Stato-Mafia, dalle indagini spunta la conferma dei rapporti tra il generale Mori e l’eversione nera Autore: fabrizio salvatori da: controlacrisi.org

Nei giorni scorsi il procuratore generale Roberto Scarpinato ha subito una pesante intimidazione. Chi ha scritto e messo sulla sua scrivania una lettera intimidatoria con precisi e puntuali riferimenti alla sua vita privata “suggerisce” al magistrato di “rientrare” nei ranghi e non invadere spazi non suoi. E, soprattutto, le inchieste che l’ex pm del processo Andreotti, da mesi, sta conducendo sui legami tra Stato e Mafia. Il 26 riprende il processo d’appello sulla mancata cattura di Provenzano. Non solo Scarpinato si e’ autoassegnato il processo d’appello per favoreggiamento aggravato all’ex generale del Ros Mario Mori e starebbe conducendo indagini delicate sui legami tra l’ex ufficiale e ambienti legati all’eversione nera.

Indagini che si intrecciano con quelle condotte dalla Procura che ha istruito il processo sulla trattativa Stato-mafia e che potrebbero far rileggere in una luce diversa anche il dibattimento sul presunto patto stretto tra pezzi dello Stato e Cosa nostra in cui Mori e’ imputato e le stragi del ’92 e del ’93.

Tra la Procura Generale e la Procura c’e’ un continuo scambio di carte. Ieri i pm Roberto Tartaglia e Nino Di Matteo hanno depositato nuovi documenti, subito trasmessi al pg, che proverebbero i rapporti di Mori con l’ex Venerabile della P2 Licio Gelli e alcuni terroristi neri. Tra gli atti anche il verbale di interrogatorio di un ex ufficiale del Sid, Mauro Venturi, che negli anni ’70 lavoro’ a stretto contatto col generale. Venturi racconta che Mori, voluto nei Servizi da un uomo vicino a Vito Miceli, gli propose di entrare nella P2. “Mi disse che non era una Loggia come le altre – spiega – e mi invito’ ad andare a casa di Gelli. Alle mie perplessita’ reagi’ dicendomi che quelli del Sid erano garantiti e che sarebbero stati inseriti in liste riservate”. Il testimone sostiene anche che Mori gestiva i contatti con la rivista Op di Mino Pecorelli. Tra le carte depositate anche un verbale di interrogatorio dell’ex giudice istruttore di Brescia Giovanni Tamburino che indago’ sulla cosiddetta Rosa dei Venti, un’organizzazione di estremisti neri ed ex ufficiali, anche del Sid, con appoggi nella massoneria e nell’imprenditoria che progetto’ un golpe tra il 1973 e il 1974. Tamburino interrogo’ un uomo chiave dell’organizzazione, Amos Spiazzi, che gli rivelo’ di avere avuto ordine di attivare la cellula veneta della Rosa dei Venti da un capitano dei carabinieri in forza al Sid. Il giudice chiese la foto di servizio di Mori per mostrarla a Spiazzi e capire se quel capitano fosse lui, ma dopo averla ricevuta, la Cassazione, su istanza dell’allora pm a Roma Claudio Vitalone, gli tolse l’indagine che venne accorpata a quella romana sul golpe Borghese conclusasi poi in un nulla di fatto.

A parlare dei contatti tra l’ex generale e Gelli c’e’ anche un verbale di interrogatorio che una ex fonte del generale, Gianfranco Ghiron, molto vicino all’estrema destra e agli 007 americani, rese al giudice istruttore di Brescia nel 1975. Ghiron racconta di avere presentato a Mori il terrorista nero Amedeo Vecchiotti. E che da lui ricevette un biglietto in cui si annunciava la fuga in Argentina di Gelli. “Avverti Mori – scriveva Vecchiotti che si riferisce all’ex generale col suo nome di copertura di Giancarlo Amici – Dico cio’ perche’ se la partenza di Gelli danneggia mr Vito (il generale Vito Miceli ndr) lo fermino, altrimenti, se e’ meglio che vada, lo lascino andare”.

Jobs act anche per decreto, articolo 18 sempre più a rischio Fonte: il manifesto | Autore: Massimo Franchi

Il Jobs act per decreto. Com­presa la modi­fica dell’articolo 18, sim­bolo di «un sistema ini­quo» e dun­que «non di sini­stra», di un «sistema del diritto del lavoro che va radi­cal­mente cam­biato». Per ora è solo una minac­cia che Mat­teo Renzi agita alla Camera – non riba­den­dola invece al Senato, dove parla qual­che ora più tardi – ma cer­ti­fica come il pre­si­dente del Con­si­glio voglia por­tare a casa “in tempi bre­vis­simi” la nuova riforma del lavoro. Dubbi di costi­tu­zio­na­lità a parte — tra­mu­tare un dise­gno di legge delega in un decreto sarebbe una for­za­tura dif­fi­cil­mente accet­ta­bile da Napo­li­tano — il pre­mier mette la pistola sul tavolo parlamentare.

Alla vigi­lia della riu­nione della com­mis­sione Lavoro del Senato che dovrà discu­tere l’articolo 4 della legge delega – quella che riguarda il con­tratto a tutele cre­scenti e, nel volere della destra della mag­gio­ranza anche la riscrit­tura in maniera restrit­tiva dello Sta­tuto dei lavo­ra­tori – il pre­mier dedica la parte più sen­tita del suo discorso alle Camere sul pro­gramma dei mille giorni al capi­tolo lavoro. L’emergenza disoc­cu­pa­zione per lui va affron­tata subito e vede come fumo negli occhi le divi­sioni all’interno della sua mag­gio­ranza che potreb­bero por­tare ad un ral­len­ta­mento dei tempi di appro­va­zione della delega. La fac­cia del mini­stro Giu­liano Poletti nel momento in cui Renzi ha pro­fe­rito la parola «decreto» era tutto un pro­gramma: la sor­presa lascia nel giro di qual­che secondo spa­zio ad un annuire di capo poco con­vinto. Dif­fi­cile pen­sare che fosse al cor­rente, anche per­ché solo qual­che ora prima — e ieri sera in un incon­tro infor­male — aveva lavo­rato ad un emen­da­mento di com­pro­messo — senza rife­ri­menti all’articolo 18 — per l’approvazione al Senato e – soprat­tutto – alla Camera, per poi non dover tor­nare a palazzo Madama, allun­gan­done i tempi, fis­sati «entro fine anno», con 6 mesi per i decreti dele­gati, di com­pe­tenza governativa.

Le parole del pre­mier hanno di fatto rin­gal­luz­zito i soste­ni­tori dell’addio all’articolo 18, già reso monco dalla riforma For­nero (“Non credo che da una nuova riforma dell’articolo 18 possa arri­vare una varia­zione per l’occupazione ma sull’articolo 18 è in corso una nuova par­tita ideo­lo­gica: c’è chi vuole vin­cere una par­tita al di là di quello che serve al Paese”, ha detto ieri l’ex mini­stro) di due soli anni fa. Lo stesso Mau­ri­zio Sac­coni (Ncd), rela­tore del prov­ve­die­mento e pre­si­dente della com­mis­sione Lavoro al Senato, è pas­sato dalle dichia­ra­zioni con­ci­lianti di lunedì — «Un com­pro­messo è a por­tata di mano» — ad applau­dire le parole del pre­mier — «Ha posi­zione più avan­zata del Pd» — e a chie­der­gli il corag­gio di «andare avanti sul decreto». Sulla stessa posi­zione Piero Ichino – autore dell’emendamento per sosti­tuire il rein­te­gro con un’indennità nel con­tratto a tutele cre­scenti – e tutta Scelta Civica.

Le rea­zioni sul fronte sini­stro però non si fanno atten­dere. Il più duro è Mau­ri­zio Lan­dini che nel giro di due bat­tute fa crol­lare la pre­sunta asse col pre­mier: «Sarebbe uno strappo inac­cet­ta­bile se si inter­ve­nisse con un decreto o se si can­cel­lasse l’articolo 18: il pro­blema è esten­derlo a quelli che non ce l’hanno». Il segre­ta­rio Fiom va oltre, chie­dendo che il Diret­tivo Cgil di oggi discuta di «scio­pero gene­rale». Con­tro Renzi anche il “ren­ziano” Ange­letti, Bonanni e tutta Sel. Silente il M5s.

Nel Pd le acque sono agi­tate: Area rifor­mi­sta ha subor­di­nato la col­la­bo­ra­zione nella nuova segre­te­ria ad una discus­sione ad hoc sulla riforma del lavoro, con Renzi dispo­ni­bi­lie a con­ce­derla a fine set­tem­bre. L’ala sini­stra intanto si schiera a difesa dell’articolo 18, per­suasa ancora di spun­tarla. Cesare Damiano, colui che come pre­si­dente della com­mis­sione Lavoro della Camera — a mag­gio­ranza sini­stra Pd — potrebbe allun­gare i tempi della delega, è con­vinto che quella del decreto evo­cato da Renzi sia «una pres­sione nor­male in que­sti casi: alla fine io credo che il decreto non ci sarà». Allo stesso modo lui – nono­stante la pres­sante richie­sta – non sarà sta­mat­tina al Senato quando i sena­tori Pd discu­te­ranno il testo dell’emendamento alla delega. L’ipotesi era quella di un’indicazione gene­rica a rimo­du­lare parti dello Sta­tuto. Poi è arri­vato il ricatto di Renzi. Le con­se­guenze si capi­ranno da oggi in poi.

“Riforma della scuola? Basterebbe farla funzionare”. Lo sfogo di una professoressa di Palermo, dove l’altro giorno è andato Renzi Autore: fabio sebastiani da: controlacrisi.org

Maria Gagliardito, insegnate, sindacalista della Flc-Cgil. L’altro giorno è venuto a Palermo il premier Renzi, per inaugurare l’anno scolastico, sciegliendo la scuola intitolata a Padre Pino Puglisi, martire della mafia.
La mia personale sensazione è che Renzi abbia “approfittato” della figura di don Pino Puglisi per andare a fare i suoi proclami a Brancaccio. Quel “io sono con voi” suona falso e vuoto. Con chi sta realmente Renzi visto che da una parte indebolisce le fondamenta della della scuola statale e dall’altra apre la scuola alla privatizzazione?

La scuola di oggi, specie la primaria e la secondaria di Primo Grado è spesso una scuola di trincea, in particolare in quei contesti degradati e poveri di risorse. Con il taglio dei finanziamenti e del personale, scolastico, le scuole devono fronteggiare situazioni di emergenza che vanno al di là dei normali compiti e delle risorse umane e professionali. Faccio un esempio: Il Fondo di istituto che serviva per molti progetti pomeridiani e poter tenere le scuole aperte agli studenti nelle ore pomeridiane è stato via via ridotto. Lo scorso anno, è stato dimezzato e quest’anno verrà ancora di più impoverito. Ci era stato detto che parte di queste risorse dovevano essere utilizzate per pagare gli scatti di anzianità, ora però la nuova riforma cancella di fatto gli scatti di anzianità, ma il fondo di Istituto è sempre più impoverito. E non si capisce quei fondi che fine faranno. Renzi è venuto a parlare di supporto alla scuola e ad oggi mancano molti gli insegnanti di sostegno, e gli organici in molte scuole non sono del tutto al completo, a fronte di una lunghissime graduatorie di precari storici disponibilità per molte classi di concorso.

I ragazzi con disabilità sono praticamente abbandonati a se stessi?
Le ore di sotegno agli alunni disabili è stato notevolmente ridotto. Prima della riforma Gelmini gli alunni con disabilità riconosciuta potevano contare sulla presenza dell’insegnante di sostegno per 18 ore settimanali almeno. Adesso il medesimo insegnante di sostegno viene affidato a più studenti magari inseriti in classi diverse, rendendo praticamente quasi vano il suo supporto didattico. Se poi la scuola si trova inserita in un contesto periferico, fuori da un’ottica di rete con le altre istituzioni, quali ad esempio i servizi sociali e i consultori, come accade spesso in alcuni quartieri “a rischio” della mia città, risulta difficilissimo recuperare le situazioni di disagio sociale e a di devianza. Non sono rari i caso in cui ci si trova ad intervenire per scongiurare comportamenti anche violenti, con rischi di incolumità fisica degli insegnanti e in primo luogo degli alunni . Tutto questo Renzi, che è voluto venire a Palermo, lo sa benissimo, ma è venuto a parlarci di altro.


E il fenomeno della dispersione scolastica?
I dati sulla dispersione scolastica includono i casi di bocciatura o di numero elevato delle assenze. La scuola rimane comunque l’unico punto di aggregazione nel territorio. I ragazzi superano il monte-ore delle assenze, è vero, ma di fronte a situazioni in cui hanno ricevuto anche sospensioni di quindici giorni per comportamenti gravi, ce li troviamo lo stesso a scuola. La scuola comunque è l’unico aggancio con la società. E’ un luogo che li incuriosisce e in cui possono manifestare la loro personalità anche con comportamenti scorretti.

Torniamo agli insegnanti, costretti a concorrere sulla produttività.
Non oso immaginare cosa possa comportare nella vita di una scuola, introdurre un sistema del genere. Non è ben chiaro chi valuterà chi e che cosa. Un nucleo di valutazione composto dal Dirigente Scolastico e da uno staff ovviamente vicino al dirigente scolastico e presumibilmente un membro esterno. Ciascun docente dovrebbe cercare di farsi “certificare” sul proprio “portfolio” quanti più “crediti” possibili con le più disparate esperienze formative e professionali. Un gruppo di docenti quindi dovranno decretare, a chi dei loro colleghi spetti un aumento di stipendio. Immaginiamo le conseguenze dal punto di vista delle relazioni umane per non parlare dell’effetto sulla credibilità e l’autorevolezza del docente nei confronti dei suoi studenti, quando sarà certificato che egli non figura tra i «bravi docenti» della scuola. Se a questo aggiungiamo la possibilità che la fondazione privata “X” andrà a finanziare la scuola, ovviamente aumenta il rischio della mancanza di oggettività dei criteri. Per non parlare della minaccia alla libertà e alla laicità dell’insegnamento oltre che alla parità delle opportunità di tutti gli studenti a prescindere dalle loro condizioni di partenza.

Gli insegnanti, intanto, sono al minimo della motivazione
Per quello che riguarda la mia esperienza, davanti all’emergenza si cerca di fare fronte compatto. L’unica arma che ci rimane di fronte al disagio è quella della solidarietà reciproca tra docenti. Però ci stanno togliendo la veramente la voglia di crederci.

Ci sentiamo continuamente beffati. Ritorniamo ad esempio agli alunni disabili. Mi riferisco sempre ai contesti di disagio sociale dove le sistuazioni di ritardo cognitivo e o disturbo del comportamento sono purtroppo più frequenti. A volte all’interno di una classe questi possono raggiungere il 40%. Cosa si sono inventati gli esperti del Ministero della Pubblica Istruzione? I cosiddetti BES Bisogni Educativi Specifici. E’ un modo per non riconoscere una disabilità tale da nominare un insegnante di sostegno per l’alunno, caricando ulteriormente gli insegnanti di responsabilità e di impegni per i quali non sono stati formati (es. alunni dislessici, disgrafici, con ritardi cognitivo). Il risultato è ovviamente, in molti casi, l’appiattimento verso il basso dei contenuti e dei risultati.

Spesso in questi contesti gli insegnanti che hanno precedentemente avuto esperienze professionali diverse, sono costretti a reinventarsi il proprio ruolo.Per un’insegnante di lingua straniera, come me ad esempio che insegno Francese, quando mi trovo davanti una classe di alunni la cui lingua veicolare è il dialetto palermitano, devo davvero mettere in moto innumerevoli risorse personali per creare un minimo di motivazione negli alunni.

Vogliamo parlare dei nostri stipendi? Ci sentiamo offesi nella nostra dignità professionale. Ti faccio il mio esempio, percepivo 1.320 euro che con i famosi 80 euro di Renzi sono diventati 1400. E’ chiaro che non è dignitoso. Con il blocco dei contratti non c’è alcuna possibilità di migliorare la propria condizione economica.

Ti sei fatta una idea di questa cosiddetta riforma?
Non accetto nulla di questa riforma perché tradisce visione della Scuola Statale come è sancita dalla Costituzione. Non è più al scuola della pari opportunità e della libertà di insegnamento. Rischiamo “imbavagliare” i saperi

L’assunzione dei precari è tutta da vedere. Ammesso che si realizzi, questo non deve essere l’elemento per trovare l’accordo su tutto il resto e avallare i trabocchetti di questa riforma. Il timore è che tutto questo si realizzi.

Vademecum di Alleva: “Se sei un precario e vuoi il tempo indeterminato ecco cosa fare” Fonte: Il Manifesto | Autore: Piergiovanni Alleva

Ultimi posti per il “posto fisso”. Per tutti i contratti a termine stipulati prima del «decreto Poletti» ci sono solo 120 giorni di tempo per ottenere giustizia e lavoro. Poi non sarà più possibile. Ecco come fare in un piccolo vademecumL’intento è quello di ren­dere coscienti e, per così dire, di «sve­gliare» le cen­ti­naia di migliaia di lavo­ra­tori pre­cari del set­tore pri­vato circa la pos­si­bi­lità, molto alta, di tra­sfor­mare, tra­mite una facile ver­tenza, il loro rap­porto di lavoro a ter­mine o di lavoro som­mi­ni­strato nel sospi­rato rap­porto di lavoro a tempo inde­ter­mi­nato.

Ma vogliamo avver­tirli, d’altra parte, anche della neces­sità di muo­versi e di agire subito. Ecco come.

Devono muo­versi subito, o comun­que entro 120 giorni da quando sca­drà (o è sca­duto) il loro ultimo con­tratto a ter­mine o di lavoro som­mi­ni­strato, sti­pu­lato prima del cosid­detto «Decreto Poletti».

Veniamo, dun­que, al punto che ci inte­ressa per for­nire le dovute spie­ga­zioni: fino alla Legge 16 mag­gio 2014 n. 78 (cosid­detto Jobs Act 1 o «Decreto Poletti»), vigeva la regola, tanto antica quanto civile e logica, che solo una esi­genza lavo­ra­tiva effet­ti­va­mente tem­po­ra­nea e ben spe­ci­fi­cata nel testo dello stesso con­tratto a ter­mine poteva ren­derne legit­tima la sti­pula, sic­ché, in man­canza sostan­ziale o for­male di que­sta «cau­sale» tem­po­ra­nea, il con­tratto si sarebbe tra­sfor­mato auto­ma­ti­ca­mente a tempo indeterminato.

Lo «stato dell’arte» della nostra Giu­ri­spru­denza fino al «Decreto Poletti» può essere rias­sunto, ad esem­pio, nella mas­sima della Cas­sa­zione n. 13992/2013 secondo cui «le ragioni di carat­tere tec­nico, pro­dut­tivo, orga­niz­za­tivo e sosti­tu­tivo a soste­gno dell’apposizione del ter­mine al con­tratto di lavoro devono essere spe­ci­fi­cate dal datore di lavoro in maniera cir­co­stan­ziata e pun­tuale in modo da con­sen­tire il con­trollo della con­nes­sione tra la durata tem­po­ra­nea della pre­sta­zione e l’utilizzazione del lavoratore».

Il fatto è, però, che negli ultimi dieci anni i datori di lavoro hanno assunto con con­tratto a ter­mine anche quando la tem­po­ra­neità dell’esigenza lavo­ra­tiva non c’era ed invero le assun­zioni a ter­mine sono state ogni anno circa l’80% del totale, men­tre le occa­sioni di lavoro effet­ti­va­mente tem­po­ra­nee sono state del 14%. Dun­que 5 con­tratti a ter­mine su 6 sono stati sti­pu­lati illegittimamente.

La ragione di que­sto uso «impro­prio» è una sola: si sti­pu­lava e si sti­pula il con­tratto a ter­mine anche quando l’esigenza pro­dut­tiva non è tem­po­ra­nea per tenere il lavo­ra­tore sotto il ricatto di un man­cato rin­novo e, della per­dita del posto di lavoro, senza nean­che biso­gno di licenziamento.

Ma que­sti datori cor­re­vano un note­vole rischio: che nei 120 giorni suc­ces­sivi alla sca­denza (come pre­vi­sto dall’art. 32 della legge 148/2010) il lavo­ra­tore impu­gnasse il con­tratto a ter­mine otte­nen­done la tra­sfor­ma­zione a tempo inde­ter­mi­nato ed invero le ver­tenze sono state migliaia, quasi sem­pre vit­to­riose per il lavoratore.

Il governo Renzi, con il cd. «Decreto Poletti», ha ora legit­ti­mato l’illegalità e il ricatto sui lavo­ra­tori san­cendo — con­tro ogni logica — che il con­tratto a ter­mine si può sti­pu­lare sem­pre, anche se l’esigenza lavo­ra­tiva non è tem­po­ra­nea (sono i cosid­detti con­tratti a ter­mine «acau­sali») con l’evidente intento di sosti­tuire man mano i «vec­chi» con­tratti a ter­mine impu­gna­bili e tra­sfor­ma­bili a tempo inde­ter­mi­nato, con i nuovi con­tratti «acau­sali» e per­ciò non impugnabili.

In que­sto piano c’è, però, per così dire, una crepa, in quanto i «vec­chi» con­tratti ante — Decreto Poletti comin­ciano a sca­dere ora e sca­dranno man mano, nei mesi futuri secondo le sca­denze sta­bi­lite, e restano, per­tanto impu­gna­bili nei 120 giorni successivi.

Ecco per­ché par­liamo di «ultima occa­sione»: pro­prio per­ché sono gli ultimi impugnabili.

Ad esem­pio, se il vec­chio con­tratto ante — Decreto Poletti è già sca­duto il 31 ago­sto 2014 vi è tempo per impu­gnarlo entro il dicem­bre 2014; se sca­drà, poniamo il 30 novem­bre 2014 potrà essere impu­gnato entro il marzo 2015; se sca­drà nell’aprile 2015 potrà essere impu­gnato entro l’agosto 2015 e così via.

Ovvia­mente sarà meglio non ridursi all’ultimo giorno, anche per­ché per l’impugnazione basta una let­tera rac­co­man­data, e se poi il datore non venisse a pat­teg­giare, con­scio del suo torto, nei 180 giorni suc­ces­sivi si può adire il giu­dice, come migliaia di lavo­ra­tori hanno già fatto con suc­cesso in que­sti anni.

Ecco, dun­que, il mes­sag­gio che man­diamo ai tanti lavo­ra­tori con con­tratto di lavoro a ter­mine o som­mi­ni­strato nel set­tore pri­vato dell’economia: fate con­trol­lare fin d’ora da un sin­da­cato o da un avvo­cato la rego­la­rità del vostro con­tratto pre­ca­rio ante — Decreto Poletti, e se risul­terà, come è molto pro­ba­bile, irre­go­lare, pre­pa­rate l’impugnazione da spe­dire entro il ter­mine ricor­dato di 120 giorni dalla ces­sa­zione del con­tratto stesso.

Per voi potrebbe essere que­sta l’ultima occa­sione di otte­nere un rap­porto a tempo inde­ter­mi­nato ed occorre per­tanto vin­cere ogni ritro­sia, ogni pre­giu­di­zio e ogni sospetto verso sin­da­cati, legali e ver­tenze, per­ché la posta in gioco è dav­vero troppo grande: si tratta di sal­va­guar­dare il vostro futuro, bat­tendo in brec­cia la volontà del governo Renzi (e della troika) di con­dan­nare le nuove gene­ra­zioni al lavoro «usa e getta».

Un’ultima avver­tenza: quanto detto vale per i pre­cari del set­tore pri­vato men­tre per i pre­cari del pub­blico impiego i pro­blemi sono diversi, visto che lì il prin­ci­pio dello tem­po­ra­neità dell’esigenza resta per legge, ma la giu­ri­spru­denza non con­sente, per lo più, la tra­sfor­ma­zione a tempo inde­ter­mi­nato, con­ce­dendo solo un risar­ci­mento del danno. Ai pre­cari pub­blici dovremo dedi­care, quindi un altro spe­ci­fico inter­vento.