di Francesco Bertelli – 27 aprile 2015
C’è una storia agghiacciante che fa parte del nostro Paese. Lo sappiamo che l’Italia è costellata di storie strane ed inquietanti. Il passato ne è pieno. Ma questa vicenda appartiene ad un recente passato che si perpetua nel presente.
Come in un film. Sarebbe perfetta la voce fuoricampo del narratore; una voce che potrebbe dire queste parole: “Inutile che vi indignate, tanto qui funzionerà sempre così. Sono Loro che comandano”.
C’è un maresciallo dell’Arma dei Carabinieri che presta servizio presso il nucleo investigativo del comando provinciale dei Carabinieri di Palermo. Il suo nome è Saverio Masi, pochi oggi sanno la sua storia. Siamo nel 2001. Grazie al suo lavoro meticoloso, Masi riesce a costruire i movimenti di Matteo Messina Denaro e Bernardo Provenzano. Arriva ad un passo dal catturarli. Poi però l’imprevedibile: tutto si blocca. Masi viene subito allontanato e spedito a Caltavuturo. Come per dire: troppo scomodi i curiosi, meglio allontanarli.
Masi non ci sta. Da solo e con pochissimi pezzi a disposizione ci riprova. Alla fine riesce ad individuare un contatore Enel attribuibile a chi gestisce (a quel tempo, siamo nel 2004) la latitanza di Provenzano.
Anche stavolta stessa cosa: indagini bloccate dall’alto.
Anche per la cattura di Matteo Messina Denaro il discorso non cambia. Masi, sempre nel 2004, riesce ad individuare la villa dove il boss è latitante. Ma niente da fare.
E’ come se ai piani alti la cattura di Provenzano e Messina Denaro risultasse scomoda. Collocate in un momento non propizio.
E’ la trattativa, bellezza.
Il bello però deve ancora venire. Nel 2011 infatti, Masi viene allontanato dal reparto operativo a cui apparteneva. Motivo? Una condanna a 8 mesi di reclusione per falso materiale, falso ideologico e tentata truffa, con l’accusa di aver falsificato un atto del proprio ufficio al fine di far annullare una sanzione per infrazione del codice della strada di 106 euro subita nel 2008 durante lo svolgimento delle sue funzioni, utilizzando una vettura privata, quando prestava servizio in forza al nucleo investigativo del comando di Palermo. Masi viene condannato in primo grado. Recentemente la sua condanna viene alleggerita dal campo del falso ideologico.
Adesso la Cassazione ha confermato la condanna: il maresciallo Saverio Masi (caposcorta del pm Nino Di Matteo) è stato condannato a sei mesi per falso materiale e tentata truffa. In appello era caduta l’accusa per falso ideologico e la difesa aveva chiesto, il giorno prima del pronunciamento della Cassazione, l’annullamento con rinvio per entrambe le accuse. Nulla da fare.
La domanda sorge spontanea: e adesso? Come agirà l’Arma dei Carabinieri? Espelle il maresciallo? Getta discredito nei suoi confronti? Staremo a vedere, il fatto certo è che questa condanna pare mossa sempre attraverso quel filo rosso che vuole liberarsi inesorabilmente di certe figure scomode al “sistema”. Condanna che potrà sicuramente mettere in cattiva luce le rivelazioni rilasciate da Masi stesso al processo sulla “trattativa” fra Stato e mafia.
Vincono “loro” quindi. Per l’ennesima volta. Si rischia così di perdere professionalmente uno dei soggetti più esperti nella lotta alla mafia. Ci sono soggetti in alto che aspettavano questo tipo di verdetto e si sono mossi perché ciò accadesse. Masi è scomodo. Non lo si può eliminare fisicamente, si sceglie l’eliminazione dal punto di vista professionale. Ecco l’Italia del 2015.
Non sono bastati io sit-in di Scorta Civica e delle Agende Rosse presenti in Italia. Non è bastato il grido della società civile contro gli abusi che un uomo onesto come Masi ha subito in questi quattro anni di processo. Serve qualcosa di più.
E’ lampante che tutte queste manovre giunte alla fine ad una condanna, siano il frutto della trattativa che è ancora in corso, e che tutti (nel mondo istituzionale) fanno finta di non vedere. Con una mano ci si tappa un occhio e con l’altra si stringono legami ed accordi per far fuori (professionalmente, come in questo caso) i migliori talenti nella lotta alla criminalità.