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CATANIA 8 marzo 2015 : LA RAGNA-TELA P. UNIVERSITA’ ” La citè des dames”
CATANIA 6 marzo 2015: Librino Villa Fazio “Desdemona e le donne” l’ANPI e A.I.LAM incontrano le donne di Librino.
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Comunicato del Comitato antifascista e per la memoria storica-Parma sul “caso Mori” da: la redazione del sito Dieci febbraio.info Trieste
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Quel “Non c’entra la mafia” del Magnifico Rettore da: antimafia duemila
di Riccardo Orioles – 21 marzo 2015
“Lunedì 23 Marzo 2015, presso l’Aula Magna del Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali si svolgerà una conferenza per ricordare le vittime della Mafia nella quale sarà presentato il libro “La Mafia di Carta” del Prof. Tino Vittorio, accompagnato da interventi di autorità e istituzioni impegnate nel contrasto al crimine organizzato.
L’evento curato dai giovani di Azione Universitaria di Scienze Politiche è chiamato “Il Domani appartiene a noi” per ribadire che sono tanti i giovani stanchi del malaffare e di quella criminalità che ha così notevolmente danneggiato la nostra terra siciliana.
I relatori saranno: On. Nello Musumeci – Presidente della Commissione Antimafia; On. Burtone;
On.Catanoso; Rettore Prof. Pignataro. Modera Campo Morena. Evento organizzato da Azione Universitaria”.
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“La mafia di carta” di Tino Vittorio uscì poco tempo dopo l’assassinio di Giuseppe Fava. A proposito di esso un innominato mafoso protagonista del libro sostiene che:
“ Non c’entra la mafia. Donne, gioco per quel che ne posso intuire. La mafia non fa sgrusciu, non fa rumore. Se bisogna ammazzare qualcuno, tra pistola e corda, si opta per la corda”.
La tesi dell’omicidio “non di mafia” veniva portata avanti, nello stesso periodo, con tutti i mezzi in possesso dell’establishment catanese, in testa “La Sicilia” di Mario Ciancio, attualmente indagato per collusioni con mafiosi. A Catania, secondo i poteri politici, economici e anche accademici, la mafia “non esisteva”. Tesi ovviamente smentita non solo dalle numerosissime inchieste dei “Siciliani” prima e dopo l’assassinio di Fava, ma dalle risultanze giudiziarie. Fava fu assassinato dai poteri mafiosi per il suo impegno giornalistico contro di essi, e il “Non c’entra la mafia” del libro è – nel migliore dei casi – arbitrario e fuorviante.
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Su questo atteggiamento omertoso dell’establishment, di cui il libro di Vittorio può essere considerato esemplare, ho scritto molte volte. il 4 marzo 2012, sul “Fatto Quotidiano”, commemorando un vecchio amico magistrato, scrivevo che
“…ebbe la dignità e il coraggio – che mancarono alla maggior parte dei magistrati catanesi – di spezzare il cerchio della calunnia e dell’omertà. A quel tempo, non solo imprenditori in rapporto con Ciancio e giornalisti come Zermo ma anche “intellettuali” colonne dell’università negavano la matrice mafiosa dell’assassinio, o sulle colonne de “La Sicilia” o con appositi libri (La mafia di carta di Tino Vittorio)”.
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Queste righe mi son valse, nè me ne dolgo, una querela del Vittorio, cui deciderà a tempo e modo il Magistrato. Nel frattempo, la mia opinione, condivisa dalla totalità dei catanesi civili, è che il libro “Mafia di carta” contenga quanto meno una evidente e precisa falsità, quel “Non c’entra la mafia”.
Questa falsità viene oggi coonestata, publicamente e ufficialmente e nella sede stessa dell’Ateneo, dalla massima autorità accademica, il Rettore (nominalmente “progressista”) Pignataro.
Decenni dopo l’assassinio di Fava e le calunnie sparse sulla sua morte, il Vittorio viene pubblicamente onorato dalla presenza di politici e autorità, fra cui il presidente della Commissione antimafia siciliana. Costui è quel Musumeci che, all’indomani della scoperta di discutibili personaggi sedicenti antimafiosi (denunciati proprio sulle pagine dei “Siciliani”) colse la palla al balzo per proporre di mettere senz’altro all’asta i beni confiscati alla mafia, e cioè in buona sostanza di darli ai massimi imprenditori siciliani.
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“I Siciliani” continueranno a lottare contro la mafia, in toga o in coppola, e a smascherare l’”antimafia” fasulla, come sempre è stato. Ciò costerà – come sempre è stato – sacrifici durissimi per i giornalisti che ci lavorano, compresi i tanti giovani che, oramai da decenni, crescono da giornalisti e da cittadini sotto questa bandiera. Noi non chiediamo solidarietà nè protestiamo: nè i Fava, nè i D’Urso nè gli Scidà ne hanno mai avuta dai potenti di questa città, nè saremo noi a pretenderla. Osserviamo soltanto, amemoria di tempi più civili, che ancora una volta l’Università catanese si schiera per l’omertà e contro le vittime; e non si fa onore. “Forsan haec olim meminisse iuvabit”.
Tratto da: isiciliani.it
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Vincenzo Agostino: “il prezzo della ragione di Stato” da: antimafia duemila
di Lorenzo Baldo – 21 marzo 2015
Alla giornata della Memoria di Libera il grido del padre dell’agente Nino Agostino
Dal palco di Bologna don Ciotti grida che il nostro è un Paese “di stragi in gran parte impunite” e che ci sono ancora “troppe ombre, troppe zone oscure, trattative inconfessabili”. Il fondatore di Libera ricorda con forza le parole pronunciate ieri sera da Vincenzo Agostino, padre dell’agente Nino Agostino, ucciso il 5 agosto 1989 assieme a sua moglie Ida Castelluccio, incinta di pochi mesi: “il prezzo della ragione di Stato non può essere il nostro bisogno di verità e di giustizia. Ci deve essere la verità!”. Vincenzo è molto provato nel fisico, sua moglie Augusta è sempre al suo fianco. Ma ci sono anche i suoi figli e i suoi nipoti a dargli forza. La sua è una corsa contro il tempo per avere verità e giustizia. “Tutti noi familiari delle vittime di mafia non vogliamo più pacche sulle spalle da chi ci governa – afferma con determinazione il padre di Nino Agostino –. Vogliamo risposte, vogliamo fatti concreti, non vogliamo più promesse non mantenute. Io esigo verità e giustizia! Non ne posso più di tutti questi politici corrotti, devono andarsene a casa! Il presente e il futuro della gioventù deve essere libero, non deve essere più condizionato da questi malviventi! A mio avviso dopo due legislature ogni parlamentare dovrebbe tornare a fare quello che faceva prima”. “So benissimo che ci sono persone in vita che sanno dell’omicidio di mio figlio e di mia nuora ma non vogliono parlare – afferma con profonda convinzione –. Ma perché questi individui non si fanno un esame di coscienza? Ma forse non ce l’hanno e continuano a dire di non sapere nulla. E comunque io gli chiedo ugualmente di dire la verità perché altrimenti saranno sempre incatenati l’uno con l’altro. Vorrei tanto che, una volta individuati questi personaggi, ci fosse una legge che togliesse loro ogni proprietà…”. Per Agostino la parola Stato “deve significare espressamente verità e giustizia”. “Per quale motivo quelle che don Ciotti ha definito ‘trattative inconfessabili’ devono durare tutti questi anni nel nome di una ‘ragione di Stato’? Io non l’accetto! Io voglio i nomi e i cognomi di chi ha fatto questa trattativa! Non accetto che Nicola Mancino dica di non ricordare di aver incontrato Paolo Borsellino il giorno del suo insediamento al Ministero dell’Interno! Ma a chi lo vuol far credere? Qui tutti fanno finta di non ricordare!”.
Vincenzo Agostino si ferma un attimo, prende fiato: “per rendere giustizia a Nino e a Ida bisogna che parlino coloro che sanno, che si ricordino di quello che aveva lasciato scritto mio figlio, devono venire fuori le ‘mele marce’ che c’erano in quegli anni. Ma la ricerca della verità non vale solo per me. Oggi qui siamo più di mille familiari di tutte le vittime, con tante storie, ognuna diversa dalle altre, il 90% di queste persone non sa la verità sulla morte dei propri cari. Questo non è uno Stato degno di questo nome! Siamo al livello dei desaparecidos sudamericani dove i colpevoli restano tutti impuniti”. “Sono d’accordo con don Ciotti che bisogna stare vicino al pm Nino Di Matteo, che è il più esposto di tutti, e a quei magistrati che continuano a cercare la verità – aggiunge con forza –. Non voglio più funerali! Non voglio altri cortei o fiaccolate! Non dobbiamo permettere più che questo accada! Vogliamo uno Stato ‘giusto’ e non uno Stato ‘ad personam’. Vogliamo che la legge sia davvero uguale per tutti”. Proprio questa mattina Margherita Asta, figlia di Barbara Rizzo Asta e sorella di Salvatore e Giuseppe, unica sopravvissuta alla strage di Pizzolungo, ha chiesto che, i familiari delle vittime di mafia in primis, siano aiutati nella ricerca della verità facendo in modo che sia consentito loro l’accesso a tutte le fonti attraverso una vera propria desecretazione degli atti finora occultati. “Sono completamente d’accordo con Margherita – afferma Vincenzo Agostino –. Tutti noi dobbiamo poter aver accesso agli atti, anche a quelli più delicati, che possono contribuire al raggiungimento della verità. Mi domando, però, perché su tanti di quegli atti non è stato possibile accedere in questi anni: penso alla strage di Ustica, all’omicidio di Pietro Scaglione e a tanti altri omicidi e stragi. Ma chi è stato a uccidere Scaglione, la mafia?! E a Falcone e a Borsellino chi li ha uccisi, la mafia?! E potrei continuare chiedendo chi ha ucciso i giudici Costa e Chinnici… ma la domanda è un’altra: chi è la mafia? Cos’è la mafia? A partire da Portella della Ginestra si è sempre data la colpa alla mafia per determinati omicidi e stragi… ma chi sono questi mafiosi? E chi sono questi uomini che hanno trattato con questa mafia? Ormai questo è uno Stato-mafia e se non fosse stato per il figlio di Vito Ciancimino non saremmo nemmeno arrivati ad un processo sulla trattativa…”. Riflettendo sulla possibilità che dallo Stato possa finalmente giungere tutta la verità Vincenzo Agostino si dice “confuso”. “Non so quali nemici si nascondono dentro lo Stato e impediscono di far emergere la verità… 26 anni fa mi dissero che per avere le risposte sull’omicidio di mio figlio e di mia nuora dovevo guardare all’interno… all’interno delle istituzioni, intendo dire… ed oggi ne sono ancora più convinto”.
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Bolzano, identificati due dei sei aggressori contro tre giovani del Prc: sono di Casapound autore Fabrizio salvatori da: controlacrisi.org

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