ANPI news n 134

APPUNTAMENTI

 

Semi di Costituzione. La bella storia delle repubbliche partigiane“: martedì 30 settembre, alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università La Sapienza di Roma, presentazione del secondo numero speciale di Patria Indipendente, il mensile dell’ANPI Nazionale

 

 

 

ARGOMENTI

 

Notazioni del Presidente Nazionale ANPI, Carlo Smuraglia:

 

Sono andato a Sant’Anna di Stazzema ed ho parlato nel corso del raduno promosso dalle ANPI della Toscana e organizzato dal loro Comitato regionale, ai numerosi convenuti, tra cui non pochi Sindaci, oltre – ovviamente – il sindaco di Stazzema. L’incontro a Sant’Anna è sempre commovente e la visita all’Ossario sembra, ogni volta, aprire una ferita  che resta aperta dentro di noi. Lo stupore per la barbarie, l’incapacità di accettare che si possano compiere simili atrocità, sono sempre il segno di un ricordo che non si estingue e non si estinguerà mai.

Considero, peraltro, assai importante la presenza massiccia dell’ANPI in una manifestazione direttamente organizzata, che non aveva nulla di celebrativo e intendeva recare un doveroso tributo alle persone e alle famiglie colpite e dedicare un abbraccio a chi ancora è riuscito a sopravvivere; soprattutto, la manifestazione aveva l’intento di riflettere anche e soprattutto sullo stato delle cose, sull’accertamento della verità, sull’assunzione delle responsabilità da parte di tutti coloro cui spetta (…)

 

 

Sono stato, lunedì, all’inaugurazione dell’anno scolastico, avvenuta, come di consueto, al Quirinale, con la presenza di tremila  ragazzi e con l’organizzazione di un pomeriggio di intrattenimento assai vivace. La presenza di tante ragazze e ragazzi è sempre motivo di gioia e di speranza  per il futuro. Tuttavia non sono uscito dalla manifestazione con l’animo sereno e soddisfatto di chi ha trovato ciò che credeva e sperava di trovare.

Devo fare due rilievi, pur se di diversa importanza.

Nei discorsi, così come negli spettacolini e nello scorrere di immagini sul grande schermo si è fatto riferimento più volte al fatto che l’anno scolastico che ha ora inizio sarà caratterizzato dall’anniversario della guerra mondiale del 1914-1918. Nessuno, dico NESSUNO, ha ricordato che l’anno che viene sarà caratterizzato dal 70° anniversario della Liberazione e dunque anche della Resistenza (…)

ANPINEWS N.134

Napolitano, Ferrero: Sbagliato fare da sponda al governo di destra di Renzi che appoggia i neo-nazisti in Ucraina intervista di Marco Guerra a Paolo Ferrero – http://www.intelligonews.it –

Napolitano, Ferrero: Sbagliato fare da sponda al governo di destra di Renzi che appoggia i neo-nazisti in Ucraina

 

“Napolitano e Renzi sono gli esecutori di una logica di classe guidata dall’alto che mira all’iper-sfruttamento generalizzato”. Il segretario del Prc, Paolo Ferrero, intervistato da IntelligoNews, commenta così le ultime esternazioni del Capo dello Stato, il quale ieri ha esortato l’Italia a non “restare prigioniera di conservatorismi” poiché sul lavoro “serve coraggio”.

Allora Ferrero, le parole di Napolitano sono un esplicito invito ad accelerare sulle riforme del lavoro. Chi si oppone ora dovrà vedersela anche con il Capo dello Stato?

Napolitano non la smette di combinare guai: prima ha portato Monti al governo, e ora, dopo l’esperienza negativa di Letta, fa da sponda a Renzi su una riforma del lavoro che peggiorerà ulteriormente le condizioni occupazionali di questo Paese. In questa tragica continuità il Capo dello Stato fa un intervento del tutto al di fuori del proprio mandato. Ormai Napolitano e Renzi sono due figuranti della stessa commedia, con il primo che da legittimità al secondo ed entrambi usano il parlamento per smantellare la Costituzione”.

Intanto anche diverse agenzie internazionali sostengono che non sarà la libertà di licenziare a far tornare a crescere il Pil italiano…

Ma lo sanno anche i bambini che un imprenditore assume non perché ha la possibilità di licenziare ma perché ha nuovi ordini e di conseguenza ha bisogno di nuova forza lavoro. Creare nuova precarietà invece scoraggerà ulteriormente i consumi interni. In passato il New deal e le teorie di Keynes hanno dimostrato che per far ripartire l’economia c’era bisogno di un maggiore trasferimento di ricchezza dalle banche e dai grandi possidenti ai lavoratori e ai soggetti più deboli. Quindi abolire l’art. 18 serve solo a distruggere il sindacato e dare più potere ai datori di lavoro. È una logica di classe guidata dall’alto. Il risultato finale di questa operazione sarà la generalizzazione di una situazione di iper-sfruttamento che al momento vivono alcune categorie di lavoratori precari”.

Nel Pd si registrano diverse voci dissidenti su questo tema. Finora però non si mai registrato nessuno strappo vero all’interno del partito. Anche stavolta Renzi farà passare la sua linea senza colpo ferire?

“Io ancora confido nel fatto che una parte del Pd non possa consentire che vengano smantellate le ultime tutele dei lavoratori. Poi c’è ancora grande parte del mondo sindacale che non si vuole arrendere. Insomma quello di Renzi è un esecutivo di Destra che fa cose di Destra con manovre peggiori di quelle portate avanti dal governo Berlusconi e credo che non tutto il Pd è disposto a farsi cancellare con un colpo di spugna”.

E quello che sta alla sinistra del Pd come intende reagire?

Noi del Prc saremo nelle varie manifestazioni di protesta dei lavoratori e poi, con le altre realtà che hanno aderito alla lista ‘L’Altra Europa con Tsipras’, stiamo organizzando per il 29 novembre una grande manifestazione nazionale contro le politiche del governo Renzi. Ci siamo presi molto tempo per prepararla bene”.

Magari durante l’autunno Renzi riuscirà a portare a casa qualche risultato. Non crede?

“Ma Renzi ha già fallito su tutta la linea, e sta coprendo i suoi fallimenti con il dibattito sul art. 18. Il premier ha stravinto le elezioni europee dicendo che avrebbe scardinato l’Ue ma non ha ottenuto nulla, nemmeno un virgola per quanto riguarda la flessibilità, per non parlare poi dell’emergenza immigrazione. Con l’aggravante che Renzi si è ritrovato anche il semestre di presidenza di turno. Non è risuscito a tenere fede nemmeno alla promessa che avrebbe tenuto una conferenza europea sulla disoccupazione: siamo a metà semestre e ancora non è stata fissata una data dell’evento… ma ormai credo che non si farà più. Renzi è riuscito a vincere solo il braccio di ferro per mettere la Mogherini a rappresentate della politica estera dell’Ue, la quale ha poi subito indossato l’elmetto e ora siamo tra i protagonisti di una possibile terza guerra mondiale in Ucraina e appoggiamo un governo di Kiev che presenta diversi elementi neo-nazisti. Per coprire tutti questi disastri Renzi sta dicendo che il Paese ripartirà solo se eliminiamo i diritti a quei lavoratori che ancora li possono vantare”.

Questo fallimento di cui lei parla non sembra emergere dalla stampa italiana. Anche alcune testate vicine alla destra plaudono all’azione innovatrice di Renzi…

“Renzi è un vero demagogo sta che realizzando i piani della P2 con lo stile del presidenzialismo più demenziale. Esiste una dittatura mediatica soft. Basta ricordare che nessuna testata si sta occupando della trattativa in corso tra Usa e Ue sul TTIP, il partenariato trans-atlantico per il commercio e gli investimenti. In pratica si vogliono eliminare anche le ultime regole che disciplinano il libero mercato”.

“Il Jobsact è la punta di diamante del regime che stanno preparando”. Intervento di Giorgio Cremaschi Fonte: il manifestino | Autore: giorgio cremaschi

Il governo Renzi concede alle imprese libertà di spionaggio sui dipendenti, con telecamere e quant’altro. E questa violazione elementare dei diritti della persona viene da quegli stessi politici che si indignano di fronte a intercettazioni telefoniche della magistratura che tocchino loro o le loro amicizie. Con il demansionamento si afferma la licenza di degradare il lavoratore dopo una vita di fatiche per migliorarsi. E questo lo sostengono coloro che ogni secondo sproloquiano sulla necessità di premiare il merito. Con la riforma degli ammortizzatori sociali si tagliano la cassa integrazione e l’indennità di disoccupazione e per il futuro le si dimensiona in rapporto alla anzianità di lavoro effettivo. Cioè i giovani e le donne prenderanno meno degli anziani maschi. E questo in nome di un modello sociale scandinavo sbandierato dagli estensori del jobsact per ignoranza o per pura menzogna.

Infine si aggiunge agli altri contratti precari, che al di là delle chiacchiere restano e con i voucher si estendono, quello a “tutele crescenti” per i nuovi assunti. Costoro in realtà nella loro crescita non incontreranno mai più l’articolo 18, quindi il loro contratto a tempo indeterminato in realtà sarà finto, perché essi saranno licenziabili in qualsiasi momento. Un contratto a termine al minuto, una ipocrita beffa. L’articolo 18 resterà come patrimonio personale dei vecchi assunti, quindi non solo mano mano si ridurrà la platea di chi usufruisce di quel diritto, ma saranno la stesse imprese a essere poste in tentazione di accelerare il ricambio dei loro dipendenti. Perché tenersi il lavoratore che ha ancora la tutela dell’articolo 18, quando se ne può assumere uno senza, pagato un terzo in meno?

Renzi non fa niente di nuovo, anzi applica il principio classico degli accordi di concertazione: il “doppio regime”. I diritti contrattuali, le retribuzioni, le condizioni di orario e le qualifiche, l’accesso alla pensione, son stati negli ultimi trenta anni ridotti per tutti, ma ai nuovi assunti venivano negati completamente, a quelli con più anzianità di lavoro invece un poco restavano. I diritti non potevano più essere trasmessi da una generazione all’altra, ma diventavano una sorta di rendita personale per le generazioni che abbandonavano il lavoro. Questi accordi, sottoscritti dai sindacati confederali e applauditi dagli innovatori ora fan di Renzi, hanno creato l’apartheid. Renzi stesso mente sapendo di mentire quando sostiene di voler abolire la disparità di diritti, invece tutti i suoi provvedimenti la rafforzano ed estendono. Il jobsact aggiunge ferocia a ferocia, non cambierà nulla nelle dimensioni della disoccupazione anzi i disoccupati aumenteranno, come è avvenuto in Grecia e Spagna che hanno per prime seguito la via oggi percorsa dal governo. Il jobsact non risolverà uno solo dei problemi produttivi delle imprese, soprattutto di quelle più piccole che non hanno mai avuto l’articolo 18, ma che sono in crisi più delle grandi. E allora perché si fa? Perché come scrivevano il 5 agosto 2011 Draghi e Trichet e come aggiungeva nel 2013 la banca Morgan, la protezione costituzionale del lavoro è un lusso che l’Italia non può più permettersi. I padroni d’Europa e della finanza vogliono un lavoro low cost in una società low cost, e tutto ciò che si oppone a questo loro disegno va trattato come un nemico. CGIL CISL UIL in questi anni han lasciato passare tutto, sono state di una passività che il presidente del consiglio Monti arrivò persino a vantare all’estero. Eppure a Renzi non basta ancora, per lui i sindacati devono generosamente suicidarsi per fare spazio al nuovo.

E questa è la seconda vera ragione del jobsact e del fanatismo con cui viene sostenuto: il valore simbolico reazionario dell’attacco all’articolo 18, che Renzi fa proprio per mettersi a capo di un regime. Un regime che non è il fascismo del secolo scorso, ma è un sistema autoritario che nega la sostanza sociale della nostra Costituzione e riduce la democrazia ad una parvenza formale, fondata sul plebiscitarismo mediatico e sull’assenza di diritti veri. Il jobsact è parte di una restaurazione sociale e politica peggiore di quella della signora Thatcher, perché fatta trent’anni dopo. Una restaurazione con la quale si pensa di affrontare la crisi economica per rendere permanenti le politiche di austerità, che, secondo la signora Lagarde direttrice del Fondo Monetario Internazionale, in Europa non son neppure cominciate. Una restaurazione che nel paese del gattopardo richiede un ceto politico avventuriero disposto interpretarla come il nuovo che avanza. Per questo il governo Renzi è il governo della menzogna e l’affermazione della verità è il primo atto di resistenza contro il regime che vuole costruire.

Resistenza, disperse nel Tevere le ceneri dei due gappisti Bentivegna e Capponi Autore: fabrizio salvatori da: controlacrisi.org

Le ceneri do Carla Capponi e Rosario Bentivegna, eroi della Resistenza romana, combattenti contro il nazifascismo, sono state disperse nelle acque del Tevere, la loro ultima dimora. La figlia Elena, infatti, non avendo ottenuto di seppellirli in 80 centimetri di terra nel Cimitero Acattolico come desiderato dai genitori, ha rispettato la loro volontà di avere disperse le proprie ceneri, come seconda ipotesi, nel fiume sacro ai romani diventato la loro tomba. “Chiunque potrà portare dei fiori di campo, i preferiti da Carla, in ogni parte del fiume”. dice Ernesto Nassi, presidente Anpi provinciale di Roma.
“Lunedì 22 settembre 2014 entra di diritto nella storia della Resistenza Romana, al pari delle date storiche della lotta al nazifascismo, non di certo per un’azione dei Gap – prosegue – ma, purtroppo, come ‘giorno dell’abbandono’ riferito ai due partigiani pluridecorati, che a Roma e per Roma hanno combattuto duramente contro i tedeschi partecipando a molte azioni significative”, aggiunge Nassi. “La loro storia è nella Storia della Resistenza Romana e non solo, una storia dove hanno dato tutto di se stessi, mettendo molte volte a rischio la vita, senza nulla chiedere, avevano un solo desiderio, una volta morti, riposare le loro ceneri nel Cimitero Acattolico, all’ombra della Piramide di Porta San Paolo, dove hanno combattuto per la Difesa di Roma”.La dijspersione delle ceneri nel Tevere arriva dopo il tentativo di collocarle nel cimitero Acattolico di Roma, che ha incontrato molte resistenze e sostenitori non molto determinati. “Neanche le Ambasciate che hanno decorato i due gappisti sono intervenute a loro favore, La direzione del cimitero che non ha voluto sentire ragioni, nonostante i tanti cattolici italiani sepolti, anche recentemente, senza il minimo rispetto per il Paese e la sua Capitale che ospita il cimitero, dimentichi del contributo dato dai partigiani italiani contro il comune nemico nazifascista”, aggiunge Nassi. “Da alcuni mi aspettavo un impegno forte e convinto per rispettare il desiderio di due eroi nazionali – prosegue Nassi – Come lo aspettavo dagli antifascisti eredi del Pci, di cui Carla è stata deputata; e della Cgil, dove Rosario ha collaborato come medico del lavoro; ma anche più impegno da altre associazioni e partiti, Anpi compresa. Tutti hanno fatto sentire la loro voce timidamente e non come meritavano delle medaglie d’Oro e d’Argento della Resistenza italiana”.

Rodotà, Landini, Azzariti e Zanotelli: Una legge popolare contro l’austerità | Fonte: Il Manifesto

Una pro­po­sta di legge costi­tu­zio­nale di ini­zia­tiva popo­lare, in quat­tro arti­coli, è stata depo­si­tata ieri in Corte di Cas­sa­zione. La pre­sen­tano oggi alla camera dei depu­tati Ste­fano Rodotà e Mau­ri­zio Lan­dini, con alcuni par­la­men­tari e molti espo­nenti di asso­cia­zioni.

La pro­po­sta modi­fica tre arti­coli della Costi­tu­zione (81, 97 e 119) e can­cella il prin­ci­pio del «pareg­gio di bilan­cio» intro­dotto come fur­ti­va­mente nella pri­ma­vera del 2012 in regime di lar­ghe intese e con Mario Monti al governo. Si tratta però di una pro­po­sta più ampia, una revi­sione costi­tu­zio­nale che espli­cita l’obbligo per la finanza pub­blica di rispet­tare «i diritti fon­da­men­tali delle per­sone» prima dei vin­coli dell’austerità euro­pea.

La rac­colta delle firme comin­cerà mer­co­ledì primo otto­bre: ser­vono 50mila sot­to­scri­zioni in sei mesi e la data di par­tenza è stata scelta per evi­tare sovrap­po­si­zioni con il refe­ren­dum anti auste­rità pro­mosso da Piga e Bal­das­sarri e soste­nuto dalla Cgil, che si avvia fati­co­sa­mente al tra­guardo. I pro­mo­tori della pro­po­sta di legge di ini­zia­tiva par­la­men­tare hanno scelto così di non con­trap­porsi al refe­ren­dum, ma è evi­dente che a muo­vere que­sta seconda cam­pa­gna sono anche i dubbi verso la prima. Dubbi che giu­ri­sti come Rodotà e Azza­riti, ma anche Gianni Fer­rara, hanno pro­po­sto anche sulle nostre pagine: sulla base della giu­ri­spru­denza costi­tu­zio­nale c’è il timore che la Con­sulta possa non ammet­tere i refe­ren­dum. Da qui l’iniziativa popo­lare, che muove dal pre­sup­po­sto che l’Italia ha voluto stra­fare, non essen­doci alcun obbligo euro­peo di inse­rire il vin­colo del pareg­gio in Costi­tu­zione. Come si legge nella rela­zione che accom­pa­gna la pro­po­sta, «ciò com­porta il gra­vis­simo effetto di ren­dere immo­di­fi­ca­bili le poli­ti­che del rigore anche nell’ipotesi di un rav­ve­di­mento a livello euro­peo».

Ade­ri­sco all’iniziativa i par­la­men­tari del Pd Civati e Fas­sina e dei Sel Mar­con, Airaudo e Fra­to­ianni (gli ultimi quat­tro tra i soste­ni­tori anche del refe­ren­dum). Oltre ad Azza­riti par­te­ci­pano oggi alla con­fe­renza stampa Alez Zano­telli, Vini­cio Alba­nesi, Andrea Bara­nes, Alberto Cam­pailla, Vit­to­rio Cogliati Dezza, Fran­ce­sco Vignarca e molti altri.

Il nuovo libro di Paolo Ferrero. Debito, un romanzo criminale Autore: Maria R. Calderoni da: controlacrisi.org

TTIP, chi era costui? Bella domanda. Ma se non sapete darvi una risposta, andate a pagina 92 di questo libro e l’avrete. “Questo” libro è “La truffa del debito pubblico”, autore Paolo Ferrero (DeriveApprodi, pagine 153, euro 12), a giorni in libreria. A pagina 92, appunto, dove troverete che il TTIP, grazioso acronimo che sta per un incommensurabile “Transatlantic Trade and Investment Partnership”, è un colosso planetario che incarna un affaire planetario di nuovissimo conio, ormai pronto ad entrare in funzione entro la fine del 2014 (vi è sfuggito, vero?).Leggete pure. «Il TTIP, cioè la costruzione di un mercato unico per merci, investimenti e servizi tra Europa e Nord America». Vale a dire «un trattato di libero scambio tra Europa e Nord America che abolisca i dazi doganali e uniformi i regolamenti dei due continenti». Vale a dire via libera a un unico grande mercato, una cosuccia «che vale il 45% del Pil mondial», appena.

E che c’ è di male, di grazia? Tranquilli, nessuno ve lo dir à (la trattativa è stata sino a qui praticamente secretata), ma c’ è di male (malissimo) che col TTIP si toglieranno « vincoli ai potenti – banche e multinazionali in primo luogo – lasciandoli liberi di fare quello che vogliono e di utilizzare i rapporti di forza a loro favorevoli per imporre la legge del pi ù forte. Anche agli Stati » .

Naturalmente (come sempre) le favole – le fanfole – narrate al popolo-bue saranno ben altre. Ma è meglio sapere che in pratica col TTIP si sta mettendo in cantiere « la costruzione di una vera e propria Nato economic » , e ci ò « risponde a un preciso disegno geopolitico » .

Usa caput economico oltre che militare in tutta Europa, Russia esclusa; ed in pi ù , grazie a un secondoTTIP, gi à a buon punto, con tutti i Paesi che si affacciano sul Pacifico, esclusa la Cina, il disegno geopolitico Usa è quello « di uscire dall’attuale mondo multipolare per arrivare a un mondo bipolare: da una parte l’America e i suoi alleati, dall’altra la Cina e la Russia » (e gli altri paesi del Brics).

Allarme! Ferrero lo dice senza giri di parole (pag.103): « Gli Stati Uniti stanno ponendo le basi per una nuova “cortina di ferro” » . Perch é ci vuole poco a capire che « queste alleanze economiche si allargherebbero al tema dell’approvvigionamento delle materie prime, dell’acqua, delle terre fertili » .

Avete presente il pericolo di una nuova guerra (questa volta nucleare)? È proprio questo il caso, TTIP volendo.

Anche se certo non lo dicono TTIP e Debito Pubblico, anzi Truffa del Debito Pubblico, sono parenti stretti. Ferrero questo lo spiega bene, da pagina 7 a seguire. Per cominciare. La mamma non glielo ha detto, ma lui, povero bambino innocente, quando nasce ha gi à sulla sua testolina un debito “pubblico” di 30mila euro. E questo perch é il Debito Pubblico dell’Italia è enormemente enorme. Ve lo ripetono e stra-ripetono, è su tutti i giornali e tutte le tv, per non parlare di governo, parlamento, senato, bce, fmi, ue, Trojka tutta: guai al vostro Debito Pubblico, se non correte al riparo siete perduti!

E per rimediare al Debito Pubblico, lo sapete bene, c’ è sempre la sperimentata ricetta “paga tutto Pantalone”, va bene, oggi chiamata fiscal compact, spendid rewiew ecc (ricordate la cura da cavallo approntata per la Grecia?).

Quindi, sacrifichiamoci per il bene del Debito Pubblico, o la Borsa o la vita. Ma, questo boia di Debito Pubblico italiano, oggi arrivato a quota duemila miliardi di euro, da dove viene? Pagina 23. « Dalla seconda met à del 1981 a oggi, lo Stato italiano ha cominciato a pagare tassi di interesse molto pi ù alti del tasso di inflazione ed è cos ì che il debito pubblico è stato – volutamente – gonfiato a dismisura » .

Volutamente, avverbio-chiave. Tutto questo è potuto avvenire – e Ferrero lo spiega bene – per la quisquilia che nel 1981 appunto, attraverso un semplice « scambio di lettere » tra l’allora ministro del Tesoro Beniamino Andreatta e l’allora governatore della Banca d’Italia Carlo Azeglio Ciampi, « fu deciso il cosiddetto divorzio » , appunto tra ministero del Tesoro e Banca d’Italia.

E cio è ? E cio è avvenne che se, sino ad allora « quando lo Stato aveva bisogno di soldi, il ministero del Tesoro decideva il tasso di interesse a cui emettere i titoli di Stato, concordandolo con la Banca d’Italia » (la quale era anche impegnata a ricomprare i titoli eventualmente rimasti invenduti e con ci ò impedendo manovre speculative da parte di privati), da quel momento, da quel “provvidenziale” divorzio, « lo Stato italiano si è messo in mano alla finanza privata, agli speculatori, e ha cominciato a pagare tassi da usura per ottenere il denaro di cui aveva bisogno » .

Il libro offre una precisa – e paurosa – cronistoria dell’ escalation del nostro (!) Debito Pubblico, dal 1981 sino al 2007; nonch é della catastrofe economica mondiale dal 2008 ad oggi, dovuta ai mega-galattici crolli finanziari delle cosiddette “bolle”. Ma sar à bene fissare l’attenzione su un dato che Ferrero sottopone al nostro sguardo.

Per salvare il Sistema, cio è salvare le banche e i poteri finanziari che l’hanno portato sull’orlo della rovina, hanno dovuto mobilitarsi gli Stati, sotto forma di oltre 4 trilioni di euro sborsati sull’altare delle banche solo nell’Eurozona; e sar à bene annotare che l’Italia, nel suo piccolo, vi concorre con un 20 per cento…

Maastricht, Lisbona, Sme, austerity, salasso dei salari, forca delle tasse eccetera eccetera. Le cose sono certo multiple, complicate e complesse, ma il libro riesce a dare le risposte. O meglio, a spiegare i “perch é “. Magari tenendo presente i fondamentali del Capitale, quelli che non cambiano mai. Quelli che il vecchio (!) Marx chiamava « privatizzazione dei profitti e socializzazione delle perdite » .

Elementare, Watson.

Europa, razzismo da nascondere sotto il tappeto.Il caso del Belgio, con la scusa della crisi Fonte: www.rifondazione.be | Autore: redazione

Riproponiamo in italiano un articolo pubblicato sulla stampa belga nell’Agosto 2014 a firma di Anne Morelli, una delle maggiori studiose della emigrazione italiana in Belgio e professore all’Università Libera di Bruxelles, e di Carlo Caldarini amministratore di Bruxelles Laique, che da anni si occupa di problemi della immigrazione italiana in Belgio ed in Europa.Venerdi prossimo verranno pronunciati i tradizionali discorsi di omaggio in occasione della commemorazione della tragedia del Bois du Cazier (Marcinelle). Nessuno ricorderà le espulsioni di cui sono oggi vittima diversi “italiani del Belgio”, né la crisi economica che colpisce in massa questi discendenti di immigrati.

L’8 agosto 1956 il Belgio vestiva il lutto per le 262 vittime di Marcinelle, per la maggior parte italiane. All’origine del gesto che provocò il cortocircuito, impianti vetusti che non era “redditizio” modernizzare e la mancanza di istruzione dei nuovi arrivati. Nel linguaggio della stampa si parla di “tormentone”, cioè un tema che ritorna ogni anno e a proposito del quale si può ripetere pressappoco la stessa cosa. Quest’anno la tradizione si ripeterà: messa, deposizione di fiori, brindisi alla presenza delle autorità. Durante questa commemorazione non sarà di buon gusto l’evocazione di un tema d’attualità meno positivo per le relazioni italo-belghe: le espulsioni. Nel XIX secolo sono gli anarchici ed altri “vagabondi” italiani che vengono espulsi dal paese. Durante il regime di Mussolini sono gli antifascisti. Dopo la seconda guerra mondiale, sono i “comunisti”, di cui alcuni erano stati decorati in Belgio come resistenti. All’epoca della “battaglia del carbone”, gli italiani che rompevano il contratto erano arrestati e rispediti a casa.

La costruzione europea sembra aver rotto con questa pratica. Gli italiani che vivono in Belgio sono cittadini europei e devono godere degli stessi diritti che avrebbero se possedessero la nazionalità belga. Alcuni casi celebri smentiranno questa bella teoria. Nel 1993 Antonio Arena, che ha espiato una condanna al carcere, è espulso e costretto a lasciare in Belgio sua moglie e i suoi bambini, tra i 4 e i 9 anni. Portato davanti alle istanze europee, questo caso sarà seguito da parecchi altri. Con il concorso della crisi, tra il 2010 e il 2013 ben 5.913 cittadini europei hanno ricevuto l’ordine di lasciare il territorio del Regno. Nel solo 2013 l’Ufficio belga per gli stranieri ha messo fine al soggiorno di 2.712 europei.

In un primo tempo si trattava soprattutto di beneficiari del CPAS[1]. Poi è stata la volta dei disoccupati. Oggi l’ordine di levare le tende colpisce anche lavoratori (sì, lavoratori) che hanno trovato un lavoro “sovvenzionato”. Il pretesto è che questi cittadini rappresentano un “carico irragionevole” per il bilancio dello stato, la giustificazione è che questa gente viene a fare del turismo sociale, e l’alibi è che si applicano delle regole europee. Il teorema è infine provato: “è l’Europa che ce lo domanda”. In seguito al Trattato di Roma (1957), la libera circolazione è regolata da disposizioni europee obbligatorie. Oggi sono due i pilastri che reggono il sistema: la Direttiva 2004/38 e il Regolamento 883/2004. La Direttiva definisce le regole che tutti i paesi sono tenuti a seguire in materia di diritto al soggiorno. Essa stabilisce, per esempio, che ogni lavoratore dell’UE ha il diritto di risiedere senz’altra condizione che quella di essere un “lavoratore” (7.1) e che non può essere automaticamente allontanato, neanche se si trova in stato di disoccupazione involontaria (14.4). O ancora, che ogni cittadino dell’UE ha il diritto di beneficiare dell’assistenza sociale allo stesso titolo dei cittadini del paese di accoglienza (24), senza che questo possa costituire pretesto per una misura di allontanamento automatico (14.3).

Il Regolamento fa la stessa cosa in materia di sicurezza sociale. Esso stabilisce, per dare un altro esempio, che se avete lavorato in Italia e poi in Belgio, al momento di calcolare la vostra indennità di disoccupazione il Belgio deve tener conto di tutti i periodi lavorati. Interpretando queste regole “à la carte”, la ministra Maggie De Block ci presenta questi stranieri come degli approfittatori. Quelli di Marcinelle, invece, hanno tutte le virtù. Forse perché i morti non hanno bisogni. L’altro tema che non sarà abbordato nei discorsi di Marcinelle riguarda la situazione attuale dei cittadini provenienti dall’immigrazione italiana.

Ci viene continuamente ammanita la storia del successo di un pugno di italo-belgi (Di Rupo, Adamo, qualche sportivo, o addirittura la regina Paola), “dimenticando” che i discendenti di questa immigrazione per lo più operaia sono, in virtù della riproduzione sociale, le prime vittime della crisi. La disoccupazione tocca molto di più gli italo-belgi, sovrarappresentati nelle professioni operaie e nelle scuole che preparano a questi mestieri. Se i quadri sindacali sono spesso italiani, è perché moltissimi italo-belgi sono metalmeccanici. Perché il panorama sociale sia fedele alla realtà, bisognerebbe dire anche che gli italiani del Belgio sono sovrarappresentati anche nella grande povertà e nella delinquenza. Temi politicamente molto poco corretti. E su cui il consenso è molto meno vasto che sul “sacrifico” di Marcinelle…

L’articolo 18, servito anche a chi non ce l’ha Fonte: Micro Mega | Autore: Matteo Pucciarelli

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Sì, una metà del mondo del lavoro, ormai, non è tutelato dall’articolo 18. Vero, verissimo e anche triste. E allora tantovale abolirlo, dice e pensa una parte di quelli che non hanno questa specie di scudo. Verrebbe da rispondere, semplicemente, che se è un diritto e una tutela (come in effetti è) perché non estenderlo? Da quando in qua, in nome di un diritto che non si ha, si decide di toglierlo definitivamente?

«Noi, la generazione perduta, l’articolo 18 non l’abbiamo mai conosciuto, e non sappiamo che farcene. Ma questo perché nessuno, dalla politica ai sindacati, è stato in grado di leggere i cambiamenti in atto e di affrontarli nel giusto modo. Abolitelo dunque questo vecchio, antico arnese chiamato articolo 18, controllateci con le telecamere, licenziateci e risarciteci con un indennizzo economico. Se credete che questo serva a rilanciare l’economia, dunque se lo facciamo per i nostri figli, facciamolo», scrive (provocatoriamente) Giulio Finotti.

Vorrei rispondere alla provocazione di Giulio, che fa il verso ai tanti che dicono davvero di volerlo abolire, miei coetanei e spesso di “sinistra”, che noi lo abbiamo conosciuto eccome. Dovremmo ringraziarlo, l’articolo 18. E dovremmo ringraziare chi lo ha conquistato in passato, a costo di miliardi di ore di sciopero, di una durissima lotta politica cominciata sul finire degli anni ‘60.

Ho conosciuto l’articolo 18 attraverso mio padre. Un impiegato. Uno stipendio. E se penso a lui e penso alla mia famiglia, un padre e una madre con cinque figli da crescere, non mi passa neanche per l’anticamera del cervello la parola “privilegio” associato alla sua condizione di lavoratore tutelato da un contratto a tempo indeterminato. Mi viene in mente la parola “dignità”: sapere che c’era uno strumento che tutelasse minimamente la vita (la vita, dico) di sette persone. Sapere che mio padre potesse pure stare sul cazzo al suo superiore, al direttore della sua filiale o non so a chi; sapere che mio padre potesse anche sbagliare, perché sbagliare capita a tutti; sapere che mio padre potesse pure ammalarsi; sapere che poteva succedere tutto questo, eppure avere una protezione che non lo facesse campare con il terrore del domani, e noi con lui.

Per questo oggi mi incazzo con chi ci racconta la balla del «voi avete vissuto al di sopra delle vostre possibilità». Perché questi anni, questi decenni, non sono stati uguali per tutti; e perché un baby pensionato, un finto invalido, un assunto alle poste dal notabile locale, non fanno comunque la storia di milioni di persone che nel nostro Paese hanno messo insieme il pranzo con la cena con non poche difficoltà, eppure con onestà da una parte, e con la dignità di chi si nutre di un diritto dall’altra.

Io all’articolo 18 sarò sempre grato. Gli voglio bene. Fosse una persona, la abbraccerei ogni giorno invece di cacciarla via a pedate nel culo. Ed è vero che il mondo cambia, che il lavoro e la produzione mutano, ma la modernità che di fatto toglie a chi ha già avuto poco puzza di antico, puzza di furto. Chi non se ne rende conto è sì davvero ideologico: il problema è che non se ne accorge, né si accorge – in ultimo – di chi sta facendo gli interessi.