► Venerdì 10 aprile ad Alfonsine celebrazione del 70esimo anniversario della battaglia del Senio e della Liberazione di Alfonsine. Interverrà il Presidente Nazionale dell’ANPI
►“Raimondo Ricci. Il partigiano, il giurista, il legislatore. Una vita dedicata alla democrazia“: lunedì 13 aprile convegno a Genova promosso dall’ILSREC. Interverrà, tra gli altri, il Presidente Nazionale dell’ANPI
Pubblichiamo di seguito il comunicato della Segreteria nazionale ANPI sulla questione delle medaglie conferite a Paride Mori e ad altri: (…)
ARGOMENTI
Notazioni del Presidente Nazionale ANPI, Carlo Smuraglia:
►Si torna a parlare di legge elettorale. Secondo il Governo, l’iter dovrebbe essere ripreso in questo mese (forse in questi giorni) e concludersi rapidamente e definitivamente alla Camera. Senza alcuna modifica e senza ulteriori discussioni, al punto che si fa balenare persino l’idea della fiducia(…)
► E’ morto Giovanni Berlinguer, dirigente politico, studioso e grande esperto di medicina sociale. E’ soprattutto per quest’ultimo aspetto che desidero ricordarlo, oltreché per la sua cultura, la sua signorilità, la sua indipendenza di giudizio(…)
— Alessandro Mantovani , dal libro «Diaz» Fandango, 2011, 7.4.2015
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Erano andati alla Diaz perché la pioggia aveva reso impraticabili i campeggi utilizzati in quei giorni dai manifestanti. A loro la scuola, accanto alla sede ufficiale del Genoa Social Forum, sembrava «il posto più tranquillo per passare la notte».
Non era così. Altri, infatti, erano preoccupati, tesi. Specie alla Pascoli dove c’erano militanti più accorti, mediattivisti e giornalisti, l’europarlamentare Luisa Morgantini e fino a pochi minuti prima anche l’avvocato Laura Tartarini, genovese, vicina ai centri sociali e ai movimenti antagonisti e in seguito vicepresidente del consiglio comunale del capoluogo ligure; già allora interlocutrice diretta della questura e della Digos.
Sia alla Pascoli che alla Diaz c’erano persone che in quei giorni erano state semplicemente travolte dagli avvenimenti, altre che avevano partecipato alle varie fasi degli scontri, specie quelli del 20 luglio che avevano coinvolto diverse migliaia di persone. Molti sapevano che erano in corso controlli della polizia, uno l’avevano fatto lì vicino in via Trento, in un bar dove un gruppetto era andato a mangiare e a bere qualcosa. Le voci di perquisizioni, tra i giornalisti, si rincorrevano da ore in un clima di tensione. Anche chi non aveva niente da nascondere temeva la polizia, perché assisteva da due giorni a violenze ingiustificate da parte di uomini in divisa.
Eppure, le manifestazioni contro il G8 erano finite. Quello che non doveva succedere era già successo. Giravano, non solo fra i no global, le voci più incredibili: altri morti, persone che non si trovavano più. Si compilavano inquietanti elenchi di «scomparsi», che poi erano quasi tutti a Bolzaneto e non avevano potuto comunicare. Gli scontri erano largamente previsti, il movimento era sceso in piazza con decine di avvocati, medici e infermieri muniti di pettorina, ma nessuno alla vigilia poteva immaginare una simile esplosione di violenza.
A mezzanotte, quando arrivò la polizia, gran parte degli ospiti della Diaz stava andando a letto. Erano nei sacchi a pelo o si lavavano i denti. Chi dormiva fu svegliato. Qualcuno, dalle finestre ai piani superiori, gridò ai poliziotti: «andate via», «non entrate». Anche dall’altra scuola urlavano di non entrare: «Vi stiamo riprendendo, il mondo vi guarda». Sui poliziotti piovve dall’alto qualche oggetto ma non il «fitto lancio» che scrissero poi nei verbali. Non certo il «grosso maglio da carpentiere» di cui scrisse Canterini e parlò Mortola: nessun altro confermò di averlo visto e non c’è n’é traccia delle immagini girate dalla telecamera che in quel momento riprendeva l’intero cortile. (…) Un altro vide volare una scrivania, ma nei filmati non si vede neanche quella.
Una o più persone chiusero il cancello e sistemarono una panca, forse un paio di sedie, davanti al portoncino di legno. Altri dissero che era una sciocchezza, fecero rimostranze. Nessuno indicò mai chi fosse stato a chiudere.
L’irruzione, vista da fuori, fu talmente spaventosa che diversi abitanti della zona, presi anche loro dal panico, diedero l’allarme al 118 e perfino al 113. Molti sentivano i rumori, i colpi, le grida disperate, l’elicottero, ma non vedevano cosa stesse succedendo. Le telefonate sono registrate, uno diceva: «Pronto, polizia? Qui in via Cesare Battisti stanno attaccando i ragazzi!». L’operatrice non sapeva cosa rispondere: «Sì lo sappiamo, grazie». Qualche minuto dopo un’altra chiamate dello stesso tipo e la poliziotta, sempre più imbarazzata: «Siamo già lì, signora, non si preoccupi».
(…) La polizia fornì con grave ritardo un elenco di 453 uomini (e donne) che parteciparono alle varie fasi dell’operazione, compresi i 150 carabinieri che rimasero sempre all’esterno dell’edificio come del resto un gran numero di poliziotti. È però un elenco incompleto. Furono riconosciuti e individuati molti altri agenti che non figuravano nella lista. Erano diverse decine, compresi i 30 del reparto mobile di Bologna che si distinse per interventi piuttosto violenti al G8 e altrove, anche con strascichi penali significativi; più una ventina del reparto mobile di Roma, estranei al Settimo nucleo. Uno degli uomini fuori dall’elenco è Pietro Troiani, il vicequestore che mezz’ora dopo l’irruzione fece portare le molotov nel cortile della Diaz.
(…) Il video girato dalla Pascoli mostra decine di agenti che si accalcano sull’ingresso. Molti sono in tuta da ordine pubblico scura, priva cioè del tradizionale cinturone bianco, con i caschi azzurri opachi mentre gli altri sono più lucidi: quelli vestiti così appartengono al Settimo nucleo. Erano gli unici, nella polizia, a usare il tonfa. Il supermanganello con l’impugnatura laterale è in policarbonato molto più rigido del comune sfollagente e diventa un’arma micidiale se utilizzato «a martello». Dall’alto verso il basso, o peggio rovesciato, per picchiare con il manico. Fournier spiegò, durante indagini e processo, che quel manganello può uccidere. Quando i pm fecero sequestrare i tonfa della Diaz, uno su dieci risultava ancora sporco di sangue.
I pestaggi durarono 10 minuti. Sul luogo c’erano 300 poliziotti. Nessuno ha fatto un nome
Nel filmato si vede un agente del Settimo che spacca i vetri di una finestra al pian terreno, evidentemente per terrorizzare le persone all’interno. È ancora uno del Settimo che forza il portoncino centrale, quindi sposta la panca sistemata a mo’ di barricata, scavalca qualcos’altro ed entra. Passa il secondo, poi il terzo. Ci sono anche poliziotti con la cintura bianca, altri in borghese con la scritta «polizia» sulla pettorina, altri ancora con la divisa «atlantica». «Una macedonia di polizia», disse Canterini. «La notte del volontariato», ironizzò in aula l’avv. Silvio Romanelli. (…)
Una volta dentro, i poliziotti picchiarono selvaggiamente dal piano terra fino al quarto piano. Picchiarono gente che nella palestra, al pian terreno, li accolse con le mani alzate.
Dicevano «peace» e «no violence», erano terrorizzati e furono aggrediti, abbattuti da manganellate e calci. «Come se fosse una carica», disse una di loro. Dal lato opposto della palestra Lorenzo Guadagnucci, giornalista allora al Carlino e simpatizzante no global, fu pestato a freddo nel sacco a pelo. Cercava di proteggere una ragazza che era stata già colpita. Ebbe solo il tempo di chiedere «perché?». Nessuno lo sentiva. Aveva 37 anni, al momento dell’irruzione si era appena addormentato. Prima che lo aggredissero ebbe modo di assistere al pestaggio delle persone di fronte.
(…) Gli agenti sembravano impazziti, urlavano «Bastardi», «Morirete», «Nessuno sa che siete qui», «Vi siete divertiti, eh? Adesso vi ammazziamo». E ancora: «Froci», «zecche». Alle ragazze strillavano: «Brutta troia» e «puttana». Alcuni prelevarono «trofei», ciocche di capelli tagliate sul momento: lo raccontarono almeno cinque testimoni. Un ragazzo ebbe una crisi epilettica. Fu ritrovato materiale fecale perché qualcun altro non riuscì a trattenere la paura. Al primo piano si fecero trovare ai due lati del corridoio, per dimostrare le loro intenzioni pacifiche. Furono bastonati e presi a calci uno per uno, subirono diverse ondate di pestaggi. Almeno due feriti rischiarono la vita per lesioni al cranio, altri riportarono fratture delle braccia, delle gambe, del costato. Thomas Daniel Albrecht, all’epoca 21enne, violoncellista a Berlino, (…) raccontò che i poliziotti li pestarono «senza fretta». (…)
Non sapremo mai chi fece cosa. Non sapremo mai chi spezzò un braccio e una gamba ad Arnaldo Cestaro, allora sessantaduenne, arrivato dal Vicentino solo soletto per manifestare contro gli otto «grandi» e rimasto lì quella notte perché l’indomani voleva portare i fiori sulla tomba della figlia di una sua vicina. Fu uno dei primi a cadere nella palestra al pian terreno. Dice che dormiva, pensò che ad aggredirli fosse chissà quale black bloc «e invece era — raccontò ai giudici — la nostra polizia, quella che ci dovrebbe proteggere». (…)
Non tutti i poliziotti picchiarono e sputarono. Alcuni cercarono di fermare i colleghi (…). Nessun agente, però, seppe indicare i colleghi che infierivano su gente indifesa. Neanche uno solo.
di AMDuemila – 8 aprile 2015
Il Consiglio superiore della magistratura ha bocciato la candidatura del pm Nino Di Matteo, che insieme ai colleghi Teresi, Del Bene e Tartaglia si occupa del processo sulla trattativa Stato-mafia. La bocciatura riguarda il concorso per la copertura di tre posti alla procura nazionale antimafia. Il plenum ha nominato al suo posto tre colleghi meno noti, tra cui Eugenia Pontassuglia, pm del processo di Bari sulle escort che frequentavano le residenze di Silvio Berlusconi.
Una decisione che è stata presa a maggioranza. A Di Matteo, infatti, sono andati 5 voti, contro i 16 attribuiti agli tre magistrati scelti. Oltre a Pontassuglia, gli altri nuovi sostituti della Procura diretta da Franco Roberti sono il sostituto procuratore napoletano Marco Del Gaudio, pm del processo all’ex presidente di Finmeccanica Pierfrancesco Guarguaglini e il sostituto Pg di Catanzaro Salvatore Dolce, titolare di diverse inchieste sulle cosche calabresi.
Il nome del pm palermitano, inizialmente bocciato, era poi tornato in gioco a seguito della proposta del togato Aldo Morgigni (Autonomia e Indipendenza) che durante l’ultimo plenum del 17 marzo aveva evidenziato come la Terza Commissione, proponendo la propria terna di nomi, non avesse valutato nel giusto modo la candidatura di Di Matteo. Nella nuova graduatoria stilata da Morgigni Di Matteo era al primo posto secondo il meccanismo dei punteggi assegnati per ogni titolo. Il verdetto del Csm, però, ha confermato la bocciatura iniziale.
La condanna dell’Italia da parte della Corte Europea per le torture commesse nel luglio 2001 a Genova e’ un atto doveroso e condivisibile.
Una vergogna annunciata: nell’indifferenza del mondo politico italiano la Corte Europea ci condanna, giustamente, per il mancato rispetto dei diritti umani fondamentali.
A 14 anni dal G8 di Genova e ad oltre trent’anni dalla firma della convenzione internazionale contro la tortura tale reato non e’ ancora stato inserito nel nostro codice.
Sono stati gli stessi magistrati a riconoscere che quella notte alla Diaz e poi a Bolzaneto, furono commesse torture contro persone inermi, pacifiche e indifese e furono gli stessi magistrati a denunciare l’assenza di tale reato nel nostro ordinamento. Le conseguenze furono pene lievi per i responsabili, nessuno di loro trascorse nemmeno un giorno in carcere e tutti restarono ai loro posti (tranne quelli rimossi automaticamente dai magistrati) e molti dei condannati furono addirittura promossi.
Il reato di tortura come fattispecie specifica per i funzionari pubblici e’ previsto nella grande maggioranza dei Paesi europei ed e’ a tutela non di una parte politica,ma di tutti i cittadini. Una polizia che agisce nella legalita’ non dovrebbe avere alcun timore dall’istituzione di tale reato; altrimenti significa dare per scontato che le forze dell’ordine nel compiere il proprio lavoro agiscano contro e al di sopra della legge, e questo e’ inaccettabile in qualunque stato di diritto.
A maggior ragione ora non e’ più rinviabile una legge ad hoc, e non e’ accettabile il silenzio del governo su un argomento tanto delicato.
Con quelle torture e con la notte cilena della Diaz il governo di allora tento’ di distruggere un grande movimento che aveva già’ ben compreso come questo modello di sviluppo dominato dalla finanza avrebbe provocato negli anni seguenti una crisi sociale ed economica senza precedenti.
Non ci hanno ascoltato, hanno usato la violenza e la tortura per schiaccarci; ma avevamo ragione e i risultati sono oggi sotto gli occhi di tutti.
* associazione CostituzioneBeniComuni, già’ portavoce del Genoa Social Forum nel luglio 2001
Nella Giornata internazionale dei Rom e dei Sinti pubblichiamo l’appello del comitato promotore della legge di iniziativa popolare per la tutela e le pari opportunità della minoranza dei Rom e dei Sinti –
Rom e Sinti sono la più grande minoranza europea – oltre 12 milioni distribuiti in tutti i Paesi -; non hanno una terra di riferimento, neppure l’India delle lontane origini, non hanno, come altre minoranze, rivendicazioni territoriali, quindi non hanno mai fatto guerre per rivendicare una patria, non hanno sedi di rappresentanza, sono cittadini del luogo nel quale vivono. Rappresentano quindi il perfetto popolo europeo, ma ciononostante sono il popolo più discriminato d’Europa.
In Italia sin dal 1400 Rom e Sinti sono la minoranza storico-linguistica più svantaggiata e più stigmatizzata nonostante gli obblighi internazionali e comunitari dell’Italia e gli interventi di numerose organizzazioni internazionali, tra cui il Consiglio d’Europa, l’OSCE e l’Unione europea. In Italia Rom e Sinti sono circa 150.000, oltre metà cittadini italiani, ma ciononostante continuiamo ad essere considerati fondamentalmente come “estranei” e “nomadi”. Il “nomadismo” moderno è piuttosto rappresentato dall’essere ancora un popolo che vive ai “confini”, non solo fisici, nel tentativo di costruire dei rapporti di pacifica convivenza e di mantenimento della propria identità, che consiste anche in una concezione di vita, che si può anche definire uno stato dell’anima, un modo di vedere il mondo, lo spazio e il tempo che non si possono omologare.
Anche per questa “irriducibilità” all’omologazione, le amministrazioni pubbliche non hanno mai fatto una politica che non fosse quella del contenimento e della marginalizzazione delegandone la gestione al privato sociale. Eppure la partecipazione di rom e sinti alla vita collettiva con il proprio contributo umano e culturale è fondamentale per superare l’esclusione, la marginalizzazione di un popolo che ha attraversato secoli di discriminazione fino allo sterminio razziale e che non deve rimanere confinato nei ghetti fisici e spirituali, nei quali troppo spesso viene relegato destinandolo all’assistenza e non alla propria responsabilità.
La proposta di legge di iniziativa popolare “NORME PER LA TUTELA E LE PARI OPPORTUNITA’ DELLA MINORANZA STORICO-LINGUISTICA DEI ROM E DEI SINTI “ presentata da 14 cittadini italiani in rappresentanza di 47 associazioni rom e sinte il 15 maggio 2014 presso la Corte di Cassazione vuole realizzare gli articoli 3 e 6 della Costituzione che prevedono la pari dignità sociale e l’eguaglianza davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di etnia, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali; la tutela di tutte le minoranze storico-linguistiche con apposite norme; contrastare discriminazione e pregiudizio nei confronti della minoranza rom e sinta che sono causa della scarsa integrazione nella società e soprattutto della marginalizzazione sociale ed economica anche per il loro mancato riconoscimento istituzionale come minoranza.
Il disegno di legge di iniziativa popolare si articola in diversi punti:
1. la specifica tutela del patrimonio linguistico-culturale della minoranza rom e sinta, con istituti analoghi a quelli previsti dalla legge n. 482/1999 per tutte le altre minoranze (diritto allo studio e all’insegnamento della lingua, diffusione della cultura e delle tradizioni storico-letterarie e musicali);
2. l’incentivo e la tutela delle associazioni composte da Rom e Sinti, conforme alla libertà di associazione prevista dall’articolo 18 della Costituzione per favorire la partecipazione attiva e propositiva alla vita sociale, culturale e politica del Paese;
3. il diritto di vivere nella condizione liberamente scelta di sedentarietà o di itineranza, di abitare in alloggi secondo una pluralità di scelte secondo le norme della Convenzione-quadro per la tutela delle minoranze nazionali di Strasburgo dell’1 febbraio 1995, le raccomandazioni del Consiglio d’Europa, dell’OCSE e della Commissione europea e la Strategia nazionale d’inclusione dei Rom, dei Sinti e dei Caminanti;
4. norme che sanzionino le discriminazioni fondate sull’appartenenza ad una minoranza linguistica in attuazione del principio costituzionale di eguaglianza senza distinzione di lingua e di etnia.
Chi condivide questo appello condivide la convinzione che il riconoscimento della minoranza rom e sinta, della sua storia, della sua cultura, insomma della sua identità consente di accogliere rom e sinti nella comunità più generale insieme con tutte le altre identità che costituiscono il nostro patrimonio nazionale.
Promotori della proposta di legge di iniziativa popolare:
Dijana Pavlovic, Davide Casadio, Saska Jovanovic, Ernesto Grandini, Manuel Solani, Cen Rinaldi, Yose Bianchi, Giorgio Bezzecchi, Concetta Sarachella, Donatella Ascari, Massimo Lucchesi, Carlo Berini, Paolo Cagna Ninchi, Alessandro Valentino
Per aderire: semiriconiscimirispetti@gmail.com
Adesioni:
Alma Adzovic (mediatrice), Osmani Bairan (AIZO), Rita Bernardini (segretaria nazionale Radicali Italiani), Antun Blazevic(Associazione TheaterRom), Paolo Bonetti (Università Bicocca di Milano), Luca Bravi (storico), Marco Brazzoduro(Associazione Cittadinanza e Minoranze), Alberto Buttaglieri (SOS razzismo), Giuseppe Casucci (Dipartimento immigrazione UIL), Roland Ciulin (giornalista), Giuseppe Civati (parlamentare), Furio Colombo (giornalista), Kurosh Danesh (Dipartimento immigrazione CGIL), Chiara Daniele (ricercatrice), Giancarlo De Cataldo (scrittore), Michele Di Rocco (campione europeo pesi leggeri), Roberto Escobar (Università Statale Milano), Paolo Ferrero (segretario Partito della Rifondazione comunista), Eleonora Forenza (europarlamentare), Mercedes Frias (Associazione Prendiamo la parola),Dori Ghezzi (Fondazione Fabrizio De André), Alfonso Gianni (Fondazione Cercare Ancora), Graziano Halilovic(Associazione Roma onlus), Laura Halilovic (regista), Selly Kane (Dipartimento immigrazione CGIL), Curzio Maltese(europarlamentare), Luigi Manconi (presidente Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani),Filippo Miraglia (ARCI), Moni Ovadia (autore-attore), Francesco Palermo (parlamentare), Marco Pannella (Presidente del Partito Radicale Nonviolento Transnazionale Transpartito), David Parenzo (giornalista), Loris Panzeri (GRT), Pino Petruzzelli (autore-attore), Marco Revelli (storico e sociologo), Paolo Rossi (autore-attore), Giuseppe Sangiorgi (Istituto Luigi Sturzo), Angela Scalzo (Dipartimento immigrazione UIL), Pietro Soldini (CGIL nazionale), Giovanna Sorbelli(Associazione EU Donna), Barbara Spinelli (europarlamentare), Santino Spinelli (docente, musicista), Gennaro Spinelli(Associazione FutuRom), Carlo Stassolla (Associazione 21 luglio), Voijslav Stojanovic (Associazione Nonsolorom),Vladimiro Torre (Associazione Them Romanò), Antonio Tosi (Politecnico di Milano), Elena Valdini (Fondazione Fabrizio De André), Tommaso Vitale (Direttore scientifico Master “Governing the Large Metropolis” Sciences Po, Parigi), Alex Zanotelli(missionario comboniano).