Landini, la coalizione è servita da: il manifesto

Fiom. «Non siamo un partito, ma siamo qui per unire tutti quelli che il governo ha diviso». Il leader delle tute blu Cgil presenta il suo nuovo soggetto. All’incontro con movimenti e associazioni, ma senza politici né stampa, c’erano anche studenti, avvocati e partite Iva. Con i distinguo di Libera e l’attacco frontale da parte del Pd

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Maurizio Landini ieri alla sede nazionale della Fiom, a Roma, per presentare la sua “coalizione sociale”

E così è nata: non in piazza, o con uno scio­pero, ma con una discus­sione a porte chiuse. Lon­tano dalla stampa, «dal cla­more dei media», come aveva pre­ci­sato qual­che giorno fa la stessa Fiom, invi­tando i sog­getti della costi­tuenda Coa­li­zione sociale. E mostrando una certa aller­gia sia nei con­fronti dei poli­tici che dei giornalisti.

Un netto distacco dall’“apparato” — in altri ambienti si direbbe la “casta” — che il segre­ta­rio dei metal­mec­ca­nici Cgil, Mau­ri­zio Lan­dini, ha voluto rimar­care, pro­prio per­ché l’intento di que­sto nuovo sog­getto è quello di riap­pro­priarsi della poli­tica: fin dalla base, dai movi­menti e dalle asso­cia­zioni, e ovvia­mente dai luo­ghi di lavoro. «Per­ché la poli­tica non è una pro­prietà pri­vata», come ha evi­den­ziato nella famosa frase scritta in gras­setto nella sua let­tera di con­vo­ca­zione agli alleati.

Per l’ennesima volta Lan­dini, aprendo i lavori poco dopo le 10,30 nella sala riu­nioni della Fiom nazio­nale a Roma, ha ripe­tuto che «la coa­li­zione sociale non vuole essere un par­tito e non vuole fare un par­tito». Anzi, come ha spie­gato il costi­tu­zio­na­li­sta Gianni Fer­rara uscendo durante una pausa, ha detto che «chi pensa che siamo qui per fare un par­tito se ne vada a casa».

Que­sto non vuol dire che la Coa­li­zione sociale non fac­cia poli­tica, anzi: la fa nel senso più nobile del ter­mine, e Lan­dini cita l’articolo 2 della Costi­tu­zione, quello che «rico­no­sce e garan­ti­sce i diritti invio­la­bili dell’uomo, sia come sin­golo sia nelle for­ma­zioni sociali ove si svolge la sua per­so­na­lità, e richiede l’adempimento dei doveri inde­ro­ga­bili di soli­da­rietà poli­tica, eco­no­mica e sociale». Unirsi, «coa­liz­zarsi», è quindi un diritto e anche un dovere.

Unirsi, «unire quel che il governo ha diviso»: per que­sto, ripete Lan­dini, «serve supe­rare le divi­sioni, il fra­zio­na­mento, le soli­tu­dini col­let­tive e indi­vi­duali e coa­liz­zarsi insieme». È que­sto, «lo spi­rito inno­va­tivo» su cui si fon­derà la nuova coa­li­zione sociale, «indi­pen­dente e auto­noma», pun­tua­lizza ancora, riba­dendo i con­cetti che aveva scritto nella sua let­tera: per poter affer­mare una «visione nuova del lavoro, della cit­ta­di­nanza, del wel­fare e della società».

Nel corso dei diversi inter­venti si trac­cia un pos­si­bile per­corso, da fare insieme: con Libera, Arci, Emer­gency, ma anche Legam­biente, Libertà e giu­sti­zia, il gruppo Abele. E ancora, la pos­si­bi­lità di coin­vol­gere le asso­cia­zioni di free­lance e par­tite Iva, come gli avvo­cati di Mga, i far­ma­ci­sti, i dot­to­randi di ricerca. Chiaro che Lan­dini vuole andare oltre il sin­da­ca­li­smo metal­mec­ca­nico di stampo clas­sico, per coin­vol­gere i nuovi lavo­ra­tori, anche quelli che non si rico­no­scono come dipendenti.

Per trac­ciare un nuovo «Sta­tuto dei lavo­ra­tori», a par­tire dall’elaborazione della stessa Cgil, ma non solo, e anche andare a un «refe­ren­dum»: per «can­cel­lare quello che delle leggi attuali non ci piace, come il Jobs Act». E per fare que­sto, «biso­gna creare con­senso, dif­fon­dere e col­ti­vare una cul­tura dei diritti», e «lo pos­siamo fare solo se stiamo nelle fab­bri­che ma anche fuori». Dove serve la soli­da­rietà: «Per­ché sem­pre più per­sone si avvi­ci­nano al sin­da­cato dicendo che non arri­vano alla fine del mese, e allora a que­ste per­sone noi dob­biamo dare risposte».

Non a caso la sal­da­tura con i gruppi cat­to­lici, e con asso­cia­zioni come Emer­gency che assi­cu­rano l’assistenza sani­ta­ria a poveri e immi­grati. E poi i recenti rife­ri­menti, tra il serio e il faceto, a papa Fran­ce­sco. Allar­gare oltre il con­sueto stec­cato della sini­stra, abban­do­nare i vec­chi par­titi che hanno perso, pol­ve­riz­zati da Renzi, Grillo, e Sal­vini. Biso­gna dare un mes­sag­gio di «nuovo», al di là dei con­te­nuti più solidi, e que­sto Lan­dini lo sa bene.

Anche se ieri è arri­vata una prima pun­tua­liz­za­zione di Libera, che ha spie­gato che sì, par­te­cipa e col­la­bora, ma che non entra in nes­suna coa­li­zione sociale: «Libera non par­te­cipa a nes­suna coa­li­zione sociale», ha fatto sapere l’associazione di Luigi Ciotti in una nota. Libera spe­ci­fica di aver sol­tanto rac­colto l’invito a «incon­trarsi per affron­tare sin­gole que­stioni di comune inte­resse». «Nel mani­fe­sto con­clu­sivo di Con­tro­ma­fie, gli Stati gene­rali dell’antimafia svolti a Roma nell’ottobre 2014 abbiamo indi­cato con chia­rezza i dieci punti su cui siamo impe­gnati, come rete che rac­co­glie oltre 1.600 associazioni».

Lo scon­tro con i democrat

Come si può imma­gi­nare le peg­giori stoc­cate sono venute dal Pd. Non solo l’entourage ren­ziano, che ha par­lato solo in serata: «Si con­ferma che l’opposizione di que­sti mesi era più poli­tica che sin­da­cale», dice il vice­se­gre­ta­rio del Pd Lorenzo Guerini.

Ma i più acidi sono quelli dell’area rifor­mi­sta del Pd, che vedono togliersi poten­ziale ter­reno sotto i piedi, men­tre vor­reb­bero essere loro, pur in preda a un eterno amle­ti­smo, a inter­pre­tare la sini­stra a sini­stra del Pd (vedi i bril­lanti risul­tati sul Jobs Act). E così Roberto Spe­ranza dice che «la parola scis­sione non esi­ste, non fa parte del voca­bo­la­rio Pd», e che «la solu­zione non può essere una nuova sini­stra anta­go­ni­sta che nasce dalle urla tele­vi­sive di Lan­dini, ma avere più sini­stra nel Pd e nella nostra azione di governo». Molti aspet­tano fiduciosi.

Gli risponde Lan­dini, che si dice «più attento ai con­te­nuti che ai deci­bel»: «Il par­tito di mag­gio­ranza, non tutti — aggiunge — ha votato la can­cel­la­zione dello Sta­tuto dei lavo­ra­tori. Ma il par­tito, que­sto governo, non hanno mai avuto un man­dato del popolo su un tale programma».

Porte aperte alla coa­li­zione sociale dal Prc di Paolo Fer­rero («Ottima noti­zia») e da Sel di Nichi Ven­dola: «È una necessità».

L’appuntamento sabato pros­simo a Bolo­gna per la mani­fe­sta­zione di Libera, e poi sabato 28 a Roma, in Piazza del Popolo.

Sanità, i medici di Anaao-Assomed scrivono a Renzi: “Il capitale umano non è importante solo nella scuola” | Autore: fabrizio salvatori da: controlacrisi.org

“Da mesi La sentiamo battere sul tasto del capitale umano, leva per risollevare le sorti del nostro Paese: “… se vuoi mettere in moto il paese per i prossimi 30 anni o vai sul capitale umano o non vai da nessuna parte” (iniziativa Pd sulla scuola – 22 febbraio 2015). “I tre punti della riforma saranno il capitale umano, i tagli agli sprechi e gli open data come strumento di trasparenza e innovazione” (30 aprile 2014, a proposito della riforma della Pubblica Amministrazione). “Il capitale umano è l’unico grande strumento con il quale l’Italia uscirà dalla crisi” (27 novembre 2014, convegno della Guardia di Finanza). Come darLe torto?”

Inizia così la lettera dell’Anaao-Assomed, il sindacato dei medici ospedalieri, indirizzata al premier Renzi sulla disastrosa situazione della sanità italiana. “Si sta diffondendo, specie al Sud, una assistenza precaria in una sanità provvisoria – scrivono i medici per bocca del loro portavoce Costantino Troise – una supplentite senza fine garantita da una precarietà esistenziale che Lei ha bene descritto per la scuola”. La lettera è stata scritta dopo il varo della cosiddetta riforma della scuola, che ha posto l’accento, appunto, sul capitale umano. E la sanità?

Di seguito il testo della lettera.

Puntare sul capitale umano è giusto, non solo per il sistema di istruzione, ma anche per quello sanitario, entrambi fondati sul sapere, sul sapere fare e sul sapere essere degli operatori. Ma se la Scuola occupa oggi la prima pagina della politica e dell’informazione, la Sanità fa notizia a poussè periodiche: per la situazione disumana di alcune realtà assistenziali, per i casi, veri o spesso presunti, di malasanità, per l’ininterrotta sequela di quanti continuano ad arraffare quello che possono. Rientra a pieno titolo nei palinsesti della cronaca, o nei dibattiti di approfondimenti di valenza sociale, ma, quasi mai, nella attenzione politica, se non come puro costo da abbattere, lusso che non ci potremmo permettere.Se il cuore della buona scuola sono gli insegnanti, il cuore della sanità migliore sono i medici ed il lavoro dei professionisti. Quelli che nei convegni sono le risorse umane, nei fatti, però, diventano solo costi da tagliare prima e di più degli altri, fattori produttivi, macchine banali prive di ruolo sociale, da tenere sotto controllo in quanto costose e generatrici di costi. Dopo le “cure” dei governi che La hanno preceduto, da Tremonti a Siniscalco, da Monti a Padoa Schioppa, il capitale umano nel Sistema Sanitario, oggi vale quanto le azioni della Lehman Brothers dopo il 15 settembre 2008. Andando sempre più depauperandosi, da un punto di vista quantitativo e qualitativo, fino ad essere appena sufficiente a mantenere le attività di base e le (continue) emergenze. Alla sfiducia degli operatori si aggiunge la scarsa considerazione di chi avrebbe il compito di valorizzare le risorse umane risultando la demagogia spiccia e gli economisti dei tagli lineari totalmente insensibili a questo obiettivo.
Non si salvano da questa deriva neppure le “risorse fresche”. Oggi i giovani medici sono lasciati nel limbo post-laurea senza possibilità di completare la loro formazione, in uno stato di sotto-occupazione a buon mercato o precariato stabile, nuovo ossimoro della lingua italiana, che mette in discussione la stessa continuità delle cure. Ignorati dal jobs act, vivono uno stato di disagio nel presente e di incertezza sul futuro che li spinge a cambiare Paese. Un regalo da 150.000 euro ai vicini per ogni medico che lascia (solitamente per sempre) il suolo natìo. Una fuga sestuplicata negli ultimi 5 anni.
Un singolare caso di trasformazione transfrontaliera: un capitale umano che le agenzie di rating definirebbero da tripla B, paragonabili ai titoli “spazzatura”, nel proprio paese, che diventa prezioso appena valica il confine.
Si sta diffondendo, specie al Sud, una assistenza precaria in una sanità provvisoria, una supplentite senza fine garantita da una precarietà esistenziale che Lei ha bene descritto per la scuola.
Ha ragione: “bisogna assumerli i precari, per non consentire che uno prima ancora di arrivare in una scuola (o nel nostro caso in un ospedale) abbia già perso tutti gli entusiasmi”.
Certo, la precarietà in Sanità a qualcuno fa comodo. A chi si illude di risparmiare negando diritti e facendo convivere negli stessi spazi fisici, e spesso a fare lo stesso lavoro, stati giuridici ed economici differenti, garantiti e non, con questi ultimi in attesa di un rinnovo di contratti sempre più corti in un precariato sempre più lungo, cui il DPCM in via di pubblicazione non darà soluzione.

Signor Presidente,
è certo vero che “ciò che Sua figlia sarà, dipenderà dagli insegnanti che troverà sulla sua strada”. Ma è altrettanto vero che il suo stato di salute dipenderà dai medici che incontrerà e dal sistema sanitario in cui si troverà ad esigere il suo diritto alla salute. Che non potrà dipendere dal luogo in cui si troverà a vivere e dalle condizioni di lavoro degli operatori. Anche la sanità può contribuire a cambiare l’Italia costituendo anche un formidabile volano per l’economia. A condizione di restituire valore a chi tiene aperti i cancelli della “fabbrica ” garantendo la salvaguardia di un bene prezioso come la salute, con un lavoro gravoso e rischioso che non conosce giorni e notti di pausa. Dove sono le competenze e le capacità del capitale umano a fare la differenza tra la vita e la morte, la salute e la malattia.
A quando la valorizzazione del lavoro professionale svolto all’interno di un servizio sanitario che ha il migliore rapporto in Europa tra costi e risultati, assicurando anche quella coesione sociale che è un vantaggio competitivo in tempi di crisi?

Signor Presidente,
attendiamo fiduciosi l’hashtag dare speranza alle speranze di giovani e donne e uomini che reclamano semplicemente il diritto a curare con la dignità, l’autonomia e la responsabilità che derivano da un percorso formativo di lunghezza e complessità senza pari e dal ruolo che assegna loro la Costituzione italiana.