Il sacrificio di Terranova, Mancuso e Saetta da: antimafia duemila

terranova-mancuso-bigdi AMDuemila

A trentacinque anni di distanza dall’uccisione del giudice Terranova e del maresciallo Mancuso, e a ventisei dall’omicidio del giudice Saetta, riproponiamo il ricordo del loro estremo coraggio nel combattere ogni forma di mafia e illegalità.

Oltre trent’anni fa il giudice Cesare Terranova ed il maresciallo Lenin Mancuso vennero uccisi da Cosa nostra in un agguato sotto casa del magistrato. La mattina del 25 settembre 1979, quando Terranova uscì dalla sua abitazione per recarsi in ufficio e raggiunse il maresciallo Mancuso che lo aspettava in auto, tre sicari armati circondarono la vettura facendo esplodere una trentina di colpi.
Cesare Terranova rappresentava per la mafia un pericolo troppo grande per non intervenire tempestivamente. Tornato da poco a Palermo, la mafia corleonese non aveva dimenticato, tra le tante indagini di cui si era occupato questo giudice scomodo e integerrimo, quelle sugli omicidi commessi a Corleone tra il ’58 e il ’63, che sfociarono a Catanzaro nel processo contro 115 mafiosi (tra cui il capomafia corleonese di allora Luciano Liggio). A seguito dell’assoluzione di tutti gli imputati per insufficienza di prove, Terranova oppose un ricorso che portò al riconoscimento delle accuse nei confronti di Liggio, condannato all’ergastolo nel 1974. L’odio che il boss di Corleone nutriva per il giudice che era riuscito a farlo condannare era risaputo, tanto che i colleghi di Terranova regalarono al magistrato una foto del capomafia, conservata in ufficio, per scherzare su quello storico antagonismo.

A seguito delle nuove assoluzioni che portarono alla conclusione di un nuovo processo, a Bari (nel 1969 vennero assolti 64 imputati tra cui Totò Riina) nel 1972 Terranova appese temporaneamente la toga al chiodo per ricoprire il ruolo di deputato alla camera nella lista del PCI, entrando anche a far parte per due legislature della Commissione parlamentare Antimafia.
Il Cesare Terranova che nel settembre 1979 tornò a Palermo dopo questa parentesi parlamentare, forte di una maggiore esperienza e di approfondite conoscenze su una mafia in continua evoluzione, aveva ben chiaro il modo in cui, ancora una volta, avrebbe messo i bastoni tra le ruote a Cosa nostra. Fece subito domanda per dirigere l’ufficio d’istruzione, e già girava la voce che la sua nomina veniva data per scontata. La mafia non poteva attendere oltre, e decise di regolare i conti a suon di proiettili.
Per l’uccisione di Terranova e Mancuso vennero condannati, il 15 maggio del 2000, Salvatore Riina, Bernardo Brusca, Bernardo Provenzano, Francesco Madonia, Pippo Calò, Nenè Geraci, Michele Greco. Leoluca Bagarella, Vincenzo Puccio, Pippo Gambino, Ciccio Madonia, esecutori materiali. Nell’ottobre 2004, la Corte di Cassazione ha confermato gli ergastoli per Totò Riina, Michele Greco, Nenè Geraci e Francesco Madonia.
saetta-antonino-stefano-bigNon trascorsero neanche dieci anni da quel 25 settembre 1979, e Cosa nostra tornò a colpire un altro giudice dalla schiena dritta. Il 25 settembre 1988 un commando mafioso uccise il giudice Antonio Saetta insieme al figlio Stefano in un ennesimo agguato poco prima di mezzanotte, sulla strada tra Canicattì e Caltanissetta. Saetta, in magistratura fin da giovanissimo, si occupò per la prima volta di mafia al processo sulla strage in cui morì Rocco Chinnici, nel corso del quale vennero aggravate le condanne per gli imputati, tra cui i Greco di Ciaculli. A Palermo Saetta venne nominato Presidente della I sez. della Corte d’Assise d’Appello, e presiedette al processo per l’omicidio del capitano Emanuele Basile.
Sul luogo dell’uccisione del magistrato vennero ritrovati un centinaio di proiettili. per il suo assassinio sono stati condannati all’ergastolo con sentenza definitiva il boss palermitano Francesco Madonia, e Pietro Ribisi, di Palma di Montechiaro.

25 settembre 2013

Foto: Lenin Mancuso e Cesare Terranova (in alto) e Antonio Saetta con il figlio Stefano (a destra)

Guatemala, massacro di indigeni, è stato d’assedio da: il manifesto

Parenti delle vittime a Guatemala City, dopo gli scontri a Pajoques

Stato d’emergenza in Gua­te­mala dopo una nuova mat­tanza di indi­geni e le con­se­guenti pro­te­ste. La zona inte­res­sata, il comune di San Juan Saca­te­pé­quez, si trova nella parte ovest del paese. Lì sono stati uccisi 11 lea­der delle comu­nità indi­gene, in lotta con­tro le grandi imprese del cemento, che inva­dono i loro ter­ri­tori senza con­trollo. Altre quat­tro per­sone sono rima­ste ferite dalle guar­die della Cemen­tos Pro­gre­sos S. a., che hanno spa­rato con­tro i mani­fe­stanti, in lotta da oltre sei anni con­tro i pro­getti di cementificazione.

Gli indi­geni hanno con­ti­nuato a pro­te­stare, cer­cando di difen­dersi con bastoni e machete. Il governo dell’ex gene­rale Otto Pérez Molina, detto Mano­dura, ha sospeso per 15 giorni «cin­que garan­zie costi­tu­zio­nali», in primo luogo il diritto a riu­nirsi e a mani­fe­stare e quello di orga­niz­zare festeg­gia­menti, pena l’impiego dell’uso della forza. Un con­tin­gente di oltre 300 effet­tivi è stato inviato nella zona, cin­que comu­nità hanno denun­ciato vio­lenze e abusi. La magi­stra­tura ha emesso 39 ordini di cat­tura e sono state arre­state cin­que per­sone. Per le orga­niz­za­zioni indi­gene, l’ennesima mat­tanza e l’ennesima provocazione.

Il con­flitto nell’ovest del Gua­te­mala è diven­tato più acuto nel 2006, quando l’impresa Pro­greso ha deciso di attuare i suoi pro­getti senza con­sul­tare le comu­nità. Nel 2011, il rela­tore spe­ciale delle Nazioni unite per i diritti dei popoli indi­geni, James Anaya, ha denun­ciato il caso, spie­gando: «La pre­senza delle grandi imprese nei ter­ri­tori indi­geni ha gene­rato una situa­zione di grave con­flit­tua­lità e ha cau­sato enormi divi­sioni nelle comu­nità». Una situa­zione comune a tutto il paese. Il governo di «Mano­dura» lascia campo libero alle mul­ti­na­zio­nali, e reprime con fero­cia la resi­stenza delle comu­nità, prive di tutele lavo­ra­tive e ambientali.

Molina — che le orga­niz­za­zioni indi­gene e la sini­stra vor­reb­bero vedere alla sbarra come geno­cida — cono­sce bene la pra­tica dei mas­sa­cri: per esser stato in prima fila durante la guerra civile che, dal 1960 al ’96 ha pro­vo­cato 200.000 morti e l’esilio di 450.000 per­sone. Oltre il 90% delle vit­time — in gran parte indi­geni maya — è stato ucciso dalle forze armate o dai gruppi para­mi­li­tari. Durante il suo governo, «Mano­dura» ha fatto ricorso varie volte allo stato d’eccezione per risol­vere i con­flitti nei ter­ri­tori indigeni.

La Cemen­tos Pro­greso è stata fon­data nel 1899 da immi­grati ita­liani, i Novella. Per acca­par­rarsi le risorse del paese — che, secondo le pre­vi­sioni del Fondo mone­ta­rio inter­na­zio­nale, quest’anno avrà una cre­scita del 3,4% e nel 2015 arri­verà fino al 3,7% — agi­scono diverse grandi società mine­ra­rie, com­pa­gnie petro­li­fere, idroe­let­tri­che, agroa­li­men­tari: cana­desi, sta­tu­ni­tensi, fran­cesi… Con gli accordi di pace del 1996, l’allora pre­si­dente, Alvaro Arzu ha spa­lan­cato loro le porte.

Il filone più red­di­ti­zio e per­va­sivo è però quello del nar­co­traf­fico, con annesso mer­cato delle armi. Le mul­ti­na­zio­nali del set­tore, ben pre­senti nelle imprese, finan­ziano le cam­pa­gne elet­to­rali, forag­giano set­tori dell’esercito (vero e pro­prio potere eco­no­mico) e lavano il loro denaro in certe ban­che. Il tes­sile è domi­nato dalle maquil­las, imprese di assem­blag­gio di vestiti e altri pro­dotti ad alto sfrut­ta­mento del lavoro, in cui sono impie­gate 70.000 per­sone, in mag­gio­ranza gio­vani donne.

Imprese che non rispet­tano nean­che le con­di­zioni minime san­cite dall’articolo 16 del Trat­tato di libero com­mer­cio, fir­mato con gli Usa nel 2006. E per que­sto, il governo degli Stati uniti ha annun­ciato che intende por­tare a giu­di­zio quello gua­te­mal­teco e ha messo in campo un arbi­trag­gio sul tema: con la pos­si­bi­lità di mul­tare il Gua­te­mala per 15 milioni di dol­lari. Molina si è lamen­tato di que­sto presso l’Organizzazione degli stati ame­ri­cani (Osa), addu­cendo la len­tezza del par­la­mento nel deci­dere le pro­po­ste di riforma al codice del lavoro, che inclu­de­reb­bero anche san­zioni alle imprese che non rispet­tano i diritti dei lavoratori.

Intanto, le comu­nità indi­gene e con­ta­dine, con l’apporto della sini­stra gua­te­mal­teca, con­ti­nuano a lot­tare per una riforma agra­ria e intanto cer­cano di recu­pe­rare le terre dalle quali sono state scac­ciate durante la dittatura.

Il Gua­te­mala tor­nerà alle urne alla fine del 2015 per eleg­gere il sosti­tuto di Pérez Molina e rin­no­vare par­la­mento e muni­cipi per il periodo che va dal 2016 al 2020. Il par­tito di governo, il Par­tido Patriota (con­ser­va­tore) ha già pre­sen­tato il suo pre­can­di­dato alla pre­si­denza, Ale­jan­dro Jorge Sini­baldi Apa­ri­cio: «La mia pro­po­sta di governo si baserà su una destra moderna — ha annun­ciato nel suo primo mee­ting — lo svi­luppo eco­no­mico è indi­spen­sa­bile, ma è inac­cet­ta­bile che circa il 60% dei gua­te­mal­te­chi viva in povertà e in povertà estrema».

Triste epilogo alla Berloni: licenziati 140 lavoratori Fonte: rassegna

Il triste epilogo di una vicenda complessa e dolorosa come quella della Berloni srl vedrà la collocazione in mobilità di 140 dipendenti. Ne dà notizia la Fillea Cgil di Pesaro, annunciando che il 30 novembre prossimo scadrà la cassa integrazione straordinaria per tutti i dipendenti della società in liquidazione. Ieri, giovedì 25 settembre, è stato infatti sottoscritto l’accordo per il licenziamento collettivo di 240 dipendenti in esubero (in seguito alla cessazione dell’attività aziendale), cento dei quali saranno poi riassunti a tempo indeterminato entro ottobre, quando si dovrebbero concludere le operazioni necessarie per l’acquisto di un ramo d’azienda (quello delle cucine).

Epilogo, si diceva, di una lunga crisi che ha colpito un’impresa leader nel campo delle cucine e degli arredamenti che, dopo aver fatto ricorso al concordato in bianco ed essere stata messa in liquidazione, con la fine della cassa integrazione cesserà il rapporto di lavoro con tutti i dipendenti, anche se l’accordo prevede l’assunzione di cento lavoratori. “Il futuro di questo marchio – sostiene Giuseppe Lograno della Fillea di Pesaro che ha seguito la vertenza dall’inizio – è ormai affidato alla Berloni Group che, in tempi brevi, ci auguriamo, acquisti la Berloni e assuma a tempo indeterminato tutti i dipendenti che attualmente lavorano con contratti a scadenza, riducendo così a 140 il numero dei lavoratori che cesseranno il rapporto di lavoro, come previsto dall’accordo. Al momento la newco – prosegue Lograno – non sta procedendo a livelli che ci erano stati annunciati. Questo ha impedito l’inserimento nell’organico di altro personale in cassa integrazione. Personale con specializzazioni altissime che ci auguravamo fossero riassorbite visto anche il piano industriale”.

Sulla vicenda interviene anche la segretaria generale della Cgil Pesaro Urbino, Simona Ricci: “Resta comunque il dramma, ampiamente annunciato, di 140 lavoratori che perderanno il proprio posto di lavoro. E resterà il fatto che un’altra realtà industriale del nostro territorio che cerca di uscire dalla crisi, verrà fortemente ridimensionata e con molte incertezze sul futuro. Nonostante i nostri numerosi appelli – aggiunge – alle associazioni di categoria, alle istituzioni locali e regionali, a noi resta l’amarezza di dover ancora una volta constatare che non esiste ancora un progetto per il rilancio del nostro settore manifatturiero e che il nostro territorio, sta vivendo una lenta agonia con il rischio di una vera e propria desertificazione industriale”.

Landini: “Piazza piena per salvare l’articolo 18!”Fonte: Il Manifesto | Autore: Antonio Sciotto

E così la mac­china della Cgil è par­tita: la piazza del 25 otto­bre – San Gio­vanni – dovrà tra­boc­care di per­sone. Altri­menti il flop sarebbe cla­mo­roso, e le bat­tute del pre­si­dente del con­si­glio Mat­teo Renzi potreb­bero dive­nire ancora più bef­farde e taglienti. Ieri infatti sia Susanna Camusso che Mau­ri­zio Lan­dini, i due lea­der Cgil e Fiom in ritro­vata unità, hanno comin­ciato a spro­nare il pro­prio popolo di dipen­denti, pen­sio­nati e pre­cari. Oggi a Bolo­gna il diret­tivo Cgil che farà il punto.

Ma soprat­tutto si tratta di una corsa con­tro il tempo, per­ché il Jobs Act è già in discus­sione al Senato e Renzi punta a por­tare, al ver­tice Ue sul lavoro dell’8 otto­bre, un testo «non pastic­ciato». Cioè il più vicino pos­si­bile all’idea che lui stesso ha della delega: un qual­cosa con un nuovo sistema di tutele (quali per ora, e con che coper­ture è un mistero), basta che sia fatto fuori l’articolo 18.

Lan­dini ha arrin­gato i metal­mec­ca­nici dal palco dell’Assemblea nazio­nale di Cer­via: quella che avrebbe dovuto sta­bi­lire le moda­lità del cor­teo del 18 otto­bre, due giorni fa con­fluito nella piazza del 25 gra­zie a un accordo con Susanna Camusso. «Penso che aver deciso que­sta ini­zia­tiva sia un fatto impor­tan­tis­simo –ha detto il lea­der delle tute blu – ed è neces­sa­rio che la Fiom sia parte deci­siva per la sua riuscita».

Il segre­ta­rio Fiom ha rilan­ciato con un’altra pos­si­bile mobi­li­ta­zione, annun­ciando l’imminenza di uno scio­pero gene­rale della sua cate­go­ria: «Sarebbe impor­tante se l’assemblea desse man­dato alla segre­te­ria per arri­vare anche alla pro­cla­ma­zione di uno scio­pero gene­rale dei metal­mec­ca­nici», ha detto.

Lan­dini ha poi invo­cato la neces­sità di inno­vare le forme di pro­te­sta: «Le mani­fe­sta­zioni vanno benis­simo – ha osser­vato – gli scio­peri sono asso­lu­ta­mente neces­sari ma, quando fai uno scio­pero, i cas­sin­te­grati e i pre­cari non pos­sono farlo». Uno «scio­pero al con­tra­rio», così lo ha defi­nito, in cui si invi­tano le figure che nor­mal­mente non lavo­rano, o che hanno impie­ghi sal­tuari, ad affian­carsi agli scio­pe­ranti con momenti di «lavoro utile»: come opere di manu­ten­zione, cura dell’ambiente, soste­gno alle ini­zia­tive sociali.

Lan­dini ha invi­tato i fiom­mini a impe­gnarsi nella riu­scita della mani­fe­sta­zione, spie­gando che è impor­tante per dare un segnale al governo. D’altronde, quella di abo­lire l’articolo 18, e altri ana­lo­ghi prov­ve­di­menti su tagli e bloc­chi dei con­tratti, «non sono deci­sioni prese libe­ra­mente dall’Italia, ma sono vin­co­late dalla Bce e dall’Europa».

Da Roma ha soste­nuto le ragioni della pro­te­sta anche Camusso: «È strano soste­nere di un decreto delega, che ha un suo lungo per­corso di attua­zione, che è un pren­dere o lasciare –ha detto la segre­ta­ria Cgil – Abbiamo detto tante volte come il tema di uni­fi­care il mer­cato del lavoro sia molto impor­tante e non si possa fare creando nuovi dualismi».

I dua­li­smi che Renzi creerà abo­lendo l’articolo 18, tra chi oggi lo ha come tutela e chi non lo avrà mai. E Camusso ieri ne ha avute anche per la Con­fin­du­stria: l’associazione gui­data da Gior­gio Squinzi negli ultimi giorni ha molto bat­tuto sull’abolizione dell’articolo 18, e ieri si è presa della «desa­pa­re­cida». «In que­sta sta­gione la vediamo così – ha spie­gato la lea­der sin­da­cale – Alterna soste­gno al governo a lar­vate cri­ti­che, non vediamo il pro­ta­go­ni­smo. È l’effetto di una poli­tica che le imprese hanno fatto, non fon­data su ricerca e innovazione».

Quanto a Cisl e Uil – più tie­pide nei con­fronti del governo, ma anche ral­len­tate dal cam­bio al ver­tice di Bonanni e Ange­letti – Camusso si è augu­rata che si ripren­dano a fare ini­zia­tive insieme: «Ci augu­riamo che riprenda un cam­mino uni­ta­rio basato sulla piat­ta­forma previdenza-fisco che ave­vamo defi­nito insieme e che adesso affronti anche i temi del mer­cato del lavoro».

Ma come si sa sull’articolo 18 le visioni dei tre sin­da­cati, e soprat­tutto di Cisl e Uil rispetto alla Cgil, non sono con­ver­genti: le prime due hanno aperto a un Jobs Act che eli­mini la rein­te­gra per i nuovi assunti, men­tre il sin­da­cato gui­dato da Camusso punta ancora a man­te­nerla in piedi, sep­pure posti­ci­pata di un numero X di anni (si era par­lato di 3 ini­zial­mente, ma anche que­sto ter­mine – sem­pre che la tutela venga con­ser­vata – non è affatto scontato).

C’è da regi­strare infine la difesa dell’articolo 18 da parte della pre­si­dente della Camera, Laura Bol­drini: «Credo che l’articolo 18 sia que­stione non cru­ciale per il cam­bia­mento – ha detto – Ho incon­trato mol­tis­simi impren­di­tori e ciò che lamen­tano sono troppe tasse, poco accesso al cre­dito, troppa buro­cra­zia, tempi lun­ghi della giu­sti­zia. Rara­mente ho sen­tito l’imprenditore che ha detto il pro­blema è l’articolo 18». «Non credo si fac­cia ripresa e cre­scita ero­dendo diritti a chi ancora li ha».

Walter Rossi, tante iniziative fino alla commemorazione del 30 settembre Autore: fabio sebastiani da: controlacrisi.org

Un evento, in un lungo percorso di denuncia e ricordo, per ricordare Walter Rossi, militante di Lotta Continua ucciso a 20 anni nel 1977. “Walter Rossi –
memoria bene comune”, questo il titolo dell’evento, cominciato ieri a Roma, Piazzale degli Eroi, e che terminerà il 30 settembre. Alle associazioni e ai movimenti che, a
livello nazionale, sono protagonisti di questa difficile stagione di lotte, e’ rivolto l’invito a partecipare a questo evento. Ieri si è parlato di cultura e antifascismo con i vecchi e nuovi movimenti antagonisti.
Sono stati presenti storici, giornalisti e scrittori. Sabato 27/09 dalle ore 10.00 l’attenzione si sposta sui movimenti che tutelano i beni comuni. Saranno presenti i comitati e le associazioni maggiormente esposti nella tutela dei beni comuni a Roma e il Comitato No TAV della Val Susa.  Fino alle ore 14,00 – Meeting Point per tutti i partecipanti al corteo del pomeriggio sulla Palestina. La sera, dopo il corteo per la Palestina, concerto, sempre a Via Cipro, dei Falla Grossa Crew, Radio Riot, di Luca Bassanese e la Piccola Orchestra Popolare per la dignita’ dei Popoli e dei Tetes de Bois. Il 30/09, alle 9.00, in Piazza Walter Rossi, la cerimonia ufficiale con la deposizione delle corone e gli interventi delle Autorita’ Istituzionali, del Sindaco Ignazio Marino e del Presidente della Regione Zingaretti, dei familiari e dei vecchi compagni di Walter.
Sempre il 30/09, alle ore 17,30 ci sara’ il corteo da Piazzale degli Eroi alla lapide in Viale delle Medaglie d’oro. Dalle ore 19.00 in Piazza Walter Rossi per il restayling dell’affresco e del monumento e “festa di piazza”. Ieri,infine, a Largo Spartaco a Cinecitta’ si è parlato di Walter, con l’intento di disseminare, in tutta la citta’ di Roma medaglia d’oro della Resistenza, i valori comuni dell’antifascismo e della memoria.

In diecimila al corteo di solidarietà con il popolo palestinese a Roma | Autore: fabio sebastiani

Diecimila persone hanno partecipato a Roma al corteo di solidarietà con la Palestina e la fine dell’occupazione da parte di Israele. Un serpentone che è andato ben oltre le previsioni della vigilia, con tanti striscioni e bandiere fino ia piazza Santi Apostoli, dove si terrà il comizio finale. Un grande striscione in apertura delcorteo recita: “Per la fine dell’occupazione israeliana”; dietro, quasi tutti membri della comunità palestinese in Italia,tra cui l’ambasciatrice. Mai Al Kaila.
Lo slogan echeggiato con più forza è stato sicuramente qeullo che reclama la fine dell’occupazione israeliana della Palestina. “Il nostro popolo non si arrenderàmai”,dicono i Palestinesi, e quindi l’unica via d’uscita dopo 60 anni di conflitto è che Israele se ne vada. Una posizione sostenuta anche dagli “Ebrei contro l’occupazione” presenti all’iniziativa”. Convocata sulla base di un appello della comunità palestinese, la manifestazione ha registrato la presenza di decine e decine di organizzazioni politiche, comitati, gruppi di solidarietà. Molti  i rappresentanti dei partiti della sinistra antagonista, tra cui Giovanni Russo Spena, Paolo Ferrero, Marco Ferrando. Presenti anche le Donne in nero, il Comitato romano dellacqua pubblica. Un altro filone dell’iniziativa ha riguardato il boicottaggio di Israele, sia sotto il profilo commerciale che quello militare. Nel giro di affari che lega Italia a Israele ci sono le forniture della Selex ES, i satelliti realizzati dalla Thales Alenia Space, la cooperazione nel programma Opsat e la ben nota fornitura dei M346 dell’Aermacchi. L’Usb in un comunicato/volantino invita i lavoratori a non collaborare con i programmi militari e con qualsiasi progetto o fornitura “che possa favorire l’occupazione israeliana”. Il 19 ottobre ci sarà a Milano una assemblea pubblica per costruire il “No” all’ingresso di Israele all’Expo (#EXPOFAMALE).
Quasi impossibile dare conto delle decine e decine di striscioni e bandiere che si sono stretti intorno al popolo Palestinese in un momento in cui la loro dura condizione continua ad essere nascosta agli occhi dell’opinione pubblica. Tra gli altri,lebandiere di Rifondazione comunista, del Pcl, della Lista Tsipras, dell’Anpi, dei Cobas, Di Freedom Flotilla e della Rete dei Comunisti.

Qui di seguito il testo dell’appello:Terra, pace e diritti per il popolo palestinese. Fermiamo l’occupazione

Appello per una manifestazione nazionale in sostegno al popolo palestinese il 27 settembre a Roma

L’aggressione Israeliana contro il popolo palestinese continua, dalla pulizia etnica del 1948, ai vari massacri di questi decenni, dal muro dell’apartheid, all’embargo illegale imposto alla striscia di Gaza e i sistematici omicidi mirati, per finire con il fallito tentativo di sterminio perpetuato in questi ultimi giorni sempre a Gaza causando più di 2000 morti ed oltre 10.000 ferite.

Il Coordinamento delle comunità palestinesi in Italia indice una manifestazione nazionale di solidarietà:

– per il diritto all’autodeterminazione e alla resistenza del popolo palestinese;

– per mettere fine all’occupazione militare israeliana;

– per la libertà di tutti i prigionieri politici palestinesi detenuti nelle carceri israeliane;

– per la fine dell’embargo a Gaza e la riapertura dei valichi;

– per mettere fine alla costruzione degli insediamenti nei territori palestinesi;

– per il rispetto della legalità internazionale e l’applicazione delle risoluzione del consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite;

– per uno stato democratico laico in Palestina con Gerusalemme capitale (come sancito da molte risoluzioni dell’Onu);

– l’attuazione del dritto al ritorno dei profughi palestinesi secondo la risoluzione 194 dell’Onu e la IV Convenzione di Ginevra.

Chiediamo a tutte le forze democratiche e progressiste di far sentire la loro voce contro ogni forma di accordi militari con Israele.

Chiediamo al Governo italiano e in qualità di presidente del “semestre” dell’UE di adoperarsi per il riconoscimento europeo dei legittimi diritti del popolo palestinese e mettere fine alle politiche di aggressione di Israele, utilizzando anche la pressione economica e commerciale su Israele.

Il coordinamento delle Comunità palestinesi in Italia chiede a tutte le forze politiche e sindacali e a tutti le associazioni e comitati che lavorano per la pace e la giustizia nel mondo di aderire alla nostra manifestazione inviando l’adesione al nostro indirizzo mail :

comunitapalestineseitalia@hotmail.com

Coordinamento delle Comunità Palestinesi in Italia