Aldrovandi, Ferrero: Non dimentichiamo Federico, ucciso il 25 settembre 2005. Istituire reato di tortura e formare le polizie perchè non succedano più delitti come il suo da: rifondazione comunista

Aldrovandi, Ferrero: Non dimentichiamo Federico, ucciso il 25 settembre 2005. Istituire reato di tortura e formare le polizie perchè non succedano più delitti come il suo

Aldrovandi, Ferrero: Non dimentichiamo Federico, ucciso il 25 settembre 2005. Istituire reato di tortura e formare le polizie perchè non succedano più delitti come il suo

di Paolo Ferrero – Il 25 settembre 2005 veniva ammazzato a Ferrara un ragazzo, Federico Aldrovandi.
Siamo vicini alla famiglia, che con coraggio e dignità continua a tenere alta la memoria di Federico, nonostante le vergognose e ripetute offese e provocazioni da parte di rappresentanti delle forze dell’ordine e di alcuni esponenti del centrodestra. Lo chiediamo da Genova: oltre ai processi, per avere verità e giustizia contro chi compie dei reati gravissimi indossando una divisa, serve una legge sul reato di tortura e un sistema identificativo per tutti i rappresentanti delle forze dell’ordine. Inoltre è urgente rivedere i criteri di arruolamento e formazione del personale che si muove nelle nostre città come meglio scenari della guerra globale.

Caso D’Erme, attacco politico ai movimenti in assenza della politica Fonte: Il Manifesto | Autore: Sandro Medici

Nun­zio D’Erme è un istrut­tore di nuoto. I bam­bini che par­te­ci­pano ai suoi corsi l’adorano, così come i loro geni­tori. Piace la cor­dia­lità con cui inse­gna ai più pic­coli a stare in acqua e a nuo­tare. È insomma un uomo gene­roso e appas­sio­nato, rico­no­sciuto per la sua pro­fes­sio­na­lità e il garbo con cui la eser­cita. Que­ste sue doti, per la pro­cura romana, costi­tui­scono un’aggravante, che da sta­mat­tina gli stanno costando una deten­zione nel car­cere di Regina Coeli.

È stato impri­gio­nato «in ragione della sua figura cari­sma­tica e per il suo ruolo di lea­der­ship», sostiene il capo d’imputazione. Insieme a lui, incri­mi­nato anche il ven­tot­tenne Marco Bucci, mili­tante spar­ta­chi­sta. L’accusa parla di resi­stenza e lesioni, ma in realtà il reato che viene adde­bi­tato ai due è l’antifascismo. Nella scorsa pri­ma­vera, insieme ad altri ragazzi di Cine­città, hanno respinto l’aggressione di una squa­drac­cia di monaci omo­fobi, quei cre­pu­sco­lari figu­ranti di Mili­tia Chri­sti. In sé, né più né meno di una baruffa, squal­li­da­mente pro­vo­cata per con­te­stare un incon­tro pub­blico sul diritto alle dif­fe­renze. E aver difeso quell’assemblea, che peral­tro si stava svol­gendo in una sede isti­tu­zio­nale, in una sala del Muni­ci­pio, per le buro­cra­zie giu­di­zia­rie diventa un reato, con tanto di misure detentive.

È molto dif­fi­cile resi­stere alla ten­ta­zione di inter­pre­tare que­sti arre­sti come un ulte­riore pas­sag­gio di que­sta sta­gione per­se­cu­to­ria, che da qual­che tempo aleg­gia cupa­mente in città. Oltre a D’Erme e Bucci, sono in stato di deten­zione due espo­nenti del movi­mento di lotta per la casa, Di Vetta e Fagiano. Così com’è in corso l’istruttoria giu­di­zia­ria sull’Angelo Mai. E nell’ultimo anno abbiamo assi­stito a sgom­beri su sgom­beri, da Tor di Nona a Via delle Aca­cie, dal Vol­turno all’America.

Dopo più di un decen­nio di espe­rienze di movi­mento tanto vitali quanto con­sa­pe­voli, che hanno deter­mi­nato un’impronta poli­tica tra le più avan­zate in Ita­lia (e in Europa), la linea di comando repres­siva, tra incri­mi­na­zioni e inter­venti musco­lari, sta siste­ma­ti­ca­mente sfi­brando il tes­suto con­net­tivo della sini­stra sociale. E lo scopo è ridurre a un’emergenza di ordine pub­blico quello che è stato (ed è tut­tora) un largo pro­cesso sociale di fer­tile con­ta­mi­na­zione tra riven­di­ca­zione di biso­gni e ini­zia­tiva poli­tica. Un per­corso che ha agito sulla pro­get­ta­zione sociale, sulla riap­pro­pria­zione dei beni comuni, sulle poli­ti­che dei diritti, sulla rige­ne­ra­zione territoriale.

È insomma un attacco poli­tico a vasto rag­gio. Ana­logo a quello in corso in Val di Susa o nel Meta­pon­tino, anche qui con arre­sti e incri­mi­na­zioni. Un attacco poli­tico in assenza della poli­tica: o meglio, in sosti­tu­zione della poli­tica, appa­ren­te­mente neu­trale, in realtà com­par­te­cipe. E a Roma tutto ciò avviene con una niti­dezza tanto spie­tata quanto avvi­lente. D’Erme è stato un con­si­gliere comu­nale per molti anni, un ottimo con­si­gliere comu­nale: in molti ricor­dano e ancora apprez­zano le sue bat­ta­glie, la sua pas­sio­na­lità. Oggi è in galera. Lungo que­sta para­bola tra­spare tutta l’opaca viltà dell’attuale poli­tica romana.

Contro l’articolo 18 è chi pensa al lavoro come merce”. Intervento di Luigi Agostini, ex segret. nazionale Cgil” Autore: luigi agostinida. controlacrisi.org

Riceviamo e volentieri pubblichiamo questa riflessione di Luigi Agostini che mette insieme l’attacco all’Art. 18 con l’assenza di politica economica e con il Ttip. Tutto da leggere. 

La competitività è diventato l’argomento centrale di chi sostiene che l’articolo 18 rappresenta la ragione di fondo della scarsa competitività dell’apparato industriale italiano.
Partendo da tale assunto la deduzione politica è semplice: per la salvezza di tutti si può sacrificare il diritto di chi lavora (non ovviamente le proprie rendite o la propria roba). Poi si vedrà. Il discorso sulla competitività, fa scattare immediatamente il raffronto con quello che succede da altre parti, specialmente con la Germania, data la forza competitiva raggiunta dal suo apparato produttivo.Trascurando per un momento il discorso generale, cioè la miopia di una concezione che pensa che il superamento della crisi possa realizzarsi attraverso l’adozione di una forma di mercantilismo centrato sulle esportazioni, (qualcuno dovrà pur importare in tale schema), è forse utile circoscrivere e approfondire il tema.

La competitività della industria tedesca ha un nome sopra tutti gli altri, si chiama FRAUNHOFER.
L’apparato produttivo tedesco ha alle spalle una grande Agenzia pubblica (si badi pubblica) composta da circa quarantamila tra scienziati, tecnologi, ingegneri etc., espressione dei grandi Politecnici tedeschi, a cui ogni azienda, di fronte ad una qualsiasi strozzatura produttiva, può rivolgersi, stabilendo un contratto di ricerca, per avere risposta all’eventuale problema.
La FRAUNHOFER alimenta così, con le sue risposte, un continuo flusso di investimenti e, attraverso tale flusso, un processo di innovazione incrementale e sistemico. Gli investimenti infatti non si improvvisano, tanto è vero che oggi, pur portando la BCE il denaro quasi a costo zero, il cavallo non beve.

DOMANDA STRATEGICA: a quando una FRAUNHOFER italiana, vista anche la particolare struttura produttiva italiana in cui le grandi imprese, oltretutto sempre più ridotte di numero, hanno sostanzialmente smantellato i loro istituti di ricerca (Pensiamo al CSM a POMEZIA per la SIDERURGIA), e le piccole imprese vivono soprattutto copiando, o affidandosi al famigerato “genio italico”? Esempio quotidiano la vicenda dei cosiddetti distretti industriali e la loro tenuta messa a dura prova dall’atavico ed esasperato privatismo individualistico dei loro singoli componenti.

Quindi una FRAUNHOFER ITALIANA; riorganizzando, unificando, ristrutturando, potenziando e finalizzando i centri di ricerca che pur esistono e spesso anche di notevole qualità, facendo, per questa via, POLITICA INDUSTRIALE, CIOE’ INNOVAZIONE DI PROCESSI E DI PRODOTTI, e quindi Investimenti, e quindi Occupazione e Diritti.

OGGI, LA POLITICA INDUSTRIALE, NON ESSENDOCI PIU’ LE PARTECIPAZIONI STATALI ed essendo impossibili le svalutazioni competitive, PASSA ESSENZIALENTE PER TALE VIA MAESTRA.
Si tratta, se non si vuole ridurre il tutto a denuncia o invocazione, di dare quindi un seguito alla grande tradizione italiana dei Natta, degli Ippolito, dei Buzzati-Traverso e strutturare un nuovo ruolo del Pubblico a tale livello strategico, dopo il fallimento degli animals spirits del Mercato, testimoniato dalla sovraccapacità produttiva accumulata in questi decenni. La Anarchia del mercato, ammoniva già Marx, non poteva che portare a tali esiti esiziali.

Una Sinistra Pensante questo dovrebbe fare e non unirsi al coro di una classe dirigente di MISERABILI (NEL SIGNIFICATO del termine), senza idee e senza progettualità, unicamente dedita a scaricare su chi sta peggio, sostenuta da un sistema comunicativo in gran parte di “venduti al Capitale”, i costi delle sue scelte CHE HANNO PORTATO IN QUASI TUTTI I SETTORI, AD UN ACCUMULO DI SOVRACAPACITA’ PRODUTTIVA SEMPRE PIU’ DIFFICILE DA SMALTIRE E SOPRATUTTO DA SOSTITUIRE.

Qui infatti sta’ la ragione vera della crisi che stiamo attraversando, in tutto l’occidente, e specificamente in Italia, e della impossibilità di superarla, se non mettendo mano all’insieme del modello di sviluppo: modello produttivo e modello di consumo.

L’articolo 18 rappresenta storicamente l’avamposto più avanzato di una concezione che pensa il lavoro non come una merce tra le altre, da affidare al diritto commerciale; il lavoro in tale concezione rappresenta l’aspetto essenziale di ogni persona, a protezione del quale si costruisce appunto un diritto preciso, il diritto del lavoro.

L’articolo 18, -fra l’altro riformulato recentemente, rappresenta un grande test, perfino in termini di onestà e di disonestà intellettuale e morale. Non per caso, è oggetto degli attacchi più disonesti e faziosi, a partire da gente come Sacconi e Brunetta che, -travestendosi da Moderni Innovatori secondo il vero sport dell’idiotismo italiota- invitano a superare le” ideologie”, a “uscire dal novecento”, come se uno strumento di difesa verso la eventuale prepotenza padronale fosse una ideologia e non uno strumento di contenimento, è come se il capitalismo di oggi non fosse figlio e continuazione del capitalismo di ieri.

Viene se mai da pensare, per quello che si può intuire, data la segretezza in cui si stanno svolgendo le trattative del cosiddetto Patto Transatlantico tra STATI UNITI ed EUROPA, che l’articolo 18 e la libertà di dimensionamento si configurino, dato lo squilibrio di forze tra i due contraenti, come le prime vittime di un drastico ridimensionamento, se non azzeramento, dei diritti del lavoro che Sindacati e Sinistra politica hanno realizzato in EUROPA nel corso di lunghe lotte.

Tali lotte –e’ bene ricordarlo agli smemorati- hanno avuto in fondo un comun denominatore: condizionare la totale libertà dell’impresa capitalistica, “civilizzare “cioè, come alcuni dicono, gli spiriti animali del capitalismo, contrastare la tendenza spontanea dell’impresa capitalistica a ridurre il lavoro semplicemente a Merce, da affidare alle regole del diritto commerciale.

Una Sinistra sociale e politica-specie ai tempi di papa Bergoglio -qualora decidesse di ammainare il simbolo più ricco di significato del diritto del lavoro prodotto in Italia, per di più gratis, potrebbe essere ricordata come quel tale di EFESO che per passare alla storia incendiò il tempio di Diana: una delle sette meraviglie del mondo.