Il vecchio e il nuovo | Fonte: Il Manifesto | Autore: Piero Bevilacqua

Renzi defi­ni­sce con­ser­va­tori i com­pa­gni del suo par­tito, che resi­stono all’abolizione defi­ni­tiva dell’art. 18. Non è la prima volta, negli ultimi anni, che nel dibat­tito poli­tico esplode il motivo del con­flitto tra con­ser­va­tori e inno­va­tori. Con un rove­scia­mento di senso rispetto a quel che nor­mal­mente signi­fi­cano que­sti due termini.

È un col­lau­dato arti­fi­cio reto­rico per met­tere in dif­fi­coltà chi difende diritti e con­qui­ste sociali con­so­li­dati, bol­lan­dolo come oppo­si­tore delle splen­dide novità por­tate dalla sto­ria che avanza. Ci sarebbe da chie­dersi se tutto il nuovo che si rea­lizza nel corso del tempo cor­ri­sponda ad aspi­ra­zioni gene­rali, porti bene­fici per tutti.

Pren­diamo ad esem­pio il campo della scienza, quello che al senso comune appare come il campo trion­fante del pro­gresso. Dav­vero tutto l’avanzamento scien­ti­fico dell’età con­tem­po­ra­nea è andato a bene­fi­cio dell’umanità?

La bomba ato­mica è stata una delle più grandi inno­va­zioni scien­ti­fi­che del ’900. In campo mili­tare si è pas­sato dalle armi per com­bat­tere un nemico sul ter­reno a uno stru­mento di geno­ci­dio, di can­cel­la­zione di tutto il vivente. Mi pare dif­fi­cile ascri­verla tra i pro­gressi dell’umanità.

L’amianto è un magni­fico mate­riale igni­fugo, che ha tro­vato infi­nite appli­ca­zioni indu­striali. È un vero pec­cato che esso induca il tumore mor­tale alla pleura o al pol­mone. Ma quella magni­fica inno­va­zione ci è costata e con­ti­nua a costarci migliaia di morti all’anno oltre alle somme ingenti per eli­mi­narlo da case e aziende.

Anche i gas clo­ro­fluo­ro­car­buri, quelli che ser­vi­vano alla refri­ge­ra­zione, rap­pre­sen­ta­vano una geniale inno­va­zione chi­mica. Com è noto, lace­rano lo strato atmo­sfe­rico dell’ozono ed espon­gono gli esseri viventi a raggi solari che alte­rano la strut­tura del dna. Dun­que, non sem­pre andare avanti signi­fica miglio­rare le cose.

Que­sta idea che cam­biando l’esistente si approdi neces­sa­ria­mente al meglio, che andando più in là si diventi più felici che stando qui, è un vec­chio cascame cul­tu­rale soprav­vis­suto all’illuminismo. È una super­sti­zione pae­sana, e ora dispo­si­tivo reto­rico di un ceto poli­tico senza pro­spet­tive, che crede di cam­biare il mondo cam­biando il senso delle parole.

Ma poi è sem­pre da con­dan­nare la con­ser­va­zione? Chi si oppone a che un ter­ri­to­rio verde venga coperto col cemento di nuove costru­zioni genera un danno alla col­let­ti­vità o crea qual­che van­tag­gio agli abi­tanti del luogo e più in gene­rale ai viventi? Chi lotta per­ché la via Appia non divenga luogo di lot­tiz­za­zione per vil­lette pri­vate è cer­ta­mente un con­ser­va­tore: vuole pre­ser­vare le pie­tre di due­mila anni fa da edi­fici nuovi fiam­manti. Ma chi esprime rispetto per la bel­lezza e la gran­dezza del nostro pas­sato, chi ha una idea di società meno spi­ri­tual­mente gretta, chi pro­pone la visione di un pae­sag­gio irri­pro­du­ci­bile da godere col­let­ti­va­mente, chi si fa carico delle nuove gene­ra­zioni, chi esprime un senso dell’interesse gene­rale e del bene comune: è da met­tere alla gogna? Tutto que­sto distil­lato di civiltà dob­biamo but­tarlo via per­ché è vecchio?

Ma la reto­rica con­tro i con­ser­va­tori ha avuto come ber­sa­glio pre­va­lente le tutele dei lavo­ra­tori. Tanto il centro-sinistra quanto il centro-destra hanno aperto una vasta brec­cia di inno­va­zione nel mondo del lavoro: hanno inau­gu­rato l’era del lavoro precario:lavoro in affitto, a pro­getto, inte­ri­nale, som­mi­ni­strato, ecc. Un flo­ri­le­gio mai visto di inno­va­zioni legislative.

In Ita­lia la For­nero è riu­scita a creare una figura unica nel suo genere: gli eso­dati, lavo­ra­tori senza sala­rio e senza pen­sione. Nes­suno può dire che non si tratti di una inno­va­zione. Sta­bi­lire a van­tag­gio di chi è altra questione.

Anche il pre­si­dente della Repub­blica, nella discus­sione intorno all’articolo 18, ha por­tato un rile­vante con­tri­buto di inno­va­zione. Lo ha fatto sul piano del lin­guag­gio. Ha esor­tato il governo e i suoi ad avere più corag­gio. Corag­gio a ren­dere più facil­mente licen­zia­bili ope­rai e impie­gati, coloro che ten­gono in piedi l’economia e i ser­vizi del paese, spesso per un misero sala­rio, coloro che talora entrano ed escono dalla cassa inte­gra­zione, che si infor­tu­nano, che sul lavoro ci muoiono,che rinun­ciano alla mater­nità, che vivono nell’angoscia di un licen­zia­mento che può get­tarli in strada da un momento all’altro. Non siamo di fronte a una innovazione?

Chi è, nel senso comune uni­ver­sale, corag­gioso? Cer­ta­mente colui che affronta un avver­sa­rio più forte, che alza la voce con­tro chi sta in alto. Ad esem­pio chi mette in atto una poli­tica fiscale con­tro le grandi ric­chezze, chi cri­tica l’arrogante poli­tica bel­lica degli Usa, chi cerca di limi­tare l’arricchimento pri­vato di tante pub­bli­che professioni.Il pre­si­dente della Repub­blica capo­volge la verità sto­rica e anche quella delle parole e si schiera con­tro i lavo­ra­tori del suo paese. A favore degli impren­di­tori, che così potranno disporre in piena e com­pleta libertà della forza– lavoro. Come fac­ciamo a non con­si­de­rarlo un innovatore?

Ma que­sta inno­va­zione ci porta “avanti”? Inde­bo­lire la classe ope­raia, dun­que il lavoro pro­dut­tivo non sem­bra che fac­cia avan­zare le società del nostro tempo. La vasta ricerca di T.Piketty, (Il capi­tale nel XXI secolo, Bom­piani) mostra al con­tra­rio come l’ineguaglianza che si va accu­mu­lando, stia facendo ritor­nare indie­tro la ruota della sto­ria. Misu­rando il peso cre­scente che l’eredità va assu­mendo nelle società indu­striali odierne, egli ricorda che «il pas­sato tende a divo­rare il futuro:le ric­chezze pro­ve­nienti dal pas­sato cre­scono auto­ma­ti­ca­mente, molto più in fretta – e senza dover lavo­rare – delle ric­chezze pro­dotte dal lavoro, sul cui fon­da­mento è pos­si­bile rispar­miare. Il che, quasi ine­vi­ta­bil­mente, porta ad asse­gnare un’importanza smi­su­rata e dura­tura alle disu­gua­glianze costi­tui­tesi nel pas­sato, e dun­que all’eredità».
Le mort sai­sit le vif, si diceva un tempo, il morto tra­scina il vivo, il pas­sato ingoia il pre­sente. I nova­tori che avan­zano innal­zando i loro ves­silli cor­rono in realtà verso il pas­sato. L’innovazione dei corag­giosi capo­volge non solo la verità morale delle parole, ma anche il corso, pre­teso pro­gres­sivo, della sto­ria del mondo.

#lottoxil18 – Le tutele crescenti e l’apartheid generazionale Fonte: Il Manifesto | Autore: Luigi Pandolfi

Con­tiene qual­cosa di scon­vol­gente (nel senso let­te­rale di «scon­vol­gere») il prin­ci­pio con­te­nuto nell’emendamento del governo al Jobs Act sulle cosid­dette «tutele cre­scenti», da appli­care ai nuovi con­tratti di lavoro subor­di­nato. Leg­giamo: «(…) il Governo è dele­gato ad adot­tare, (…) in coe­renza con la rego­la­zione dell’Unione euro­pea e le con­ven­zioni inter­na­zio­nali, (…) la pre­vi­sione, per le nuove assun­zioni, del con­tratto a tempo inde­ter­mi­nato a tutele cre­scenti in rela­zione all’anzianità di ser­vi­zio».

Da que­sta dispo­si­zione si ricava che, nella nuova ver­sione del wel­fare ita­lico pro­spet­tata dal governo, sarà l’anzianità di ser­vi­zio a deter­mi­nare il livello di godi­mento dei diritti costi­tu­zio­nali da parte dei lavo­ra­tori, dun­que, nella gene­ra­lità dei casi, l’età dello stesso lavo­ra­tore.
Nel nostro ordi­na­mento, solo la mag­giore età costi­tui­sce uno spar­tiac­que nella sto­ria per­so­nale di un indi­vi­duo, deli­neando una linea di con­fine tra un prima e un dopo nella scala di godi­mento dei diritti san­citi dalla Costi­tu­zione. Benin­teso, un minore non ha diritto di voto, non ha facoltà piena di porre in essere atti nego­ziali, ma non per que­sto è pas­si­bile di soprusi e di discri­mi­na­zioni. Anzi, c’è una tutela raf­for­zata che li riguarda, in quanto «sog­getti deboli».

Nello schema pro­po­sto dal governo in mate­ria di rap­porti di lavoro, c’è invece un rove­scia­mento del prin­ci­pio: più sei gio­vane (in Ita­lia si può lavo­rare già a 13 anni) meno tutele e diritti avrai.
Nel caso spe­ci­fico dell’articolo 18 dello Sta­tuto dei lavo­ra­tori, e segna­ta­mente della rein­te­gra in caso di licen­zia­mento senza giu­sta causa di cui molto si parla, que­sto capo­vol­gi­mento di sce­na­rio impli­che­rebbe una ver­go­gnosa cor­re­la­zione tra gio­vane età e pos­si­bi­lità di subire licen­zia­menti arbi­trari o, addi­rit­tura, discri­mi­na­tori, anche licen­zia­menti fun­zio­nali al non rag­giun­gi­mento della soglia di «anzia­nità di ser­vi­zio» pre­vi­sta dalla legge per l’accesso al godi­mento di alcuni diritti.

Abile però il governo, e il pre­mier in par­ti­co­lare, a pre­sen­tare la «riforma» come un rime­dio al regime di apar­theid che oggi vige­rebbe nel mondo del lavoro, nel senso che la fat­ti­spe­cie denun­ciata sarebbe pro­prio quella che si andrebbe a con­cre­tiz­zare nel momento in cui venisse appro­vata la nuova disci­plina in mate­ria di rap­porti di lavoro pro­po­sta dall’esecutivo.

Se dav­vero il governo avesse in mente di eli­mi­nare le discre­panze esi­stenti tra lavo­ra­tori «tra­di­zio­nali» e lavo­ra­tori «ati­pici», cer­ta­mente non ini­zie­rebbe a occu­parsi dei diritti dei primi. Piut­to­sto met­te­rebbe mano alla giun­gla di con­tratti che negli anni ha gene­rato il mare di pre­ca­riato in cui sono immersi i secondi. Si por­rebbe, in sostanza, il pro­blema di esten­dere le tutele a chi oggi non ce l’ha, non a livel­larle verso il basso, isti­tu­zio­na­liz­zando nuove forme di discri­mi­na­zione su base generazionale.

Che c’entra il volersi occu­pare di «Marta», che «non ha la pos­si­bi­lità di avere il diritto alla mater­nità», col voler togliere diritti a «Fran­ce­sca», che invece quel diritto ce l’ha insieme all’altro di poter ricor­rere con­tro un licen­zia­mento senza giu­sta causa? Ma soprat­tutto, qual è il modello di società che si pro­spetta alle «Marta» d’Italia? Quello in cui chi è gio­vane e pre­ca­rio oggi sarà un vec­chio povero domani, che per giunta dovrà «gua­da­gnarsi» con l’anzianità di ser­vi­zio (di ser­vigi?) l’accesso al godi­mento di diritti fondamentali?

C’è una Costi­tu­zione, tut­tora vigente mi sem­bra, che all’articolo 3 san­ci­sce: «Tutti i cit­ta­dini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, (…)». Poi dice anche che la Repub­blica ha il com­pito di «rimuo­vere gli osta­coli di ordine eco­no­mico e sociale, che, limi­tando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cit­ta­dini, (…)».
Ecco, «pari dignità» e «rimo­zione degli osta­coli». Esat­ta­mente il con­tra­rio di ciò che il governo sta prospettando