nel bel post di Marina Boscaino, che è, ricordiamo, tra i promotori della Lip, la legge di iniziativa popolare (relatori M5s e Sel, tra gli altri) che scritta dopo anni di consultazione dal basso, è approdata in Commissione Istruzione, nel totale disinteresse dei deputati Pd e dei burocrati della Buona scuola. La Lip promuove una Buona scuola per la Repubblica e sarebbe stato interessante vedere come poteva integrare il ddl della Buona scuola.

Cosa scrivono i prof  sull’alunno Matteo:

“Giorno 5 maggio consiglio di classe straordinario: 750.000 docenti si riuniranno per discutere sul caso dell’alunno Matteo. L’alunno mostra poca partecipazione alle diverse attività, poco sensibile ai richiami, conosce le norme che regolano la vita della comunità, ma non sempre le rispetta.  Non ha ben sviluppato la capacità di ascolto: si distrae facilmente. Maggiori lacune si manifestano nello sviluppo delle competenze della lettura e comprensione di diversi testi scritti.  Gli insegnanti, al fine di potenziare e facilitare lo sviluppo delle capacità apprenditive, presentano un programma /percorso di recupero individualizzato volto a guidare l’alunno alla conquista di capacità logiche , scientifiche ed operative, ed alla progressiva maturazione della coscienza di sé e del proprio rapporto con il mondo esterno”.

Carlo Giuliani… ragazzo. Lettera aperta di Haidi Giulianida: rifondazione comunista

Carlo Giuliani… ragazzo. Lettera aperta di Haidi Giuliani

Carlo Giuliani… ragazzo. Lettera aperta di Haidi Giuliani

  • A  quasi  14 anni di distanza dalle drammatiche giornate del luglio 2001, c’è ancora chi insulta il nome e la memoria di Carlo Giuliani. Pubblichiamo una lettera aperta della mamma di Carlo, Haidi che è anche tra le fondatrici dell’Osservatorio sulla Repressione e ci ha onorato come senatrice di Rifondazione Comunista proprio per portare avanti la battaglia di verità e giustizia sul G8 e le giornate di Genova 2001. A Giuliano e Haidi la solidarietà di tutti i compagni e le compagne di Rifondazione Comunista.

Ora che l’Italia è stata condannata dall’Europa e nessuno può negare le violenze delle forze dell’ordine durante il G8 di Genova, c’è chi se la prende ancora con Carlo. A parte la signora Santanché, una vera ossessione la sua, che non perde occasione di indignarsi per un’ aula di Montecitorio che non esiste, altri continuano a dare notizie false o falsamente riportate.

Ieri, durante la bella festa per la Liberazione, un giovane amico mi ha chiesto se ero a conoscenza di una lettera piena di insulti indirizzata al padre di Carlo e diffusa tramite facebook e come intendevo reagire. Non l’avevo letta, naturalmente, non sono iscritta a fb: penso che sia uno splendido strumento di lavoro e di comunicazione per lo più usato male, in troppi casi utile solo come cassa di risonanza per chi è convinto di dovere pontificare su tutto. Spesso senza conoscere nulla. Comunque non è mia abitudine dare importanza alle affermazioni ignoranti dell’ennesimo sputasentenze. Così gli ho detto.

Tornando a casa però ho pensato che avevo torto: non mi interessa rispondere a una simile lettera, è vero, ma quel ragazzo e tante altre persone in buona fede che l’hanno letta hanno diritto a un chiarimento. Per questo motivo lo faccio qui, per chi fosse interessato:

– i genitori di Carlo sono separati di fatto da più di venti anni. Hanno discusso molto e animatamente in passato sull’educazione dei propri figli, come succede a molti genitori, e continuano a farlo anche su altri argomenti senza che questo impedisca loro rapporti civili e di collaborazione quando è necessario.

– la famiglia di Carlo ha sempre partecipato con passione alla vita sociale e politica del Paese senza usare mai il termine “nemico”, concetto che appartiene evidentemente ad altri;

– la famiglia di Carlo, qualche anno dopo la sua uccisione, ha querelato alcune persone che continuavano ad offenderlo gravemente ma non ha mai tenuto per sé i soldi delle cause vinte;

– i genitori di Carlo non hanno mai desiderato essere dei “protagonisti”

[ricordo per i più distratti che non sarebbero stati costretti a esporsi pubblicamente se:

1) l’ordine pubblico durante il G8 di Genova non fosse stato gestito nel modo pessimo che oggi nessuno può negare;
2) i manifestanti non fossero stati aggrediti, picchiati, insultati nei loro diritti;
3) un militare dall’interno di una camionetta non avesse armato e puntato una pistola;
4) Carlo non fosse stato colpito, prima da un proiettile poi da una sassata sulla fronte, e travolto due volte mentre era ancora vivo;
5) il suo caso non fosse stato archiviato dal GIP senza possibilità di dibattito in aula (cosa che ha influito gravemente sulle sentenze successive)]

– Carlo è stato fermato mentre andava alla festa di laurea di un suo amico e accusato di possedere una quantità di marjuhana “eccedente la dose personale” (un po’ diverso dal “traffico di stupefacenti”…);

– il coltello sequestrato era un temperino svizzero, regalo della madre;

– i rapporti tra i componenti della famiglia di Carlo appartengono alla sfera privata, sono noti a parenti e amici, che potrebbero tranquillamente smentire certe affermazioni di perfetti estranei, ma non hanno niente a che vedere con la sua uccisione;

– la famiglia non ha mai fatto mistero sul periodo difficile attraversato in precedenza da Carlo (e superato grazie alla sua volontà), ne abbiamo scritto in un paio di libri, lo canta Alloisio in una sua bella canzone, ma questo non ha niente a che vedere con la sua uccisione;

– la trascrizione delle intercettazioni è frutto di un lavoro taglia e cuci dei CC, teso a dimostrare che Carlo era un poco di buono e come tale era giusto ammazzarlo, ma non ha niente a che vedere con la sua uccisione.

Per finire, la famiglia di Carlo respinge al mittente certe pretestuose lezioni di dignità.

La madre di Carlo

Osservatorio contro la repressione

Il Datagate ha la faccia simpatica e il cuore militante dell’informatore Edward Snowden Fonte: ilciottasilvestriAutore: Roberto Silvestri

Citizenfour di Laura Poitras. Oscar 2015 per il documentario

Non è vero che il sistema di supercontrollo della National Security Agency, sede a Bluffdale, Utah, sulle nostre conversazioni quotidiane via telefono o internet, tuteli l’anonimato e la privacy, come sostenne Obama, giustificando la messa in accusa per alto tradimento dell’informatore Edward Snowden sulla base di leggi redatte nel primo dopoguerra per colpire le spie di una potenza straniera, ma soprattutto i comunisti, strutturalmente  tutti spie di Mosca. Attraverso questo sistema spionistico post-orwelliano la macchina del fango può colpire retroattivamente chiunque… rubare qualunque idea creativa o industriale, far vincere le elezioni a qualunque presidente e le primarie anche a un pd improbabile e distruggere qualunque nemico… Questo si era capito due anni fa.

Ora, proprio in queste ore l’Nsa, l’agenzia statunitense che ha architettato dopo il 2001 quell’ illegale piano di sorveglianza globale in nome della lotta al terrorismo, è messa sotto accusa dall’opinione pubblica tedesca anche perché si è scoperto che in combutta con i servizi segreti di Berlino e con grandi aziende conniventi controllava e maneggiava telefonate e email non tanto dei terroristi islamisti quanto delle concorrenti industriali europee, gettandole in balia dei conglomerati più potenti manovrati da Wall Street. Spionaggio. Gestito fifty-fifty con i politici della globalizzazione  dall’alto . Angela Merkel sapeva tutto. E sa in cosa consiste la tanto da lei sbandierata  libertà di mercato : ai pesci grandi è consentito divorare con ogni mezzo necessario i pesci medio-piccoli e le crisi economico-finanziarie servono, da sempre, solo a questo. Oltre che a erodere il potere dei sindacati e a impedire che abbiano una posizione di monopolio nell’organizzazione dei lavoratori e dei disoccupati del mondo. Forse la prova che la Grecia (e chissà forse anche l’Italia e la Spagna, l’Irlanda e il Portogallo) è stata la vittima sacrificale di una guerra elettronica che ne ha prosciugato e divorato la ricchezza, è proprio in quelle intercettazioni… In Italia non è che se ne parli troppo. Il brusio deve essere tutto attorno a Yanis Varoufakis, il ‘dilettante’.  Paranoia?

Sì. Entriamo in un bel film che è anche una magnifica macchina paranoica. Proprio di quelle che secondo gli anti psichiatri inglesi degli anni 60, Laing e Cooper, permettevano ai ragazzi di difendersi dalle sopercherie degli adulti…. Ma ne usciamo anche, e presto, “perché, i semplici cittadini, insieme, possono cambiare il mondo. Non possono più sopportare che il rapporto tra cittadini e governo non sia più tra eletto e elettore ma tra dominante e dominato. Non è Gramsci che parla. Ma il  whistle-blower  del Datagate. Che non può tornare in America a subire un giusto processo, come vorrebbe Obama. Proprio perché ha svelato che non esiste più un giusto processo in America.
Questi sospetti, queste nuove indagini e imbarazzanti rivelazioni che colpiscono anche la presidenza di Barack Obama – già attaccato in queste settimane dagli sceriffi razzisti anonimi, in vena di vendetta – rilanciano però l’interesse per il film del momento, in giro nelle sale italiane,  Citizenfour,  diretto da Laura Poitras ,  che ha vinto quest’anno l’oscar del miglior documentario dell’anno, e che è stato prodotto anche da Steven Soderbergh. Un film da non perdere assolutamente perché spiega esattamente cos’è la Nsa. E cioè “la più perfezionata arma d’oppressione mai concepita da mente umana”. Non solo per il contesto. Laura Poitras, che produce documentari dal 1998 e si è occupata via via di Tibet, omosessuali perseguitati, prigionieri di Guantanamo, Afghanistan e Osama Bin Laden, aveva già iniziato a indagare sull’agenzia per la sicurezza nazionale intervistando, per un cortometraggio, che certo ha attirato l’attenzione di Snoden, un ex funzionario dissidente in pensione, il matematico William Binney, il protagonista, stile Turing, di  The programm  (2012). Dopo 30 anni nei servizi segreti Binney gira per il mondo mettendoci in guardia dal sistema Nsa e dai suoi droni immateriali.
E lo fa anche all’inizio di  Citizenfour , che nel titolo wellessiano – è la parola d’ordine dei messaggi cifrati di Snowden –  anticipa già un intento formale rivoluzionario. L’interesse è alto, infatti, anche per il ‘testo’. Si tratta infatti di un documentario di tipo inedito. O meglio. Si ispira alla pratica-teorica un cineasta dimenticato di origine piemontese, Emile de Antonio, che documentando le lotte del sessantotto, diede la parola in  Underground  a un gruppo di militanti armati, ad alcuni Weathermen, e non solo uomini, in clandestinità, e dibatté con loro per oltre un’ora su tattica e strategia del movimento antagonista americano e sulla necessità di una rivoluzione mondiale. Fu uno shock. Mai visto un thriller così ricco di materia grigia. Di dialoghi dalla qualità così affascinante. E poi. Da un momento all’altro, infatti, con la porta sfondata e l’antiterrorismo col mitra in mano, potrebbe scatenarsi l’inferno. Lo snuff movie in diretta…. Mettere i generi nel fuori campo, far sentire l’emozione del possibile plausibile, è il grande colpo di genio di questi film di complicità totale con il proprio soggetto, “interni al movimento”. Quel film del 1976 venne imposto, senza censura, nelle sale pubbliche Usa da una opinione pubblica e grazie a un manifesto di sostegno pubblicato da decine di registi hollywoodiani che seppero tagliare definitivamente il cordone ombelicale che li legava inconsciamente al maccartismo e all’anticomunismo drastico.
Ma lo shock della ricezione era anche nella  sostanza dell’espressione . In una forma documentaristica che sa preparare la sua trasformazione in dramma e viceversa. Un’idea in testa e una cinepresa in mano, diceva Glauber Rocha. Il cinema documentaristico non deve solo scodellare domande, creare atmosfera e suggestioni profonde, come fa Frederic Wiseman, ma deve saper anticipare risposte alle drammatiche domande che il mondo, o almeno il 99% del mondo,  si pone in certi frangenti storici. E’ il suo dovere morale, replicava Rossellini. Il cinema deve arrivare a “occupare Wall Street” prima degli occupanti reali e della polizia che li manganella e dei magistrati che indagano sui reati.  Qui succede. In  Habemus papam  pure.   1992  no. Ma la fiction tv altro che dalla Nsa è controllata….

La regista Laura Poitras
Così l’uomo, eroe o traditore?, l’informatico di alto livello, che ha svelato al mondo il micidiale complotto spionistico di questa sorta di Spectre inventata e gestita durante la presidenza di George Bush jr., cioé l’ex agente dei servizi segreti Edward Snowden – non l’avevamo capito – non è solo un giovanotto coraggioso che, a 29 anni, ha socializzato materiale top secret, come le telefonate private di Merkel e Berlusconi, in nome di “ alti valori morali”, in spregio della sua bandiera e ha messo a repentaglio la sua vita in nome della libertà di tutti. E’ stato anche il documentarista di se stesso. La novità  fuorilegge  di  Citizenfour  rispetto non alla polizia (che altri dovrebbe arrestare e far condannare) ma alla tradizione di controinformazione nord americana per immagini, è infatti quella di aver saputo ben manovrare i media, di aver allertato preventivamente, nel gennaio 2013, attraverso email criptate, la telecamera e i microfoni di Laura Poitras e di averla convocata all’appuntamento con la storia. L’ha accolta infatti proprio nel segretissimo luogo (una stanza di albergo) dove un fatto politico straordinario stava per accadere. Hong Kong, Mira Hotel, giugno 2013. In quella stanza di Kowloon n. 1014, due autorevoli giornalisti investigativi, Glenn Greenwald, del  Guardian  di Londra, e Ewen MacAskil del  Washington Post , faranno la celebre intervista che sconvolgerà il mondo e sarà filmata da Poitras, complice, insomma, di quel contro-complotto libera tutti. Il cinema di documentazione approfondita (non si può più dire “diretto” o “verità”) anticipa l’avvenimento e ne segue l’evoluzione con una complicità e un’iniziativa soggettiva (che identifica il protagonista della storia all’occhio che la racconta) che trasforma chi è ripreso in protagonista di un  giallo spionistico  non simulato. E tutti i protagonisti in personaggi di una fiction tratta da un romanzo di John le Carré. Con tanto di location alla James Bond (Londra, Berlino, Bruxelles, Rio dee Janeiro…), di  gola profonda , di  Washington Post , di presidente imbarazzato (ma non aveva promesso di mandare alla sbarra Rush jr. e forse anche Blair?), di avvocati governativi ammutoliti, di musica combattiva (Nine Inch Nails e Selena Gomez), di astuti avvocati cinesi dei diritti umani, di intervento divino da parte di Julian Assange dall’Equador, di fuga a Mosca, con la fidanzata di Snowden, di un giornalista scrupoloso e onesto come Greenwald (oltretutto omosessuale e gliela faranno pagare anche per questo) che restituisce alla categoria un bel po’ di dignità perduta.  A un certo punto ci si chiede se svelare o meno l’identità di Snowden. Tanto prima o poi si scoprirà. Ma va detto subito, “non sono importante io, ma i valori democratici da riaffermare!” E così involontariamente, l’ex spia cita quasi Che Guevara: “non importa morire, so che potrei essere ucciso, l’importante è  che sei o sette persone proseguano la mia lotta, finché l’America tornerà quel paese democratico che i padri fondatori hanno sognato”.
Non si tratta più dunque di ricostruire un fatto che i media hanno deformato. Fu la missione della generazione di documentaristi precedente, quella degli anni 80-90, utilizzando o la forma comica, alla Michael Moore, o più spesso quella tragedica e impopolare di Barbara Trent ( Panama Deception , costretta a raccontare la verità dopo le bugie di Reagan e Bush sr. sui Sandinisti, sulla globalizzazione e deterritorializzazione delle industrie, sulla miseria dell’impresa di Grenada, sulla gang Iran-Contras, sui massacri della Cia in Salvador. Qui si spara alla storia ufficiale, “shooting the history” del dopo 11 settembre. E alla magistratura che sta seppellendo con anni di carcere, i complici scoperti di Snowden. Certo forse si saprà tra 40 anni che le cose andarono ancora diversamente ( gola profonda  del Watergate – si dice oggi – è stata creata da E.J. Hoover perché Nixon voleva decurtare i finanziamenti all’Fbi…). Ma anche fino al giorno in cui Snowden parlò, sapevamo che le cose stavano andando molto diversamente. E poi ci sarà sempre il film di Oliver Stone, in uscita nel dicembre 2015, a proseguire, con altre risposte, nell’analisi dell’affascinante figura di Edward Snowden.  Nel film, nascosto in una casa moscovita, Snowden, raggiunto dalla sua ragazza dopo una separazione di anni, viene inquadrati fuori dalla finestra, in attività domestica, attraverso un’inquietante campo medio. E il punto di vista è quello di un occhio metallico. Di un drone.

No Expo, the day after Fonte: Il ManifestoAutore: Luca Fazio

Toc toc, c’è nes­suno? Silen­zio. Il giorno dopo tutto tace, tutti tac­ciono. Ha biso­gno di tempi più lun­ghi la meta­bo­liz­za­zione di una bella botta che costringe tutti ad un’autocritica senza peli sulla lin­gua per cer­care di rimet­tersi in piedi. La rifles­sione col­let­tiva è appena comin­ciata, ma ancora solo a micro­foni spenti. Com­pren­si­bile. Anche se un po’ stu­pi­sce que­sto silen­zio visto che le “cose” attorno cui il “movi­mento” si trova costretto a ragio­nare erano già state ampia­mente pre­vi­ste. Da tutti, nel det­ta­glio. Rispet­tiamo i tempi un po’ troppo ana­lo­gici delle litur­gie assembleari.

Dopo il primo vero “riot” della moder­nità che ha scon­volto la gior­nata inau­gu­rale dell’Expo — piac­cia o meno anche que­ste pra­ti­che di piazza rien­trano nelle sgra­de­vo­lezze della glo­ba­liz­za­zione — sul tavolo riman­gono alcuni nodi da scio­gliere piut­to­sto ingar­bu­gliati. Per il cosid­detto “movi­mento”, natu­ral­mente, ma anche per coloro che a caldo non sanno andare oltre la pre­ve­di­bile indi­gna­zione di rito, un altro modo per non inter­ro­garsi sul pro­blema reale con cui prima o poi biso­gnerà fare i conti (quella che si auto­pro­clama l’altra Milano, in testa il sin­daco Giu­liano Pisa­pia, oggi si ritrova in piazza Cadorna per ripu­lire la città sfre­giata). Gli altri, quelli che non pos­sono accon­ten­tarsi dell’analisi “sono tutti delin­quenti”, sono invece costretti a fare uno sforzo in più. Ope­ra­zione non facile per chi è diret­ta­mente coin­volto nella gestione della May­Day, dove qual­cosa evi­den­te­mente non ha fun­zio­nato come doveva.

03 desk1f03 milano scontri primo maggio aleandro biagianti sottodestraIn sin­tesi. Il cosid­detto “blocco nero” era den­tro il cor­teo (uno degli spez­zoni più nume­rosi) in mezzo agli spez­zoni più “ragio­ne­voli”. La piazza mila­nese — come nessun’altra piazza anta­go­ni­sta — non ha avuto e non ha la forza poli­tica e “mili­tare” per limi­tarne la pre­senza. Il con­flitto sem­pre più aspro espresso ieri, a tratti dispe­rato e senza pro­spet­tive, sta diven­tando la cifra di ogni mani­fe­sta­zione “con­tro”. Ad Amburgo, Fran­co­forte, Bru­xel­les, adesso anche Milano: ben­ve­nuti in Europa. Dun­que, si può con­vi­vere con leg­ge­rezza con chi non accetta media­zioni e scende in piazza solo per spac­care tutto? Evi­den­te­mente no, ma sul che fare è ancora buio pesto per gli anta­go­ni­sti che con­te­stano il modello Expo. Di sicuro, a lec­carsi le ferite, è rima­sto un “movi­mento” che rischia di non avere più spazi di agi­bi­lità per lungo tempo. Ma il pro­blema del con­senso prima o poi biso­gnerà affron­tarlo, anche per­ché mai come in que­sto momento tutti sono con­tro — si fa per gene­ra­liz­zare — quei cat­tivi dei “cen­tri sociali”. Chi invece abbozza ana­lisi non scon­tate che rischiano di essere tac­ciate di “fian­cheg­gia­mento” al blocco nero (ce ne sono) oggi non ha la forza di uscire allo sco­perto. Prima o poi potrebbe arri­vare la buriana: ieri 15 per­sone sono state por­tate in que­stura, e i cin­que arre­stati rischiano fino a quin­dici anni di car­cere per “devastazione”.
I primi a ragio­nare “nero su bianco” (il comu­ni­cato) sono i più corag­giosi nell’analisi. Con toni e accenti diversi tra loro. Pren­diamo l’area di Infoaut, il punto di vista più arti­co­lato. Il cor­teo del primo mag­gio, scri­vono, “è la prima grande pro­te­sta con­tro Renzi e il suo modello di svi­luppo, e così verrà ricor­data”. Sulla que­stione che più indi­gna, “il metodo”, que­sto il ragio­na­mento: “Spac­care uti­li­ta­rie o vetrine a caso è un gesto idiota che ha senso sol­tanto per chi assume come refe­rente del suo agire poli­tico il pro­prio micro-milieu ombe­li­cale”. Ma il punto è: “Con quel modo di stare in piazza biso­gna fare i conti e nes­suna strut­tura orga­niz­zata è in grado di eser­ci­tare una forza di con­trollo”. Il che signi­fica: “Quella rab­bia, quella com­po­si­zione, quei sog­getti sono affare nostro e vogliamo averci a che fare, con tutte le dif­fi­coltà del caso. Chi se ne tira fuori — per cal­colo, paura o pre­sunta supe­rio­rità politico-morale — sta trac­ciando un solco tra gli alfa­be­tiz­zati della poli­tica e gli impo­ve­riti ed arrab­biati”. Il nodo del “con­senso”, esi­ste, scrive Infoaut, ma non porsi il pro­blema di come dare un senso a quella rab­bia è un grosso errore. Non solo per il movimento.

Militant.blog vuole pre­ci­sare che non c’è un cor­teo buono e uno cat­tivo, anche se la rab­bia del primo mag­gio non è stata espressa nel migliore dei modi. Il pro­blema, scri­vono, “non è lo scon­tro e la deva­sta­zione” ma “è come creare con­senso attorno a pra­ti­che con­flit­tuali”. Ripar­tire da qui è il punto, “tor­nando a fare poli­tica, cioè costruendo un discorso con­flit­tuale che vada di pari passo al sen­tire comune della classe. Senza acce­le­ra­zioni inu­tili o altret­tanto inu­tili atten­di­smi”. Sul sito di Mila­noin­mo­vi­mento (una delle realtà più “den­tro” alla costru­zione della May­Day) si legge un primo abbozzo di auto­cri­tica: non avreb­bero voluto un cor­teo così. Il timore è che arre­sti e repres­sione impe­di­scano anche di ragio­nare, per­ché “anni di lavoro sui con­te­nuti oggi sono stati let­te­ral­mente spaz­zati dalla scena pub­blica”. Il punto è che “con­ti­nuiamo a non essere capaci di costruire con­nes­sione sen­ti­men­tale con quei pezzi del paese e della società che dob­biamo invece impa­rare a capire e coin­vol­gere nelle bat­ta­glie che o sono massa o sono con­dan­nate all’irrilevanza”. Vero. Le rifles­sioni dun­que sono appena comin­ciate, la Rete No Expo deve ancora espri­mersi e pro­ba­bil­mente lo farà dopo l’assemblea di oggi pome­rig­gio. Ma a poche ore dal disa­stro sem­bra che qual­cosa stia già rico­min­ciando a muoversi.

Così si brucia la protesta Fonte: Il ManifestoAutore: Norma Rangeri

Che senso ha ince­ne­rire la giu­sta lotta per il diritto al cibo con una raf­fica di molo­tov? Come si pos­sono con­tra­stare la povertà e la fame nel mondo, se si dan­neg­giano negozi, se si incen­diano le auto di cit­ta­dini incol­pe­voli, se si mette in campo solo una anar­chica voglia di distru­zione? Cosa signi­fica mani­fe­stare indos­sando una maschera antigas?Ha ragione il sin­daco di Milano, Pisa­pia, a defi­nire imbe­cilli que­sti tra­ve­stiti di nero che si diver­tono a fare i cat­tivi. A volto coperto. Tut­ta­via non basta qual­che agget­tivo per cata­lo­gare dei com­por­ta­menti scon­si­de­rati. Per­ché chi agi­sce ricor­rendo ad una vio­lenza fine a se stessa, distrugge in primo luogo la poli­tica, il diritto di mani­fe­stare paci­fi­ca­mente, mette in un angolo i movi­menti che vogliono espri­mere — anche in piazza — un’altra visione del mondo.

Gli effetti del van­da­li­smo anti-Expo del primo mag­gio non sono solo quelli che abbiamo visto nelle imma­gini tv. Ce ne sono altri, meno evi­denti. Eppure molto con­creti. Per­ché secondo il pre­ve­di­bile copione, la legit­tima pro­te­sta e la con­te­sta­zione della ras­se­gna uni­ver­sale sono state offu­scate pro­prio dal fumo nero che si è levato dai tanti foco­lai di incen­dio pro­vo­cati dai piro­mani di professione.

Que­sti cosid­detti black bloc cono­scono bene le regole della comu­ni­ca­zione, sanno benis­simo che il sen­sa­zio­na­li­smo delle loro azioni viene usato per igno­rare i com­por­ta­menti, paci­fici, altrui. E que­sto ruolo non gli va più con­cesso: i movi­menti devono essere i primi a sen­tirsi dan­neg­giati per quanto è acca­duto. E com­por­tarsi di con­se­guenza, pren­dendo le distanze e difen­den­dosi da chi ha nulla a che fare con la politica.

L’Expo può essere e deve essere cri­ti­cato. Per­ché non risol­verà i pro­blemi degli affa­mati della Terra. Per­ché l’economia mon­diale non può restare nelle mani delle mul­ti­na­zio­nali che, come dice Van­dana Shiva, pen­sano soprat­tutto a nutrire se stesse, non certo il Pia­neta. Per­ché come accade con i grandi eventi, sem­pre molto costosi, dif­fi­cil­mente sedi­men­terà qual­cosa che durerà nel tempo. Per­ché biso­gna essere dav­vero otti­mi­sti per cre­dere che risol­le­verà il nostro Pil di qual­che deci­male. Per­ché una delle “voca­zioni” del paese, il turi­smo, non si ali­menta con le mani­fe­sta­zioni a ter­mine ma con una stra­te­gia e inve­sti­menti di ampio respiro.

La vio­lenza ha messo in un angolo anche l’altro Primo Mag­gio, quello più auten­tico e sto­rico: la festa del lavoro che non c’è. La messa a soq­qua­dro di Milano ha fatto pas­sare in secondo piano la pro­te­sta sin­da­cale con­tro il governo e i suoi fal­laci e pate­tici pro­clami sulle magni­fi­che e pro­gres­sive sorti del Jobs Act. E ha messo in sor­dina il forte mes­sag­gio lan­ciato da un luogo sim­bo­lico dell’accoglienza agli immi­grati in fuga da guerre, dispe­ra­zione, fame. Forse Poz­zallo, pic­colo paese sici­liano, rap­pre­sen­tava il vero con­tral­tare all’abusata reto­rica del pre­si­dente del Con­si­glio all’inaugurazione dell’Expo.

Tutto que­sto è stato “bru­ciato” da chi ama distrug­gere le cose e anche le idee e le opi­nioni costruite fati­co­sa­mente. E soprat­tutto quelle die­tro le quali si nascon­dono. Per­ché agi­scono insi­nuan­dosi e con­fon­den­dosi nei cor­tei, nei movi­menti. Ai quali diamo un mode­sto con­si­glio: la pros­sima volta si scenda in piazza con un effi­ciente ser­vi­zio d’ordine. Un tempo si orga­niz­za­vano come stru­mento di auto­di­fesa. In primo luogo dalla poli­zia che, sta­volta, ha fatto un’opera di con­te­ni­mento, evi­tando di pro­vo­care uno scon­tro gene­ra­liz­zato che avrebbe avuto ben altre con­se­guenze. Adesso i ser­vizi d’ordine devono ser­vire anche per distin­guersi da chi pensa che ferire il cen­tro di una città sia la solu­zione. Ma una pre­senza orga­niz­zata in piazza non si improv­visa, richiede una coe­sione poli­tica e sociale che manca sia nei movi­menti che nella sini­stra di alternativa.

“Andiamo avanti. Quello che è successo in piazza non è stato il frutto di una elaborazione collettiva”. Parla Luciano Governali da: controlacrisi.org

Luciano Governali. Tu eri presente venerdì a Milano, insieme ai compagni di Sciopero sociale. Che corteo hai visto?
Ho visto un certeo immenso. Tra le venti e le trentamila persone in piazza a Milano, nonostante pullman bloccati in giro per l’Italia, il terrorismo mediatico sparso a piene mani, e tre giorni di pressione da parte della polizia con sgomberi e perquisizioni. Operazioni di polizia, voglio sottolineare, alla fine abbastanza ridicole nel propagandare un’orda di violenti pronti all’assalto della città. Tra le altre cose si sono mostrate bottiglie di succhi di frutta sormontate da rotoli di caarta igienica a testimoniare secondo loro la presenza di bottiglie molotov.

Insomma, doveva passare per forza l’idea della devastazione…

Di solito il May Day raccoglieva poche migliaia di persone. Stavolta è andata meravigliosamente. Cosa che i mass media non hanno mostrato. E nemmeno la politica sembra aver voluto recepire. Il secondo dato che vorrei sottolineare è che in generale la costruzione dell’immaginario dai mass media dall’altro pomeriggio in poi è stato quello di una Milano a ferro e fuoco e devastata. In realtà tutto questo ha riguardato un incrocio, quello nei pressi di piazza Cadorna. Non c’è stato quindi un corteo che ha devastato la città. Il corteo ha attraversato Milano e in alcuni punti ci sono state le immagini che tutti abbiamo visto. Quindi non in più punti del corteo. Niente di paragonabile ai riots di Londra o di Parigi.

Che valutazione dai del comportamento delle forze dell’ordine, che sembrano non aver voluto reagire se non nei limiti…
Sulla polizia, mi sembra evidente che da Genova in poi questure e ministero degli Interni facciano molta politica nell’uso della forza. Quando si deve dare un segnale a un movimento nascente lo si fa con la forza. Penso appunto a Genova o alle iniziative del 2012 che stavano unendo studenti e precari, massacrati sul lungotevere a Roma e in altre città. Lì hanno voluto far vedere che non si sono margini di mediazione. Mi sembra paradossale elogiare la polizia dopo la vicenda di Milano. La polizia sa quando di fronte ha un movimento di massa grosso a cui dare un segnale o quando ha delle avanguardie più o meno organizzate che può benissimo lasciare sfogare e contro le quali usare i muscoli sarebbe un assist per avere poi magari una reazione dell’intero corteo. Credo che la questura avesse benissimo chiaro chi aveva davanti e rispondere sarebbe stato controproducente. La narrazione mediatica ha trasferito l’azione di alcuni gruppi all’intero corteo. Tutto questo sarebbe stato difficile raccontarlo in questi termini se la polizia avesse reagito.

Adesso ci sarà una grossa discussione su quanto accaduto a Milano. Poi però ci sono ancora sei mesi di tempo per attaccare l’immagine dell’Expo…
Non mi voglio arrendere. Quello che è successo in piazza non è stato frutto di una elaborazione collettiva di tutti i pezzi che hanno costruito le giornate di Milano. Ognuno ha le sue elaborazioni. Noi pensiamo per esempio che più che il grande evento, al quale comunque partecipiamo, ci interessa il lavoro quotidiano sulle vertenzialità; per esempio, un progetto che stiamo lanciando è quello di “Exproprio”, un bando pubblico per creare e mettere in rete progetti culturali e musicali di riappropriazione sulla falsariga di Expo, appunto cioè difesa dei territori e sovranità alimentare, piuttosto che lavoro e differnza di genere. La campagna contro il lavoro gratuito, di cui i sindacati sono stati complici, andrà avanti. In questi mesi siamo riusciti ad esprimere un po’ di più i nostri contenuti nel dire che Expo no èuna oppotunità formativa ma sfruttamento puro. Di questo sentiremo parlare ancora tanto. Non sarà facile far pasare il lavoro dequalificato come una opportunità Di malcontento si continuerà a parlare.

Manca ancora una proiezione internazionale della lotta contro Expo, che invece è un evento mondiale…
Il May Day Parade in parte lo è stato. Tanti piccoli gruppi da fuori hanno dato il loro contributo. Non c’è alcun criterio sul fatto di bloccarli,visto che c’è Schengen. Le reti europee che stanno ricominciando a nascere in questi mesi comunque ancora fanno molta fatica a darsi una continuità di lavoro e sorpattuto di analisi. Staremo a vedere quanto Expo ci aiuterà in questa direzione.

autore fabrizio salvatori