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GIARRE 30 GENNAIO 2015 – ISTITUTO INDUSTRIALE FERMI – PER GIORNATA DELLA MEMORIA UN INCONTRO CON L’ANPI DEDICATO A GIAMBATTISTA SCIDA’
PANCHO PARDI – Anomalie, mostri e mostriciattoli stanno smontando la Repubblica da: micromega
Tre anomalie. 1) Le revisioni costituzionali dovrebbero nascere dal Parlamento. Quella in corso è imposta dal governo. 2) La revisione passa attraverso un Parlamento eletto con una legge di cui sono già stati accertati profili di incostituzionalità: dovrebbe occuparsi di tutto meno che di cambiare la Costituzione. La Costituzione dovrebbe essere cambiata solo da assemblee elettive elette con sistema proporzionale: plasmate dal premio di maggioranza impongono di fatto una Carta deformata dalla logica maggioritaria. 3) Revisione costituzionale è solo quella in corso che declassa il Senato. Ma i suoi effetti sono intimamente legati alla modifica della legge elettorale. Questa non ha rango costituzionale ma incide con forza sulla forma di governo e quindi sul quadro istituzionale. Nella situazione italiana è impossibile giudicare separatamente riforma del Senato e legge elettorale. La prima rafforza gli effetti della seconda.
Il mostriciattolo. Dato e non concesso che si dovesse passare a un Senato non elettivo, la soluzione scelta non poteva essere peggiore. Un Senato formato da 95 soggetti scelti dai consigli regionali (e 5 indicati dal capo dello Stato) è un’assemblea di nominati che non rappresenta nemmeno le Regioni ma solo i partiti di maggioranza che le governano. I poteri legislativi attribuiti a questo Senato non elettivo (perfino sulla Costituzione) sono smisurati al confronto con la sua consistenza ; ma in realtà solo virtuali. Si inventa il Senato delle Regioni nello stesso momento in cui la modifica del Titolo V sottrae alle regioni il governo del territorio per consegnarlo al governo nazionale. Non stupisce che un Senato così declassato sia formato solo da 100 soggetti. Mentre la Camera resta di 630 deputati. Motivo semplice. Al Senato il premio di maggioranza non dà risultati certi; quindi i senatori potevano essere maltrattati (essi del resto hanno contribuito alla loro fine). Alla Camera il premio dà effetti sicuri e massicci: i deputati dovevano essere tenuti buoni.
Il mostro oligarchico. Le nuova legge elettorale mantiene le soglie di accesso anche se le riduce un po ’ per ingraziarsi i piccoli partiti. Mantiene un premio in grado di trasformare una minoranza in maggioranza. E per di più lo attribuisce non a una coalizione ma alla lista che prende più voti. Quindi non solo una minoranza ma un solo partito potrà godere di quel premio. Circa i due terzi degli eletti non avranno alcun rapporto di rappresentanza con i cittadini votanti ma saranno nominati dai vertici dei loro partiti. Il voto dei cittadini non conterà più niente e la Camera sarà in preda a un’arbitraria oligarchia. Il governo potrà pretendere che i suoi progetti di legge siano votati entro sessanta giorni: aula e commissioni parlamentari avranno solo ruolo servile. Tutto il potere sarà del governo e in ultima analisi del suo capo. Dialettica democratica vanificata. “La Costituzione non dà a chi governa gli strumenti per farlo” parole di Berlusconi. Il Pd ha adottato il suo programma e, col suo aiuto diretto, ha reso ancora più incisivo il potere del governo sul Parlamento.
La governabilità è tutto, la rappresentanza politica nulla. E i cittadini? I loro strumenti di partecipazione diretta sono erosi: le firme necessarie per la presentazione di leggi di iniziativa popolare o per chiedere referendum sono innalzate a cifre proibitive. Quanto tempo ci vorrà perché i cittadini che votano Pd si accorgano che il loro partito sta smontando la loro Repubblica?
Pancho Pardi
(23 gennaio 2014)
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Basta Troike! da Micromega

di Paolo Flores d’Arcais
Da questa sera la cartina di tornasole che rivela chi sia davvero democratico in Europa è alla portata di tutti: coerentemente democratico è solo chi sostiene la Grecia nella sua scelta di emancipazione dalla prepotenza della Mammona finanziaria.
Chi non è disposto a sostenere i greci che hanno scelto Tsipras si dimostrerà nel migliore dei casi un democratico loffio, un democratico corrivo verso l’establishment del denaro, o semplicemente un non democratico che ciancia di democrazia. Staremo a vedere, perciò.
Il risultato elettorale greco rende ancora più urgente la riflessione sulla scomparsa di un riformismo degno di questo nome negli altri paesi europei (tranne la Spagna, dove la speranza si chiama “Podemos”). E più che mai in Italia, dove in settimana il regime di Berlurenzi intende chiudere il cerchio del suo più che ventennio eleggendo al Quirinale il proprio garante anziché il Custode della Costituzione Repubblicana (nata dalla Resistenza antifascista, Grundnorm e quindi fonte irrinunciabile della legittimità dell’intero sistema).
Diamo intanto per scontato che a “sinistra” si scateneranno scomposti minuetti di pretendenti Tsipras nostrani, la penosa kermesse vendoliana “Human Factor” avrà solo dato la stura (Vendola: quello dello sghignazzo con l’uomo dei Riva, vi rendete conto?!).
Bisognerà far finta di niente e dedicarsi invece seriamente all’analisi, alla ricostruzione di una cultura di sinistra che in questi anni ha trovato pochi altri ridotti di elaborazione all’infuori di MicroMega, all’individuazione dei tantissimi focolai di società civile democratica intenzionati a non restare solo impegno e testimonianza civile e sociale ma sempre più consapevoli che solo una forza politica “giustizia e libertà”, che ponga al centro la politica come bricolage anziché la politica come mestiere, può evitare che le lotte sociali e civili vengano, come fin qui avvenuto, tradite e calpestate dai governi e dai parlamenti.
Seriamente, ma subito. Altrimenti la pazienza, dote rivoluzionaria, diventa vizio.
Oggi in Grecia, domani in Spagna, dopodomani in Italia: la speranza evita di avvitarsi in illusione solo se nutrita dal lavoro coerente di informazione, di elaborazione, di azione. Dove la coerenza tra il dire e il fare (anche sotto il profilo personale: se si promettono dimissioni, si danno, punto) diventa strumento irrinunciabile e criterio primo di credibilità. E senza credibilità adamantina dei suoi leader (oggi introvabili) nessuna forza “giustizia e libertà” potrà nascere, benché lo spazio per essa cresca ogni giorno.
(25 gennaio 2015)
RODOTÀ Ripartiamo dal basso, senza la zavorra dei partiti
PARDI Anomalie, mostri e mostriciattoli stanno smontando la Repubblica
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RIPOSTO 27 E 30 GENNAIO 2015 – GIORNATA DELLA MEMORIA – GLI STUDENTI DELLA SCUOLA PIRANDELLO INCONTRANO L’ANPI
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La Trattativa e il Romanzo Quirinale La procura di Messineo e Ingroia da: l’ora quotidiano
La quarta e ultima puntata dell’inchiesta sulla storia dell’ufficio inquirente palermitano. L’indagine sul patto segreto tra lo Stato e Cosa Nostra, il processo per il mancato arresto di Provenzano, le polemiche bipartisan dal mondo politico e alla fine l’atto d’accusa del Csm: il procuratore capo avrebbe “spaccato” l’ufficio. (4-fine)

I giochi sembravano fatti. Nel 2006, quando Pietro Grasso viene spinto a guidare la Procura nazionale antimafia dalle leggi anti Caselli (poi dichiarate anticostituzionali) varate dal governo Berlusconi, a capo dell’ufficio inquirente di Palermo sembrava dovesse arrivare il suo fido braccio destro: Giuseppe Pignatone. Già bacchettato da Giovanni Falcone, poi passato alla pretura negli anni di Gian Carlo Caselli, durante la gestione Grasso, Pignatone torna in procura, dove diventa l’alter ego del capo. E infatti sarà lui a reggere l’interim tra il trasferimento di Grasso in via Giulia e l’elezione del nuovo procuratore al plenum del Csm. Una nomina che viaggia sul filo del rasoio, dato che Palazzo dei Marescialli è spaccato tra i due esponenti di Unicost: Guido Lo Forte, che ha raccolto il sostegno anche della corrente di sinistra delle toghe, ovvero Magistratura democratica, e lo stesso Pignatone appoggiato da Magistratura Indipendente, che invece è la corrente di destra.
Lo Forte o Pignatone: tra i due litiganti Messineo gode
Un vero e proprio nodo, che si scioglie soltanto quando Unicost decide di convergere le proprie preferenze su Francesco Messineo, procuratore capo di Caltanissetta, che raccoglie il sostegno anche di Magistratura Indipendente. “Abbiamo voluto puntare su un candidato che avesse la qualità essenziale di essere un punto di riferimento per l’unità dell’ufficio, che fosse in grado di operare per la sua unità” spiega l’allora consigliere di Md Giovanni Salvi, oggi procuratore capo di Catania. Quasi una profezia al contrario, dato che anni dopo il Csm bacchetterà pesantemente Messineo con l’accusa di aver “spaccato” il suo ufficio. Durante gli otto anni di gestione Messineo, infatti, la procura di Palermo sarà attaccata a ritmo continuo da esponenti politici di tutti gli schieramenti. Oggetto della discordia sono le delicate inchieste aperte dal pool di magistrati coordinati dall’aggiunto Antonio Ingroia alla fine del primo decennio degli anni duemila.
Fascicoli delicati: il processo Mori e l’indagine Trattativa
Dopo gli anni di Grasso, con le indagini che colpivano quasi esclusivamente gli esponenti militari di Cosa Nostra (e un solo politico d’alto livello rinviato a giudizio: Totò Cuffaro), l’arrivo di Messineo a Palermo coincide con l’inizio di una nuova stagione: quella che cercherà di fare luce sugli accordi segreti siglati negli anni delle stragi. Subito dopo l’insediamento, il primo fascicolo scottante che Messineo trova sul suo tavolo è quello relativo al mancato arresto di Bernardo Provenzano, localizzato in un casolare di Mezzojuso, in provincia di Palermo il 31 ottobre 1995. Indagati per favoreggiamento a Cosa Nostra nell’inchiesta coordinata da Antonio Ingroia, sono il generale del Ros Mario Mori e il colonnello Mauro Obinu. Grande accusatore dei suoi ex superiori è colonnello Michele Riccio che, tramite il confidente Luigi Ilardo, boss infiltrato in Cosa Nostra dal militare, avrebbe ricevuto la “soffiata” di un summit organizzato da Provenzano nelle campagne di Mezzojuso. Il via libera per effettuare il blitz ed arrestare il boss corleonese, però, non sarebbe mai arrivato, e Provenzano rimase latitante fino all’11 aprile del 2006. Poco tempo dopo il fallito blitz, e cioè il 10 maggio 1996, il confidente Ilardo venne assassinato in un agguato rimasto avvolto dal mistero, senza avere avuto il tempo di diventare a tutti gli effetti un collaboratore di giustizia.
“Non c’erano le possibilità di intervenire in quanto il terreno era costantemente occupato da mucche, pastori e pecore” si giustifica davanti ai giudici Obinu. I due militari denunciano Riccio per calunnia, ma il gip Maria Pino lo assolve, mettendo nero su bianco le “plurime omissioni e inerzie del Ros dei carabinieri finalizzate a salvaguardare la latitanza di Provenzano”. Il processo che si apre nel 2008 è solo il prequel di un’altra indagine, aperta negli stessi mesi, destinata ad esporre la procura al fuoco incrociato di giornali, partiti politici e dello stesso Csm: e cioè quella sulla Trattativa tra pezzi dello Stato e Cosa Nostra. Un’inchiesta che punta ad accertare come tra alcuni esponenti delle Istituzioni e il boss Bernardo Provenzano fosse stato siglato un vero e proprio patto per far cessare le stragi ed assicurare una convivenza tra Cosa nostra e lo Stato italiano. L’indagine prende spunto da un’intervista rilasciata da Massimo Ciancimino al settimanale Panorama il 19 dicembre del 2007: il figlio minore di don Vito, racconta di essere stato agganciato nel giugno del 1992 dal capitano Giuseppe De Donno. Da lì in poi De Donno e Mori inizieranno a incontrare Vito Ciancimino, che riferisce il contenuto di quegli incontri a Provenzano, e al signor Franco, un sedicente agente dei servizi con cui è in contatto dagli anni ’70. L’inchiesta della procura riceve ulteriore impulso dalla decisione di Gaspare Spatuzza, il killer di Brancaccio, di collaborare con la magistratura, e soprattutto dal repentino“recupero della memoria” che colpisce una serie di esponenti politici.
Smemorati di Stato a giudizio
Decine di politici della Prima Repubblica sfilano, uno dopo l’altro, davanti ai pm di Palermo: da Carlo Azeglio Ciampi a Oscar Luigi Scalfaro, da Calogero Mannino a Ciriaco De Mita, passando per Luciano Violante, Vincenzo Scotti, Giuliano Amato. Parallelo cresce il fronte anti procura: dal Pdl, che vedrà il suo leader Marcello Dell’Utri finire indagato per il patto Stato–mafia, fino al Pd, il partito al quale ha aderito Nicola Mancino, finito a processo per falsa testimonianza. Un vero e proprio fuoco incrociato che esplode definitivamente nel giugno del 2012. quando la procura invia dodici avvisi di conclusione delle indagini: sono destinati ai boss di Cosa Nostra Leoluca Bagarella, Giovanni Brusca, Antonino Cinà, Salvatore Riina e Bernardo Provenzano, agli ufficiali del Ros Antonio Subranni, Mario Mori e Giuseppe De Donno, ai politici Calogero Mannino e Marcello Dell’Utri: tutti accusati del reato disciplinato dall’articolo 338 del codice penale: e cioè violenza o minaccia a corpi politici dello Stato. Alla sbarra anche Mancino, accusato come detto di falsa testimonianza, e il teste Ciancimino, imputato per concorso esterno e calunnia a Gianni De Gennaro (accusa che gli costa l’arresto nell’aprile 2011, ordinato dallo stesso Ingroia).
Polemiche, conflitti e procedimenti disciplinari: il Romanzo Quirinale
Solo che quegli avvisi di conclusione delle indagini non sono firmati da Messineo, che appone alla richiesta di rinvio a giudizio soltanto il canonico visto: una scelta che viene letta come un tentativo di “smarcarsi” dalla delicata indagine. In più, con la chiusura delle indagini, il pool che indaga sulla Trattativa perde un componente: si sfila infatti il pm Paolo Guido, sostituito da Francesco Del Bene, mentre il posto di Lia Sava, andata a Caltanissetta per fare l’aggiunto, viene occupato dal giovane Roberto Tartaglia. La vera ondata di polemiche però esplode dopo che viene resa nota l’esistenza di alcune intercettazioni tra lo stesso Mancino e il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. È l’estate del 2012, a vent’anni esatti dalle stragi, quando il Quirinale prende una decisione inedita: sollevare un conflitto d’attribuzione contro la procura di Palermo davanti alla Corte Costituzionale. Conflitto che verrà preso in esame in tempi record e porterà poi alla distruzione delle intercettazioni telefoniche tra Mancino e Napolitano. E mentre il Colle trascina i pm davanti alla Consulta, una serie di procedimenti disciplinari viene avviata dal Csm contro i magistrati palermitani: un fascicolo era già stato aperto contro Antonio Ingroia, reo di essersi dichiarato “partigiano della Costituzione” ad un dibattito organizzato dal Partito dei Comunisti Italiani, mentre a Nino Di Matteo viene contestata un’intervista al quotidiano Repubblica, dove il pm conferma l’esistenza delle intercettazioni su Napolitano, già resa nota dal settimanale Panorama, definendole “non penalmente rilevanti”.
Banca Nuova, le indagini sul cognato, e la presunta incompatibilità ambientale
Nel frattempo Messineo finisce indagato dalla procura di Caltanissetta per un’intercettazione indiretta. Il capo dei pm palermitani viene registrato mentre parla al telefono con un dirigente di un importante istituto di credito, che chiede informazioni in merito ad un’indagine in corso. La conversazione tra Messineo e il manager, l’ex direttore generale di Banca Nuova Francesco Maiolini, è del 12 giugno 2012. Maiolini, sotto controllo per un’altra indagine condotta dalla Dda, per riciclaggio aggravato, chiede a Messineo spiegazioni su un avviso di identificazione ricevuto, relativo a una indagine per usura. Il procuratore aggiunto Antonio Ingroia spedisce tutto a Caltanissetta, procura competente per eventuali reati commessi dai magistrati di Palermo: poi parte per il Guatemala, dove va a dirigere una commissione Onu, quindi torna in Italia per candidarsi (senza successo) alle elezioni politiche e infine appendere la toga al chiodo.
L’indagine nissena su Messineo verrà poi archiviata, ma alla fine del suo mandato al capo dei pm palermitani arriva una pesantissima bacchettata dal Csm: un procedimento di trasferimento per incompatibilità ambientale. Il motivo? “Non avrebbe favorito la circolazione delle informazioni all’interno dell’ufficio”, scrivono i consiglieri di Palazzo dei Marescialli nell’atto d’accusa. “Conseguenza – continuano i consiglieri – di questo difetto di coordinamento sarebbe stata la mancata cattura del latitante Matteo Messina Denaro” . Secondo l’indagine svolta tra i pm palermitani, le varie spaccature all’interno dell’ufficio inquirente siciliano sarebbero state alla base del “sospetto” che Messineo “avesse perso piena indipendenza” nei confronti di Ingroia, o che ci fosse comunque tra il procuratore e l’aggiunto un “rapporto privilegiato”, che avrebbe determinato un “condizionamento” del capo dell’ufficio. Il Csm fa cenno soprattutto ad uno dei nodi più spinosi addebitati a Messineo, l’indagine per intestazione fittizia dei beni per suo cognato Sergio Sacco. Inchiesta dalla quale, Messineo si asterrà sempre: il procedimento del Csm, però, gli costa comunque la possibilità di andare a dirigere la procura generale di Palermo. Il 30 luglio del 2014 il procuratore va in ferie, per poi andare in pensione un mese dopo. Il 17 dicembre, cinque mesi dopo, il Csm designa il suo successore: Franco Lo Voi.
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Cremona, 5000 al corteo antifascista. Prc: “Il governo chiuda i covi di Casa Pound” (video) Autore: fabio sebastiani da: controlacrisi.org

Al corteo, che è andato via via ingrossandosi, ha partecipto anche la moglie di Emilio Visigalli, l’esponente del centro sociale Dordoni ferito gravemente alla testa e tuttora in coma. Nei giorni scorsi, la donna ha lanciato un appello per ”azzerare la brutalità con una partecipazione responsabile”.
Il corteo è sfilato per le vie della città lombarda registrando qulche momento di tensione con la polizia, che in alcune fasi ha caricato con lanci di lacrimogeni. Non ci sono stati feriti né fermi. Qui alcuni video degli scontri.
Anonymous Italia, intanto, ha comunicato su twitter di aver messo fuori uso, in occasione del corteo Cremona, almeno due siti dei fascisti.
Non sono accessibili casapoundlombardia.org da stamattina e, dal pomeriggio, anche http://www.radiobandieranera.org. Il “#TangoDown” di siti ‘fasci’ è su @OperationItaly, l’account ufficiale di Anonymous Italia.
Sul comportamento della polizia c’è una nota di Paolo Ferrero, segretario del Prc. “Il corteo antifascista a Cremona è stato caricato dalla polizia mentre i fascisti che aggrediscono agiscono sempre indisturbati: è una situazione vergognosa ed inaccettabile”. “Come mai l’aggressione del compagno Emilio Visigalli del centro sociale Dordone è ancora senza alcun responsabile? Il governo chiuda i covi di Casa Pound”, ha concluso Ferrero.
Ricordiamo che la magistratura ha indagato otto persone: quattro del centro sociale e quattro di Casapound. I capi di imputazione sono di rissa aggravata e lesioni gravissime.
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