GIARRE 30 GENNAIO 2015 – ISTITUTO INDUSTRIALE FERMI – PER GIORNATA DELLA MEMORIA UN INCONTRO CON L’ANPI DEDICATO A GIAMBATTISTA SCIDA’

Manifesto 2B Una citta per la Costituzione 2015(1)

Il ritorno dei fascisti da: micromega

 

di Angelo d’Orsi

Recentemente, in un articolo per Il Fatto Quotidiano, commentando la scoperta del “complotto” neofascista (24 dicembre 2014), mettevo in guardia contro la tentazione di buttare la cosa sul folclore locale. Era insorto nientemeno che l’eccelsa mente di Giampiero Mughini che sul sito Dagospia aveva sentenziato: “…solo una macchietta intellettuale dell’antifascismo duro e puro quale il professore torinese Angelo d’Orsi (…) può sostenere che quei quattro cazzoni che frequentavano il novantaquattrenne Rutilio Sermonti a bere una tazza di caffè e ad ascoltare estasiati l’apologia delle Waffen SS che si battevano fa dannati durante la Seconda guerra mondiale, siano una minaccia incombente della nostra democrazia quale lo sono stati nel Novecento Mussolini e Hitler (…)”.

Incassato l’epiteto di “macchietta intellettuale” da un personaggio noto solo per le sue sciagurate comparsate tv, perlopiù in veste di isterico commentatore calcistico, vestito in modo macchiettistico, blaterante macchiettisticamente, mi tocca l’onere di evocare i tristi avvenimenti di Cremona, dove giovanotti neofascisti, armati di spranghe ed altri oggetti usi a ferire (al caso, uccidere), hanno compiuto un vero e proprio assalto a un Centro Sociale, il CSA Dordoni, aggredendo furiosamente i presenti. Un cinquantenne, Emilio Visigalli, è stato colpito in modo pesante, ed è finito in coma, dal quale sta forse uscendo in queste ore in cui si sta organizzando una manifestazione antifascista nella sua città. Che è, storicamente, anche la città del peggiore dei ras fascisti del passato, Roberto Farinacci. Riflettendo sui fatti accaduti domenica scorsa, sembra di assistere a un vecchio film già visto, ma nel 1921-22: la spedizione punitiva, che raccoglie squadristi dalle zone circumvicine, anche in un raggio di chilometri abbastanza esteso. Si danno appuntamento, si organizzano e via: si attacca “il nemico”.

Quali le differenze rispetto a 90 anni fa? Che gli squadristi non indossano (non necessariamente) la camicia nera, non ostentano gagliardetti, invece del manganello “che rischiara ogni cervello”, recano spranghe (che i cervelli li spappolano), non cantano Giovinezza, giovinezza…, e non viaggiano sui camion dell’esercito o delle associazioni padronali. Ma sono squadristi a tutti gli effetti. E curiosamente, da dove provengono? Non si sa, naturalmente, ma i sospetti sono indirizzati verso una organizzazione reticolare chiamata (con indubbio senso del marketing comunicativo) “Casa Pound”, che cresce di mese in mese, e che solo qualche ingenuo o qualche sprovveduto, suggestionati dal richiamo al poeta Ezra, si ostina a considerare un innocuo net di giovani intellettuali, sia pur di destra. In realtà, trattasi di qualcosa che in passato si sarebbe chiamato “un covo di fascisti”, ma i tempi cambiano e Mughini – ipse dixit! – ci informa che fascisti non sono. Sicché gli uni preparano addirittura un golpe, cosa peraltro per nulla nuova nella storia recente d’Italia, e gli altri se ne vanno in giro a spaccar crani, in un generale clima di impunità giudiziaria da un lato, e di sottovalutazione politica dall’altro.

L’esistenza di un pericolo fascista odierno è aggravato dal contesto internazionale, e specialmente europeo, che rivela una ripresa generalizzata del fascismo e addirittura del nazismo. Ucraina docet. E poi la Grecia, l’Olanda, l’Ungheria, i Paesi Baltici e così via… Ma anche nelle versioni “morbide” dal leghismo nostrano al lepenismo francese, assistiamo a un fortunato pullulare di movimenti di destra estrema, con tratti, anche formali ed esteriori, fascistoidi. Movimenti non solo tollerati, ma giudicati tutto sommato, sempre preferibili, alla Sinistra, o a quel poco che ne rimane. Syriza fa più paura di Alba Dorata. E l’UE e gli USA hanno sostenuto a spada tratta i neonazisti di Kiev, oscurando i massacri da loro compiuti, e tuttora in corso, compreso l’abbattimento ormai sicuro dell’aereo malese: ma pur sempre, preferiti a “quelli dell’Est”, che reclamano l’indipendenza, giudicati troppo prossimi, non solo geograficamente, alla Russia, vista ancora, in fondo, come non abbastanza disposta a farsi piallare dall’Occidente, dunque sospettabile di cripto-comunismo.

Si aggiunga che in Italia, proprio la presenza della Lega Nord aggrava il quadro: si è ormai realizzata una sorta di fusione operativa tra questo partito, a sua volta alleato alla signora Le Pen, e Casa Pound, che dunque può godere di una rete di protezione notevole. E le affinità ideologiche sono essenzialmente concentrate su una sorta di nazionalismo sghembo, in quanto è evidente che i leghisti secessionisti non possono proporsi come alfieri della nazione italiana, ma sono uniti ai fascisti veri e propri (i cui baricentro ideologico è sempre il nazionalismo) dal ripudio dell’Europa, con annessi e connessi.

È vero che oggi esiste un altro genere di fascismo, più pericoloso di questo, fatto di arroganza, di prepotenza, e di sfregio continuo alle regole della democrazia costituzionale, di occupazione della radiotelevisione pubblica, di condizionamento pesante della stampa cosiddetta “indipendente”, di limitazione progressiva o addirittura di cancellazione di ogni diritto,e molto altro ancora. Insomma, Matteo Renzi e la sua corte miserabile di seguaci e il suo “patronato” che è il “padronato”. Certo il fascismo renziano è morbido, e sorridente (come quello berlusconiano, del resto, da cui deriva direttamente), ma non esita a ricorrere alle maniere forti appena si passa dall’Aula alla Piazza: ne sanno qualcosa operai, pensionati, pastori, dipendenti di varie aziende in crisi malmenati dalle “forze dell’ordine” un po’ dappertutto.

Proprio questo clima di depotenziamento della democrazia, di progressivo rapido passaggio alla postdemocrazia, che sta altrettanto rapidamente aprendo la strada al definitivo superamento della forma democratica (le “riforme” in approvazione in un Parlamento dichiarato illegittimo dalla Suprema Corte, per giunta!, ne sono una agghiacciante prova), favorisce la crescita di un neofascismo organizzato secondo i modelli e le pratiche del fascismo storico, quello classico, fatto di aggressione sistematica agli avversari politici. Ma anche semplicemente a coloro che culturalmente, e antropologicamente, appaiono “diversi”: un militante di sinistra, un giovane vestito in un certo modo, un immigrato senegalese, un gay, un frequentatore di Centri sociali: sono altrettante vittime designate dei nuovi fascistelli.

Saranno pure “cazzoni” (sempre per citare l’inclito Mughini), ma sono pericolosi. E vanno fermati. A loro monito, va pure ricordato che Roberto Farinacci, a cui guardano con tanta ammirazione, finì a Piazzale Loreto. Appeso, a testa in giù.

(23 gennaio 2015)

PANCHO PARDI – Anomalie, mostri e mostriciattoli stanno smontando la Repubblica da: micromega

ppardiTre ano­ma­lie. 1) Le re­vi­sio­ni co­sti­tu­zio­na­li do­vreb­be­ro na­sce­re dal Par­la­men­to. Quel­la in corso è im­po­sta dal go­ver­no. 2) La re­vi­sio­ne passa at­tra­ver­so un Par­la­men­to elet­to con una legge di cui sono già stati ac­cer­ta­ti pro­fi­li di in­co­sti­tu­zio­na­li­tà: do­vreb­be oc­cu­par­si di tutto meno che di cam­bia­re la Co­sti­tu­zio­ne. La Co­sti­tu­zio­ne do­vreb­be es­se­re cam­bia­ta solo da as­sem­blee elet­ti­ve elet­te con si­ste­ma pro­por­zio­na­le: pla­sma­te dal pre­mio di mag­gio­ran­za im­pon­go­no di fatto una Carta de­for­ma­ta dalla lo­gi­ca mag­gio­ri­ta­ria. 3) Re­vi­sio­ne co­sti­tu­zio­na­le è solo quel­la in corso che de­clas­sa il Se­na­to. Ma i suoi ef­fet­ti sono in­ti­ma­men­te le­ga­ti alla mo­di­fi­ca della legge elet­to­ra­le. Que­sta non ha rango co­sti­tu­zio­na­le ma in­ci­de con forza sulla forma di go­ver­no e quin­di sul qua­dro isti­tu­zio­na­le. Nella si­tua­zio­ne ita­lia­na è im­pos­si­bi­le giu­di­ca­re se­pa­ra­ta­men­te ri­for­ma del Se­na­to e legge elet­to­ra­le. La prima raf­for­za gli ef­fet­ti della se­con­da.

16204063452_5a16f472f6_mIl mo­stri­ciat­to­lo. Dato e non con­ces­so che si do­ves­se pas­sa­re a un Se­na­to non elet­ti­vo, la so­lu­zio­ne scel­ta non po­te­va es­se­re peg­gio­re. Un Se­na­to for­ma­to da 95 sog­get­ti scel­ti dai con­si­gli re­gio­na­li (e 5 in­di­ca­ti dal capo dello Stato) è un’as­sem­blea di no­mi­na­ti che non rap­pre­sen­ta nem­me­no le Re­gio­ni ma solo i par­ti­ti di mag­gio­ran­za che le go­ver­na­no. I po­te­ri le­gi­sla­ti­vi at­tri­bui­ti a que­sto Se­na­to non elet­ti­vo (per­fi­no sulla Co­sti­tu­zio­ne) sono smi­su­ra­ti al con­fron­to con la sua con­si­sten­za ; ma in real­tà solo vir­tua­li. Si in­ven­ta il Se­na­to delle Re­gio­ni nello stes­so mo­men­to in cui la mo­di­fi­ca del Ti­to­lo V sot­trae alle re­gio­ni il go­ver­no del ter­ri­to­rio per con­se­gnar­lo al go­ver­no na­zio­na­le. Non stu­pi­sce che un Se­na­to così de­clas­sa­to sia for­ma­to solo da 100 sog­get­ti. Men­tre la Ca­me­ra resta di 630 de­pu­ta­ti. Mo­ti­vo sem­pli­ce. Al Se­na­to il pre­mio di mag­gio­ran­za non dà ri­sul­ta­ti certi; quin­di i se­na­to­ri po­te­va­no es­se­re mal­trat­ta­ti (essi del resto hanno con­tri­bui­to alla loro fine). Alla Ca­me­ra il pre­mio dà ef­fet­ti si­cu­ri e mas­sic­ci: i de­pu­ta­ti do­ve­va­no es­se­re te­nu­ti buoni.

Il mo­stro oli­gar­chi­co. Le nuova legge elet­to­ra­le man­tie­ne le so­glie di ac­ces­so anche se le ri­du­ce un po ’ per in­gra­ziar­si i pic­co­li par­ti­ti. Man­tie­ne un pre­mio in grado di tra­sfor­ma­re una mi­no­ran­za in mag­gio­ran­za. E per di più lo at­tri­bui­sce non a una coa­li­zio­ne ma alla lista che pren­de più voti. Quin­di non solo una mi­no­ran­za ma un solo par­ti­to potrà go­de­re di quel pre­mio. Circa i due terzi degli elet­ti non avran­no alcun rap­por­to di rap­pre­sen­tan­za con i cit­ta­di­ni vo­tan­ti ma sa­ran­no no­mi­na­ti dai ver­ti­ci dei loro par­ti­ti. Il voto dei cit­ta­di­ni non con­te­rà più nien­te e la Ca­me­ra sarà in preda a un’ar­bi­tra­ria oli­gar­chia. Il go­ver­no potrà pre­ten­de­re che i suoi pro­get­ti di legge siano vo­ta­ti entro ses­san­ta gior­ni: aula e com­mis­sio­ni par­la­men­ta­ri avran­no solo ruolo ser­vi­le. Tutto il po­te­re sarà del go­ver­no e in ul­ti­ma ana­li­si del suo capo. Dia­let­ti­ca de­mo­cra­ti­ca va­ni­fi­ca­ta. “La Co­sti­tu­zio­ne non dà a chi go­ver­na gli stru­men­ti per farlo” pa­ro­le di Ber­lu­sco­ni. Il Pd ha adot­ta­to il suo pro­gram­ma e, col suo aiuto di­ret­to, ha reso an­co­ra più in­ci­si­vo il po­te­re del go­ver­no sul Par­la­men­to.

La go­ver­na­bi­li­tà è tutto, la rap­pre­sen­tan­za po­li­ti­ca nulla. E i cit­ta­di­ni? I loro stru­men­ti di par­te­ci­pa­zio­ne di­ret­ta sono erosi: le firme ne­ces­sa­rie per la pre­sen­ta­zio­ne di leggi di ini­zia­ti­va po­po­la­re o per chie­de­re re­fe­ren­dum sono in­nal­za­te a cifre proi­bi­ti­ve. Quan­to tempo ci vorrà per­ché i cit­ta­di­ni che vo­ta­no Pd si ac­cor­ga­no che il loro par­ti­to sta smon­tan­do la loro Re­pub­bli­ca?

Pancho Pardi

(23 gennaio 2014)

Basta Troike! da Micromega

 

di Paolo Flores d’Arcais

Da questa sera la cartina di tornasole che rivela chi sia davvero democratico in Europa è alla portata di tutti: coerentemente democratico è solo chi sostiene la Grecia nella sua scelta di emancipazione dalla prepotenza della Mammona finanziaria.

Chi non è disposto a sostenere i greci che hanno scelto Tsipras si dimostrerà nel migliore dei casi un democratico loffio, un democratico corrivo verso l’establishment del denaro, o semplicemente un non democratico che ciancia di democrazia. Staremo a vedere, perciò.

Il risultato elettorale greco rende ancora più urgente la riflessione sulla scomparsa di un riformismo degno di questo nome negli altri paesi europei (tranne la Spagna, dove la speranza si chiama “Podemos”). E più che mai in Italia, dove in settimana il regime di Berlurenzi intende chiudere il cerchio del suo più che ventennio eleggendo al Quirinale il proprio garante anziché il Custode della Costituzione Repubblicana (nata dalla Resistenza antifascista, Grundnorm e quindi fonte irrinunciabile della legittimità dell’intero sistema).

Diamo intanto per scontato che a “sinistra” si scateneranno scomposti minuetti di pretendenti Tsipras nostrani, la penosa kermesse vendoliana “Human Factor” avrà solo dato la stura (Vendola: quello dello sghignazzo con l’uomo dei Riva, vi rendete conto?!).

Bisognerà far finta di niente e dedicarsi invece seriamente all’analisi, alla ricostruzione di una cultura di sinistra che in questi anni ha trovato pochi altri ridotti di elaborazione all’infuori di MicroMega, all’individuazione dei tantissimi focolai di società civile democratica intenzionati a non restare solo impegno e testimonianza civile e sociale ma sempre più consapevoli che solo una forza politica “giustizia e libertà”, che ponga al centro la politica come bricolage anziché la politica come mestiere, può evitare che le lotte sociali e civili vengano, come fin qui avvenuto, tradite e calpestate dai governi e dai parlamenti.

Seriamente, ma subito. Altrimenti la pazienza, dote rivoluzionaria, diventa vizio.

Oggi in Grecia, domani in Spagna, dopodomani in Italia: la speranza evita di avvitarsi in illusione solo se nutrita dal lavoro coerente di informazione, di elaborazione, di azione. Dove la coerenza tra il dire e il fare (anche sotto il profilo personale: se si promettono dimissioni, si danno, punto) diventa strumento irrinunciabile e criterio primo di credibilità. E senza credibilità adamantina dei suoi leader (oggi introvabili) nessuna forza “giustizia e libertà” potrà nascere, benché lo spazio per essa cresca ogni giorno.

(25 gennaio 2015)

RODOTÀ Ripartiamo dal basso, senza la zavorra dei partiti
PARDI Anomalie, mostri e mostriciattoli stanno smontando la Repubblica

RIPOSTO 27 E 30 GENNAIO 2015 – GIORNATA DELLA MEMORIA – GLI STUDENTI DELLA SCUOLA PIRANDELLO INCONTRANO L’ANPI

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La Trattativa e il Romanzo Quirinale La procura di Messineo e Ingroia da: l’ora quotidiano

La quarta e ultima puntata dell’inchiesta sulla storia dell’ufficio inquirente palermitano. L’indagine sul patto segreto tra lo Stato e Cosa Nostra, il processo per il mancato arresto di Provenzano, le polemiche bipartisan dal mondo politico e alla fine l’atto d’accusa del Csm: il procuratore capo avrebbe “spaccato” l’ufficio. (4-fine)

di Giuseppe Pipitone

25 gennaio 2015

I giochi sembravano fatti. Nel 2006, quando Pietro Grasso viene spinto a guidare la Procura nazionale antimafia dalle leggi anti Caselli (poi dichiarate anticostituzionali) varate dal governo Berlusconi, a capo dell’ufficio inquirente di Palermo sembrava dovesse arrivare il suo fido braccio destro: Giuseppe Pignatone. Già bacchettato da Giovanni Falcone, poi passato alla pretura negli anni di Gian Carlo Caselli, durante la gestione Grasso, Pignatone torna in procura, dove diventa l’alter ego del capo. E infatti sarà lui a reggere l’interim tra il trasferimento di Grasso in via Giulia e l’elezione del nuovo procuratore al plenum del Csm. Una nomina che viaggia sul filo del rasoio, dato che Palazzo dei Marescialli è spaccato tra i due esponenti di Unicost: Guido Lo Forte, che ha raccolto il sostegno anche della corrente di sinistra delle toghe, ovvero Magistratura democratica, e lo stesso Pignatone appoggiato da Magistratura Indipendente, che invece è la corrente di destra.

Lo Forte o Pignatone: tra i due litiganti Messineo gode

Un vero e proprio nodo, che si scioglie soltanto quando Unicost decide di convergere le proprie preferenze su Francesco Messineo, procuratore capo di Caltanissetta, che raccoglie il sostegno anche di Magistratura Indipendente. “Abbiamo voluto puntare su un candidato che avesse la qualità essenziale di essere un punto di riferimento per l’unità dell’ufficio, che fosse in grado di operare per la sua unità” spiega l’allora consigliere di Md Giovanni Salvi, oggi procuratore capo di Catania. Quasi una profezia al contrario, dato che anni dopo il Csm bacchetterà pesantemente Messineo con l’accusa di aver “spaccato” il suo ufficio. Durante gli otto anni di gestione Messineo, infatti, la procura di Palermo sarà attaccata a ritmo continuo da esponenti politici di tutti gli schieramenti. Oggetto della discordia sono le delicate inchieste aperte dal pool di magistrati coordinati dall’aggiunto Antonio Ingroia alla fine del primo decennio degli anni duemila.

Fascicoli delicati: il processo Mori e l’indagine Trattativa

Dopo gli anni di Grasso, con le indagini che colpivano quasi esclusivamente gli esponenti militari di Cosa Nostra (e un solo politico d’alto livello rinviato a giudizio: Totò Cuffaro), l’arrivo di Messineo a Palermo coincide con l’inizio di una nuova stagione: quella che cercherà di fare luce sugli accordi segreti siglati negli anni delle stragi. Subito dopo l’insediamento, il primo fascicolo scottante che Messineo trova sul suo tavolo è quello relativo al mancato arresto di Bernardo Provenzano, localizzato in un casolare di Mezzojuso, in provincia di Palermo il 31 ottobre 1995. Indagati per favoreggiamento a Cosa Nostra nell’inchiesta coordinata da Antonio Ingroia, sono il generale del Ros Mario Mori e il colonnello Mauro Obinu. Grande accusatore dei suoi ex superiori è colonnello Michele Riccio che, tramite il confidente Luigi Ilardo, boss infiltrato in Cosa Nostra dal militare, avrebbe ricevuto la “soffiata” di un summit organizzato da Provenzano nelle campagne di Mezzojuso. Il via libera per effettuare il blitz ed arrestare il boss corleonese, però, non sarebbe mai arrivato, e Provenzano rimase latitante fino all’11 aprile del 2006. Poco tempo dopo il fallito blitz, e cioè il 10 maggio 1996, il confidente Ilardo venne assassinato in un agguato rimasto avvolto dal mistero, senza avere avuto il tempo di diventare a tutti gli effetti un collaboratore di giustizia.

“Non c’erano le possibilità di intervenire in quanto il terreno era costantemente occupato da mucche, pastori e pecore” si giustifica davanti ai giudici Obinu. I due militari denunciano Riccio per calunnia, ma il gip Maria Pino lo assolve, mettendo nero su bianco le “plurime omissioni e inerzie del Ros dei carabinieri finalizzate a salvaguardare la latitanza di Provenzano”. Il processo che si apre nel 2008 è solo il prequel di un’altra indagine, aperta negli stessi mesi, destinata ad esporre la procura al fuoco incrociato di giornali, partiti politici e dello stesso Csm: e cioè quella sulla Trattativa tra pezzi dello Stato e Cosa Nostra. Un’inchiesta che punta ad accertare come tra alcuni esponenti delle Istituzioni e il boss Bernardo Provenzano fosse stato siglato un vero e proprio patto per far cessare le stragi ed assicurare una convivenza tra Cosa nostra e lo Stato italiano. L’indagine prende spunto da un’intervista rilasciata da Massimo Ciancimino al settimanale Panorama il 19 dicembre del 2007: il figlio minore di don Vito, racconta di essere stato agganciato nel giugno del 1992 dal capitano Giuseppe De Donno. Da lì in poi De Donno e Mori inizieranno a incontrare Vito Ciancimino, che riferisce il contenuto di quegli incontri a Provenzano, e al signor Franco, un sedicente agente dei servizi con cui è in contatto dagli anni ’70. L’inchiesta della procura riceve ulteriore impulso dalla decisione di Gaspare Spatuzza, il killer di Brancaccio, di collaborare con la magistratura, e soprattutto dal repentino“recupero della memoria” che colpisce una serie di esponenti politici.

Smemorati di Stato a giudizio
Decine di politici della Prima Repubblica sfilano, uno dopo l’altro, davanti ai pm di Palermo: da Carlo Azeglio Ciampi a Oscar Luigi Scalfaro, da Calogero Mannino a Ciriaco De Mita, passando per Luciano Violante, Vincenzo Scotti, Giuliano Amato. Parallelo cresce il fronte anti procura: dal Pdl, che vedrà il suo leader Marcello Dell’Utri finire indagato per il patto Stato–mafia, fino al Pd, il partito al quale ha aderito Nicola Mancino, finito a processo per falsa testimonianza. Un vero e proprio fuoco incrociato che esplode definitivamente nel giugno del 2012. quando la procura invia dodici avvisi di conclusione delle indagini: sono destinati ai boss di Cosa Nostra Leoluca Bagarella, Giovanni Brusca, Antonino Cinà, Salvatore Riina e Bernardo Provenzano, agli ufficiali del Ros Antonio Subranni, Mario Mori e Giuseppe De Donno, ai politici Calogero Mannino e Marcello Dell’Utri: tutti accusati del reato disciplinato dall’articolo 338 del codice penale: e cioè violenza o minaccia a corpi politici dello Stato. Alla sbarra anche Mancino, accusato come detto di falsa testimonianza, e il teste Ciancimino, imputato per concorso esterno e calunnia a Gianni De Gennaro (accusa che gli costa l’arresto nell’aprile 2011, ordinato dallo stesso Ingroia).

Polemiche, conflitti e procedimenti disciplinari: il Romanzo Quirinale
Solo che quegli avvisi di conclusione delle indagini non sono firmati da Messineo, che appone alla richiesta di rinvio a giudizio soltanto il canonico visto: una scelta che viene letta come un tentativo di “smarcarsi” dalla delicata indagine. In più, con la chiusura delle indagini, il pool che indaga sulla Trattativa perde un componente: si sfila infatti il pm Paolo Guido, sostituito da Francesco Del Bene, mentre il posto di Lia Sava, andata a Caltanissetta per fare l’aggiunto, viene occupato dal giovane Roberto Tartaglia. La vera ondata di polemiche però esplode dopo che viene resa nota l’esistenza di alcune intercettazioni tra lo stesso Mancino e il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. È l’estate del 2012, a vent’anni esatti dalle stragi, quando il Quirinale prende una decisione inedita: sollevare un conflitto d’attribuzione contro la procura di Palermo davanti alla Corte Costituzionale. Conflitto che verrà preso in esame in tempi record e porterà poi alla distruzione delle intercettazioni telefoniche tra Mancino e Napolitano. E mentre il Colle trascina i pm davanti alla Consulta, una serie di procedimenti disciplinari viene avviata dal Csm contro i magistrati palermitani: un fascicolo era già stato aperto contro Antonio Ingroia, reo di essersi dichiarato “partigiano della Costituzione” ad un dibattito organizzato dal Partito dei Comunisti Italiani, mentre a Nino Di Matteo viene contestata un’intervista al quotidiano Repubblica, dove il pm conferma l’esistenza delle intercettazioni su Napolitano, già resa nota dal settimanale Panorama, definendole “non penalmente rilevanti”.

Banca Nuova, le indagini sul cognato, e la presunta incompatibilità ambientale
Nel frattempo Messineo finisce indagato dalla procura di Caltanissetta per un’intercettazione indiretta. Il capo dei pm palermitani viene registrato mentre parla al telefono con un dirigente di un importante istituto di credito, che chiede informazioni in merito ad un’indagine in corso. La conversazione tra Messineo e il manager, l’ex direttore generale di Banca Nuova Francesco Maiolini, è del 12 giugno 2012. Maiolini, sotto controllo per un’altra indagine condotta dalla Dda, per riciclaggio aggravato, chiede a Messineo spiegazioni su un avviso di identificazione ricevuto, relativo a una indagine per usura. Il procuratore aggiunto Antonio Ingroia spedisce tutto a Caltanissetta, procura competente per eventuali reati commessi dai magistrati di Palermo: poi parte per il Guatemala, dove va a dirigere una commissione Onu, quindi torna in Italia per candidarsi (senza successo) alle elezioni politiche e infine appendere la toga al chiodo.

L’indagine nissena su Messineo verrà poi archiviata, ma alla fine del suo mandato al capo dei pm palermitani arriva una pesantissima bacchettata dal Csm: un procedimento di trasferimento per incompatibilità ambientale. Il motivo? “Non avrebbe favorito la circolazione delle informazioni all’interno dell’ufficio”, scrivono i consiglieri di Palazzo dei Marescialli nell’atto d’accusa. “Conseguenza – continuano i consiglieri – di questo difetto di coordinamento sarebbe stata la mancata cattura del latitante Matteo Messina Denaro” . Secondo l’indagine svolta tra i pm palermitani, le varie spaccature all’interno dell’ufficio inquirente siciliano sarebbero state alla base del “sospetto” che Messineo “avesse perso piena indipendenza” nei confronti di Ingroia, o che ci fosse comunque tra il procuratore e l’aggiunto un “rapporto privilegiato”, che avrebbe determinato un “condizionamento” del capo dell’ufficio. Il Csm fa cenno soprattutto ad uno dei nodi più spinosi addebitati a Messineo, l’indagine per intestazione fittizia dei beni per suo cognato Sergio Sacco. Inchiesta dalla quale, Messineo si asterrà sempre: il procedimento del Csm, però, gli costa comunque la possibilità di andare a dirigere la procura generale di Palermo. Il 30 luglio del 2014 il procuratore va in ferie, per poi andare in pensione un mese dopo. Il 17 dicembre, cinque mesi dopo, il Csm designa il suo successore: Franco Lo Voi.

Cremona, 5000 al corteo antifascista. Prc: “Il governo chiuda i covi di Casa Pound” (video) Autore: fabio sebastiani da: controlacrisi.org

E’ rientrato da poco al Dordoni il corteo antifascista che oggi pomeriggio ha attraversato Cremona in risposta alla drammatica aggressione di domenica davanti al centro sociale Dordoni. Il corteo, a cui hanno partecipato almeno cinquemila persone provenienti un po’ da tutta Italia, è stato aperto da uno striscione con la scritta ‘Chiudere tutti i covi fascisti, Emilio resisti lottiamo con te’. Nel corteo esponenti di centri sociali lombardi ma non solo ed anche bandiere di Rifondazione Comunista, Usb e Anpi, ed anche gli striscioni di Infoaut e Globalproject.
Al corteo, che è andato via via ingrossandosi, ha partecipto anche la moglie di Emilio Visigalli, l’esponente del centro sociale Dordoni ferito gravemente alla testa e tuttora in coma. Nei giorni scorsi, la donna ha lanciato un appello per ”azzerare la brutalità con una partecipazione responsabile”.
Il corteo è sfilato per le vie della città lombarda registrando qulche momento di tensione con la polizia, che in alcune fasi ha caricato con lanci di lacrimogeni. Non ci sono stati feriti né fermi. Qui alcuni video degli scontri.
Anonymous Italia, intanto, ha comunicato su twitter di aver messo fuori uso, in occasione del corteo Cremona, almeno due siti dei fascisti.
Non sono accessibili casapoundlombardia.org da stamattina e, dal pomeriggio, anche http://www.radiobandieranera.org. Il “#TangoDown” di siti ‘fasci’ è su @OperationItaly, l’account ufficiale di Anonymous Italia.
Sul comportamento della polizia c’è una nota di Paolo Ferrero, segretario del Prc. “Il corteo antifascista a Cremona è stato caricato dalla polizia mentre i fascisti che aggrediscono agiscono sempre indisturbati: è una situazione vergognosa ed inaccettabile”. “Come mai l’aggressione del compagno Emilio Visigalli del centro sociale Dordone è ancora senza alcun responsabile? Il governo chiuda i covi di Casa Pound”, ha concluso Ferrero.
Ricordiamo che la magistratura ha indagato otto persone: quattro del centro sociale e quattro di Casapound. I capi di imputazione sono di rissa aggravata e lesioni gravissime.

Taranto, una polveriera chiamata Ilva. Da mercoledì si tratta su una mega-Cig per 5.000 Autore: fabio sebastiani da: controlacrisi.org

L’Unione sindacale di base (Usb) ha proclamato lo sciopero ad oltranza dei lavoratori dell’Ilva a partire dalle 7 di mercoledì prossimo con presidio permanente davanti a tutte le portinerie. L’iniziativa, spiegano, viene assunta ”vista la gravissima situazione dell’indotto Ilva e vista l’assenza di risposte concrete ai problemi di migliaia di lavoratori e delle loro famiglie” e ”a sostegno della protesta degli stessi”. Intanto a Roma inizieranno le trattative al ministero dello Sviluppo economico che potrebbero avere in agenda una mega-cassa integrazione per circa 5.000 dipendenti proprio quando inizia il periodo di amministrazione controllata. Il quadro è aggravato dall’impossibilità, secondo quanto sottolineano i magistrati, di rendere esigibili due miliardi sequestrati ai Riva, e tuttora nei forzieri svizzeri. Una situazione pesante che fa il paio con il blocco di fatto del risanamento ambientale.

Resta l’occupazione simbolica dell’aula consiliare del Municipio dopo che lo stesso sindaco di Taranto Ippazio Stefàno, che nei giorni scorsi ha scritto due lettere a Renzi accennando anche a ”possibili problemi di ordine pubblico”, ha consegnato agli operai le chiavi della sala in cui si celebrano le sedute del Consiglio comunale. I lavoratori, molti dei quali non percepiscono lo stipendio da 6-7 mesi, sono disperati e pronti a tutto.La mobilitazione dell’indotto proseguirà, ma ora non sono escluse iniziative anche da parte dei dipendenti diretti dell’Ilva, che devono fare i conti con lo spauracchio della cassa integrazione e i timori di un possibile ridimensionamento dello stabilimento siderurgico. La Fiom Cgil ha chiesto la conferma dei contratti di solidarietà sollecitando un confronto con l’azienda. La Cgil di Taranto propone di ”ricorrere al fondo Fintecna (150 milioni), anche attraverso l’anticipazione dal fondo strategico, per pagare i crediti delle imprese dell’indotto”. L’Ilva pubblica, insomma, è già una polveriera.