Il Premio Giuseppe Fava a due cronisti del Gruppo Espresso – Commemorazione 5 gennaio 2015 ore 17,30 in via Fava- alle 18 teatroZò da: antimafia duemila

20150104-premio-pippo-fava-giovani3 gennaio 2015

Il riconoscimento a Lirio Abbate de l’Espresso e a Lorenzo Tondo di Repubblica Palermo per la sezione ‘Giovani’. Giunto all’ottava edizione, dal 2007 approfondisce i temi della lotta alla mafia, dell’etica del giornalismo e della giustizia, per ricordare chi al mestiere di cronista e alla battaglia contro la criminalità organizzata ha dedicato la vita
Roma. Un riconoscimento per chi non dimentica e lotta, non solo con le parole, le mafie. Giunto alla VIII edizione, il Premio giornalistico Giuseppe Fava, istituito nel gennaio 2007, sarà assegnato ai giornalisti Lirio Abbate de l’Espresso per le sue inchieste, ultima quella sulle connessioni tra mafia ed estrema destra a Roma. A Lorenzo Tondo di Repubblica Palermo andrà il premio per la sezione ‘Giovani’, riservato a chi si muove nei circuiti meno noti e alternativi dell’informazione e che si svolge ogni 4 gennaio a Palazzolo Acreide.

Giornalismo e mafia. Cosa nostra e la società civile. Sono questi i temi al centro degli incontri organizzati dal Coordinamento Fava Palazzolo e dalla Fondazione Fava per il 31esimo anniversario della morte del giornalista e scrittore ucciso il 5 gennaio del 1984 e che solo tre anni prima, nel 1981, scriveva: “Io ho un concetto etico del giornalismo. Ritengo infatti che in una società democratica e libera quale dovrebbe essere quella italiana, il giornalismo rappresenti la forza essenziale della società. Un giornalismo fatto di verità impedisce molte corruzioni, frena la violenza della criminalità, accelera le opere pubbliche indispensabili, pretende il funzionamento dei servizi sociali, tiene continuamente allerta le forze dell’ordine, sollecita la costante attenzione della giustizia, impone ai politici il buon governo”.

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Due le cerimonie in programma: domenica 4 gennaio alle 17 a Palazzolo Acreide, paese del Siracusano dove Fava è nato, nell’aula consiliare del Comune sarà proiettato il film I Ragazzi di Pippo Fava. Alla proiezione seguirà un incontro dibattito sul giornalismo di ieri e di oggi, quello de ‘I Siciliani’ di Fava e quello odierno. Interverranno il moderatore Damiano Chiaramonte, Elena Brancati, Riccardo Orioles e il premiato per la sezione ‘Giovani’ Lorenzo Tondo, autore di coraggiose inchieste sulle pagine di Repubblica Palermo. Una menzione speciale sarà assegnata anche al giornalista Ismaele La Vardera di Villabate.

Il giorno dopo invece, a Catania, alle 17.30, ci sarà poi la commemorazione alla lapide in via Fava, ex via dello Stadio, strada in cui il cronista fu freddato con 5 colpi di pistola alla nuca. Alle 18, al Centro Zò, sarà quindi assegnato il premio Fava nazionale a Lirio Abbate de l’Espresso, sotto scorta per le sue inchieste.

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Al dibattito che precederà la premiazione parteciperanno il magistrato Sebastiano Ardita, procuratore aggiunto a Messina ed ex capo dell’ufficio detenuto del Dap, Rosy Bindi, presidente della commissione parlamentare antimafia e il vice Claudio Fava, giornalista e deputato.

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Giuseppe Fava fu freddato da cinque proiettili calibro 7,65 alla nuca. Erano le 21.30 del 5 gennaio 1984, il giornalista si trovava in via dello Stadio e stava andando a prendere la nipote che recitava in ‘Pensaci, Giacomino!’al Teatro Verga. Aveva appena lasciato la redazione del suo giornale. Non ebbe il tempo di scendere dalla sua Renault 5

Dal 2007 il Premio Fava e gli eventi collaterali organizzati a Palazzolo e Catania, approfondiscono i temi della lotta alla mafia, dell’etica del giornalismo e della giustizia, per ricordare chi al mestiere di cronista e alla battaglia contro la corruzione e la criminalità organizzata ha dedicato la propria vita. Il premio nacque infatti con l’intento di evidenziare “nient’altro che la verità: scritture e immagini contro le mafie”, riservato a chi già è affermato nel campo giornalistico. Nel corso degli anni, il 4 e 5 gennaio nel paese natio e nella città di adozione, ha ospitato e premiato giornalisti come Roberto Morrione, Fabrizio Gatti, Attilio Bolzoni, Carlo Lucarelli, Sigfrido Ranucci, Alessandra Ziniti, Franco Viviano, Lirio Abbate, Ester Castano, il regista teatrale Mario Gelardi, attori teatrali come Donatella Finocchiaro, Claudio Gioè, Giulio Cavalli e Alessandro Gallo.

repubblica.it

Alberto Burgio: Quale presidente della Repubblica sulle macerie del lavoro Fonte: Il Manifesto | Autore: Alberto Burgio

Il 2014 si è con­cluso con l’ultimo strappo. Qual­cuno aveva finto di illu­dersi che, al momento di scri­vere i decreti attua­tivi della «riforma» del mer­cato del lavoro, il governo ne avrebbe ridotto l’impatto distrut­tivo. Invece la realtà ha supe­rato le peg­giori pre­vi­sioni. Se, come è certo, la sostanza resterà, in Ita­lia tra breve il tempo inde­ter­mi­nato sarà un ricordo del pas­sato, anche gra­zie all’estensione della nuova nor­ma­tiva ai licen­zia­menti col­let­tivi. Tutti i lavo­ra­tori dipen­denti saranno final­mente pre­cari, merce sul libero mercato.

Rischia grosso anche il pub­blico impiego, a pro­po­sito del quale il governo ha rie­su­mato lo spet­tro dei «fan­nul­loni», e dove la pre­ca­rietà è da anni la regola per i nuovi assunti.

È una pro­vo­ca­zione del Blair ita­liota, l’ennesima? Oppure il passo deci­sivo verso l’omologazione del paese alle società mer­can­tili di tra­di­zione anglo­sas­sone? Il tutto, però, men­tre qui l’economia implode, la disoc­cu­pa­zione dilaga, la fidu­cia di imprese e con­su­ma­tori frana, la defla­zione incombe e vanno a picco interi set­tori dell’industria nazio­nale. Comun­que sia, pro­viamo a leg­gere poli­ti­ca­mente que­sto momento deli­ca­tis­simo, nel segno del quale comin­cia il nuovo anno.

Renzi è a metà del guado. Sin qui ha fatto di testa sua, osten­tando indif­fe­renza o disprezzo verso gli inter­lo­cu­tori, ad ecce­zione di quelli dotati di mag­gior potere mate­riale (l’Europa e i mer­cati) o sim­bo­lico (la pre­si­denza della Repub­blica e la stampa, entrambe peral­tro bene­vole nei suoi riguardi). Si è distinto soprat­tutto per il vio­lento attacco al sin­da­cato e – forte della mag­gio­ranza di fatto che regge il suo governo – per l’irrisione di alleati e com­pa­gni di par­tito non allineati.

È forse la prima volta nella sto­ria repub­bli­cana che un ese­cu­tivo fun­ziona a pieno regime con il sup­porto espli­cito di una parte dell’opposizione, con ciò vani­fi­cando il ruolo della mag­gio­ranza che gli ha per­messo di insediarsi.

Una novità che si aggiunge a quante, nel segno del tra­sfor­mi­smo orga­nico, hanno in que­sti vent’anni offeso la Costituzione.

Un uomo solo al comando, come disse a suo tempo. Che, nella fre­ne­sia di incal­zare e pro­met­tere e depi­stare sulle pro­messe infrante, ha aperto via via mille par­tite senza chiu­derne alcuna. E semi­nato lungo la strada feriti e mal­con­tenti. I quali non si dispe­re­reb­bero certo ove un serio infor­tu­nio inter­rom­pesse pre­ma­tu­ra­mente l’avventura del governo.

In que­sto fran­gente cade ora la madre di tutte le bat­ta­glie, l’elezione del nuovo capo dello Stato. Che potrebbe effet­ti­va­mente cam­biare il qua­dro in pro­fon­dità. E dav­vero segnare un punto di non ritorno nella legi­sla­tura e nella fase politica.

A rigore, o in astratto, quella che si pro­fila è un’opportunità. Al Pd, dalla quarta vota­zione, baste­rebbe tro­vare una qua­ran­tina di voti, che potreb­bero facil­mente con­ver­gere da sini­stra su un can­di­dato di garan­zia costi­tu­zio­nale, attento alle domande del mondo del lavoro e dei gio­vani, alle ragioni della pace, della lega­lità e dell’ambiente. Ma si tratta, è ovvio, di un’ipotesi astratta, che sem­pli­ce­mente non fa i conti con la realtà. Che sup­pone un Renzi ine­si­stente e un Pd imma­gi­na­rio. Se tor­niamo coi piedi per terra, dob­biamo rico­no­scere che la situa­zione non lascia per nulla tran­quilli. Anzi, giu­sti­fica la più viva apprensione.

Per con­ti­nuare nella sua avven­tura – sem­pre più impro­ba­bile, sem­pre più azzar­data – Renzi ha biso­gno di un pre­si­dente a pro­prio uso e con­sumo, ancor più di quanto non sia stato nel corso di quest’anno Napo­li­tano. Per que­sto deve con­vin­cere i prin­ci­pali sog­getti coin­volti nella scelta, che, al netto delle sue truppe, sono due: i for­zi­sti fedeli a Ber­lu­sconi e il varie­gato insieme delle mino­ranze Pd. Qui tutta la fac­cenda assume un aspetto inquietante.

Met­tere d’accordo tra loro la cosid­detta sini­stra demo­cra­tica e i vas­salli del vec­chio masa­niello com’è pos­si­bile? Non dovreb­bero, in linea di prin­ci­pio, esclu­dersi a vicenda, come il dia­volo esclude l’acqua santa?

Forse no, visto che in vent’anni la tanto decan­tata demo­cra­zia dell’alternanza non ha regi­strato serie discon­ti­nuità, almeno sui fon­da­men­tali della poli­tica eco­no­mica e isti­tu­zio­nale, e della guerra. Ma è vero, d’altra parte, che in que­sti mesi le mino­ranze interne del Pd hanno ripe­tu­ta­mente attac­cato il governo, soprat­tutto su eco­no­mia, lavoro e «riforme» costi­tu­zio­nali, da posi­zioni – stando agli atti – anti­te­ti­che a quelle della destra. E che destra ber­lu­sco­niana e sini­stra demo­cra­tica hanno, sulla carta, con­ce­zioni incon­ci­lia­bili sui diritti, la lega­lità, la difesa dei prin­cipi costituzionali.

E allora? Com’è che il pre­si­dente del Con­si­glio giura di vin­cere la par­tita senza dif­fi­coltà? Bluffa, mil­lanta anche in que­sto caso? Oppure ha in mano un jolly che, al dun­que, calerà?

In demo­cra­zia, pen­sa­vano i nostri padri, domande del genere nem­meno potreb­bero porsi, dato che la cit­ta­di­nanza governa in piena con­sa­pe­vo­lezza. Ma noi ci siamo dovuti ria­bi­tuare agli arcani del potere e ai patti siglati in gran segreto.

Sap­piamo di non sapere e di non potere fare pre­vi­sioni. Quindi non ci resta che atten­dere. Non senza, tut­ta­via, due brevi considerazioni.

La prima è che, ancora una volta, alla sini­stra Pd tocca un ruolo deci­sivo. Se anche il pros­simo pre­si­dente dovesse porsi a pre­si­dio di lar­ghe intese e patti segreti, su di essa rica­drebbe quest’altra enorme respon­sa­bi­lità, per la blin­da­tura di un sistema di potere anti­so­ciale, vocato alla guerra con­tro il lavoro e il wel­fare e allo sman­tel­la­mento della forma di governo parlamentare.

La seconda è che mai come in que­sto caso è impor­tante ricor­dare che al peg­gio non c’è fine. Pro­prio per­ché c’è stato Napo­li­tano, non è vero che ora si può sol­tanto miglio­rare. Que­sto pre­si­dente ha stra­volto il ruolo poli­ti­ciz­zan­dolo, ha arbi­trato la par­tita gio­cando fino all’ultimo per una delle forze in campo, ha pre­teso d’imporre al paese il pro­prio dise­gno. Non sol­tanto espo­nendo, con ciò, la più alta magi­stra­tura a un ine­dito dileg­gio, ma spia­nando altresì la strada ad altre esi­ziali forzature.

Lo studio Cgia: Nel privato ci si ammala di più Fonte: Il Manifesto

Forse que­sti dati stu­pi­ranno, soprat­tutto nei giorni delle pole­mi­che sui vigili urbani romani, a cui le malat­tie di capo­danno non ven­gono pro­prio per­do­nate: ma nel set­tore pub­blico ci si ammala meno che nel pri­vato. E anzi, per essere più pre­cisi: ci si ammala più spesso, ma media­mente si per­dono meno giorni di lavoro rispetto al pri­vato. Le cifre emer­gono da uno stu­dio della Cgia di Mestre secondo cui nel 2012 (ultimo anno di cui sono dispo­ni­bili i numeri) i giorni di malat­tia medi regi­strati tra i lavo­ra­tori del pub­blico impiego sono stati 16,72 (con 2,62 eventi per lavo­ra­tore), men­tre nel set­tore pri­vato le assenze per malat­tia hanno toc­cato i 18,11 giorni (con un numero medio di eventi per lavo­ra­tore uguale a 2,08).

Com­ples­si­va­mente, dice ancora lo stu­dio della Cgia, sono stati 6 milioni i lavo­ra­tori dipen­denti ita­liani che hanno regi­strato almeno un evento di malat­tia. Media­mente, cia­scun dipen­dente si è amma­lato 2,23 volte ed è rima­sto a casa 17,71 giorni. Sono stati quasi 106 milioni i giorni di malat­tia persi durante l’anno.

Oltre il 30% dei cer­ti­fi­cati medici è stato pre­sen­tato di lunedì. Per i più mali­gni, potrebbe essere pen­sato come un modo per allun­gare il wee­kend, ma sono solo illa­zioni. I dati della ricerca sono stati estratti dall’Osservatorio sulla cer­ti­fi­ca­zione di malat­tia dei lavo­ra­tori dipen­denti pri­vati e pub­blici dell’Inps, avviato nel 2011 (anno in cui è andata a regime la tra­smis­sione tele­ma­tica dei cer­ti­fi­cati di malat­tia da parte dei medici di famiglia).

In aggiunta ai dati della Cgia, l’Inps ha dif­fuso l’andamento rela­tivo al 2013: in quell’anno «sono stati tra­smessi 11.869.521 cer­ti­fi­cati medici per il set­tore pri­vato e 5.983.404 per la pub­blica ammi­ni­stra­zione; nel set­tore pri­vato il numero dei cer­ti­fi­cati di malat­tia tra­smessi è stato sostan­zial­mente uguale a quello del 2012, con un aumento dell’1,1%, men­tre per la pub­blica ammi­ni­stra­zione com­ples­si­va­mente si rileva un aumento del 9,2%». Ancora, «emerge che nel set­tore pri­vato l’andamento è abba­stanza sta­bile nel trien­nio 2011–2013», men­tre nel pub­blico, invece, lo stesso periodo «evi­den­zia un trend crescente».

Tor­nando ai dati Cgia, a livello ter­ri­to­riale la maglia nera spetta alla Cala­bria: nel 2012 ogni lavo­ra­tore dipen­dente cala­brese è rima­sto a casa media­mente 34,6 giorni (41,8 nel set­tore pri­vato). Seguono i sici­liani (con 19,9 giorni medi l’anno), i cam­pani (con 19,4) e i pugliesi (con 18,8). I numeri si abbas­sano in Emi­lia Roma­gna (16,3 giorni l’anno), in Veneto (15,5), per toc­care il punto più basso nel Tren­tino Alto Adige, con 15,3 giorni.

I lavo­ra­tori anziani infine sono più a rischio dei gio­vani. Dalla rile­va­zione emerge che le assenze aumen­tano in misura cor­ri­spon­dente al cre­scere dell’ età. Se fino a 29 anni il numero medio di giorni di malat­tia per lavo­ra­tore è pari a 13,2, nella classe di età tra i 30 e i 39 anni sale a 14,9, per toc­care il valore mas­simo sopra i 60 anni, con 27,4 giorni medi di assenza all’anno.