Nessuno tocchi la Costituzione

Nessuno tocchi la Costituzione

Luigi Sturzo:

La Costituzione è il fondamento della Repubblica. Se cade dal cuore del popolo, se non è rispettata dalle autorità politiche, se non è difesa dal governo e dal Parlamento, se è manomessa dai partiti verrà a mancare il terreno sodo sul quale sono fabbricate le nostre istituzioni e ancorate le nostre libertà.

Luigi Sturzo, Discorso, 1957

Territorio e democrazia economica e politica Fonte: sbilanciamoci | Autore: Natalia Paci

Leggendo la recensione di Claudio Gnesutta al libro di Salento-Masino, La fabbrica della crisi e il declino del lavoro , uscita su www.sbilanciamoci.info , ho pensato che fosse importante ri-aprire il dibattito sul futuro delle politiche del lavoro nelle attuali condizioni dell’impresa finanziarizzata, come descritta nel volume recensito.

Gli autori ci consegnano un quadro drammatico dell’impresa di oggi, caratterizzato da decentramenti e delocalizzazioni, da scelte imprenditoriali finalizzate esclusivamente al profitto privato, incurante dei danni sociali, ambientali ed economici che provocano, da un capitalismo definito “predatorio”, che fa tornare indietro di almeno un secolo la società occidentale.

Dunque quel liberismo che avrebbe dovuto soddisfare il benessere di tutti ha invece incentivato interessi speculativi di pochi privati a danno della maggioranza, ha permesso quella diseguaglianza denunciata ormai da diversi anni e da più parti (L. Gallino, 2012; E. Stigliz, 2012).

La perdita di potere del lavoro avviene sia all’interno che all’esterno della fabbrica. Di fronte alle delocalizzazioni assistono impotenti sia i lavoratori e i sindacati che le istituzioni, non più in grado di offrire alternative appetibili in un sistema di libero mercato globalizzato. I danni sociali di imprese che non investono nel nostro Paese ma altrove, non colpiscono solo i lavoratori dell’azienda che vengono licenziati, ma anche lo stesso territorio dove insiste l’impresa, che si deve accollare i danni derivanti dalla gestione della disoccupazione e dalla perdita dell’attività industriale sia dell’impresa che dell’indotto, quindi dall’impoverimento in generale del tessuto produttivo e sociale. Per non parlare dei danni sociali ed ambientali derivanti da scelte imprenditoriali irresponsabili.

Diventa quindi quasi consequenziale ritenere che, alla perdita di potere del lavoro all’interno (e all’esterno) dell’impresa, si debba rispondere con un aumento di potere del territorio sull’impresa. È il territorio, infatti, il luogo su cui insistono le imprese, su cui operano le rappresentanze sindacali e su cui vivono i lavoratori e, più in generale, i cittadini e le istituzioni locali: tutti accomunati dalla necessità che le imprese non solo sopravvivano ma possano aumentare la propria produttività, competitività e capacità occupazionale, in modo sostenibile e responsabile. Tutti questi soggetti devono quindi essere coinvolti e avere voce in capitolo, attuando l’art. 46 e valorizzando il secondo comma, piuttosto del primo, dell’art. 41, oltre che l’art. 43 della Costituzione. Allora è necessario immaginare e sperimentare nuove forme di organizzazione del lavoro (meno gerarchizzate, più circolari e partecipate), nuove frontiere contrattuali (meno “aziendali” e più territoriali, dunque meno categoriali e più “inclusive”), nuove relazioni sindacali (meno unilaterali, più condivise e bilaterali), nuove forme di concertazione se non di co-decisione (con le amministrazioni locali e con comitati di cittadini).

In altri termini, alla de-regolamentazione, de-centramento e de-collettivizzazione del lavoro si può reagire immaginando un nuovo modello di sviluppo, fondato sulla democrazia industriale, economica e politica.

A forme di co-decisione ( hard o soft ) con sindacati e lavoratori interni all’impresa, tutte ancora da realizzare, andrebbero poi affiancate altre forme di partecipazione degli stakeholder . Peraltro, porre dei limiti a quella discrezionalità manageriale che si è rivelata fallimentare, porta vantaggi alla stessa impresa: come ha ben evidenziato Streek (Streek, 2009), si tratta di “vincoli benefici” se, da un lato, impediscono all’impresa di compiere scelte irresponsabili, dall’altro le permettono di essere sostenuta da una pluralità di soggetti nei periodi di crisi.

All’alba di un nuovo secolo, dopo il crollo delle ideologie che hanno dominato il Novecento, dopo che si sono resi evidenti gli sfasci di un modello di sviluppo affidato solo al libero mercato, diventa urgente oggi immaginare un nuovo modello e scegliere i principi su cui fondarlo. Dei tre principi fondanti la società moderna ( liberté, egalité, fraternité ) bisogna realizzare ancora una solidarietà che vada di pari passo con la partecipazione libera ed egualitaria. Infatti, nell’era post-fordista, informatica e tecnologica, i lavoratori, così come la società civile, potrebbero disporre, se messi nelle giuste condizioni culturali e socio-economiche, di tutti gli strumenti per conoscere, comprendere, partecipare e decidere.

D’altronde, questa richiesta di partecipazione giunge direttamente dagli stessi cittadini e lavoratori, che negli ultimi anni la reclamano in misura sempre maggiore e insistente. Esempi emblematici sono la nascita di movimenti che rivendicano i beni comuni (dai Comitati Acqua Bene Comune ai No Tav, dalle occupazioni a scopo culturale alle leggi d’iniziativa per la gestione del paesaggio), di forme di solidarietà dal basso (Banca delle ore, car sharing , co-housing e co-working, crowdfunding ecc., e in generale, il progressivo sviluppo bottom-up della c.d. sharing economy ), il successo di partiti che fanno della partecipazione diretta dei cittadini, sebbene in alcuni casi in modo populistico, il loro cavallo di battaglia, così come di casi in cui non scandalizza la possibilità di commissariamento di imprese irresponsabili (vedi, in Italia, il caso Ilva) o di rilevamento della fabbrica in crisi da parte degli operai (come l’esperienza argentina delle Empresas recuperadas por sus trabajadores , su cui cfr. A. Marchetti, 2014 ).

La democrazia economica e politica è il primo passo necessario per permetterci di immaginare un nuovo modello di sviluppo fondato su una solidarietà responsabile e partecipata.

Cenni bibliografici:

L. Gallino, (2012), La lotta di classe dopo la lotta di classe , Laterza.

A. Marchetti, (2013), Fabbriche aperte – L’esperienza delle imprese recuperate dai lavoratori in Argentina , Il Mulino.

J. E. Stigliz, (2012), The Price of Inequality , Norton & Company.

W. Streek, (2009), Re-forming Capitalism , Oxford University Press.

Meeting: «È tempo per uno sciopero sociale» Fonte: Il Manifesto | Autore: Roberto Ciccarelli

Movimenti sociali vs austerità. Tre giorni dedicati all’autunno dei precari, delle partite Iva, del lavoro dipendente. Si parlerà di sindacalismo sociale, di base e conflittuale. E di coalizioni contro la precarietà. Appuntamento a metà ottobre con i movimenti della casa e al 14 novembre con gli studentiÈ tempo per uno scio­pero sociale. Da oggi a dome­nica il movi­menti sociali tor­nano a riu­nirsi a Roma all’università la Sapienza dalle 15, domani alle Offi­cine Oz e nel cen­tro sociale Strike, dome­nica mat­tina a Acro­bax per lo «Strike mee­ting» (www.autistici.org/strikemeeting).

L’incontro è stato pre­ce­duto da una cam­pa­gna sui social net­work par­ti­co­lar­mente sug­ge­stiva: gio­vani silhouette in nero e ano­nime che allu­dono ad alcune delle pro­fes­sioni più pre­ca­rie del momento: c’è un’infermiera, un’addetta ai call cen­ter, un lavo­ra­tore dell’edilizia. C’è una stu­den­tessa, oppure una cogni­ta­ria con il pc e il mouse. Ogni imma­gine è accom­pa­gna da uno slo­gan con rela­tivo hash­tag da lan­ciare su twit­ter: #sto­p­job­sact, #red­di­to­per­tutti, #sala­rio­mi­nimo, #com­mo­n­wel­fare. Sono i con­cetti che accom­pa­gnano il lavoro teo­rico dei movi­menti sociali ita­liani, e non solo, ma in più c’è la dichia­rata inten­zione di dare bat­ta­glia in autunno con­tro la legge delega sul lavoro in discus­sione in Parlamento.

strikeediliziaSi tratta della seconda parte della legge Poletti che pre­vede, tra l’altro, l’istituzione di un con­tratto «a tutele cre­scenti» che con­tra­sta con la riforma del con­tratto a ter­mine sta­bi­lita dalla riforma appena appro­vata. La mag­gio­ranza deci­derà se appro­vare la norma liber­ti­cida che libe­ra­lizza i licen­zia­menti in cam­bio di un inden­nizzo (è l’orientamento della destra libe­ri­sta), oppure sospen­dere le tutele per i pre­cari «solo» per 36 mesi (è il neo-liberismo com­pas­sio­ne­vole del Pd). Ma non di solo lavoro si par­lerà in que­sta «tre giorni». C’è il «piano Lupi» sulla casa che ha dichia­rato guerra ai poveri che occu­pano in man­canza di un tetto. «Un prov­ve­di­mento che san­ci­sce la fine della poli­tica di inter­vento pub­blico con­tro l’emergenza abi­ta­tiva» si legge nella «call» dell’incontro.

strikeinfermieraL’idea è lan­ciare uno «scio­pero pre­ca­rio» nelle città, dove gli spazi ven­gono sgom­be­rati e la nor­ma­liz­za­zione can­cella le pra­ti­che e la memo­ria, e uno scio­pero in rete «NetStrike» indi­riz­zato a «mezzo milione di pro­le­tari digi­tali che lavo­rano come web design o web edi­tor, pro­gram­ma­tori, nel mon­tag­gio audio e video». Si vuole pro­muo­vere uno «scio­pero gene­rale del sin­da­ca­li­smo di base e con­flit­tuale» per unire il lavoro dipen­dente (oggetto di un attacco senza pre­ce­denti sul sala­rio e sul suo valore — si pensi alla mac­china infer­nale della «meri­to­cra­zia» che Renzi-Giannini vogliono appli­care agli sti­pendi degli inse­gnanti) al lavoro auto­nomo e precario.

strikepartitaivaL’ottica è quella della «coa­li­zione» per inver­tire la ten­denza ultra-trentennale della fram­men­ta­zione. Il metodo è quello del «sin­da­ca­li­smo sociale o metro­po­li­tano». Visto che i pre­cari non vivono solo in fab­brica, o negli uffici, nei work­shop si pro­verà a riflet­tere sulle pra­ti­che che per­met­tono agli «sciami intel­li­genti» di fare rete. Un’attività ambi­ziosa, e non scon­tata, che intende tor­nare «a far male ai padroni».

A metà otto­bre è pre­vi­sta la set­ti­mana di mobi­li­ta­zioni dei movi­menti per il diritto all’abitare. Il 14 novem­bre ci sarà una gior­nata di con­flitto indetta dall’assemblea nazio­nale in Val Susa e rilan­ciata ad ago­sto dagli stu­denti al «Riot vil­lage in Salento».

Palestina, anche la Fiom all’iniziativa della Rete della Pace il 21 a Firenze Autore: fabrizio salvatori da: controlacrisi.org

“La tregua fra israeliani e palestinesi a Gaza e’ un atto importante e positivo, ma perche’ non rappresenti solo la pausa fino alla prossima guerra, e perche’ a Gaza e in tutta la Palestina si possa arrivare a una pace stabile e duratura, e’ necessario in primo luogo che Israele accetti la creazione di uno Stato palestinese indipendente, riconoscendolo come il partner con cui negoziare la pace, e che la condizione imprescindibile di questo negoziato sia il rispetto dei diritti umani e della legalita’ internazionale da parte dei governi israeliano e palestinese”. E’ quanto si legge in una nota della segreteria della Fiom.
“La colonizzazione dei territori palestinesi occupati e’ un atto illegale e una palese violazione del diritto internazionale, che pensiamo vada sanzionata anche economicamente. Sosterremo le campagne di sensibilizzazione dell’opinione pubblica per il boicottaggio e il disinvestimento verso prodotti e imprese che alimentano la colonizzazione israeliana dei territori palestinesi. Riteniamo- continua- che l’accordo di associazione
di Israele alla Ue vada sospeso fino a quando Israele non rispettera’ pienamente la legalita’ internazionale e i diritti umani della popolazione palestinese. Come primo passo di pace per interrompere la logica di guerra in Palestina e nel resto del mondo chiediamo al governo italiano di interrompere le forniture di armamenti ad Israele e a tutte le parti in conflitto in Palestina come in Siria, Iraq, Ucraina e in tutti gli altri scenari di guerra oggi in atto”.
La Fiom “riconoscendosi pienamente nelle ragioni e nelle proposte che sono al centro della manifestazione un passo di pace convocata per il 21 settembre a Firenze da Rete della pace, Rete disarmo, Interventi civili di pace e Sbilanciamoci, si impegna per il successo di questa iniziativa e invita lavoratrici e lavoratori a partecipare alla manifestazione”.

Scuola, lunedì sciopero nazionale dei lavoratori delle pulizie Autore: fabrizio salvatorida: controlacrisi.org

Inizia il nuovo anno scolastico ma la confusione regna ancora sovrana per gli ex-Lsu ATA, visto che non è decollato il piano “scuole belle”, fortemente pubblicizzato nell’ambito degli interventi del Governo nel mondo della scuola. Si continua invece a operare in condizioni di forte disagio a causa dei ritardi nell’attuazione del piano delle manutenzioni e dei tagli ai servizi di pulizia. E così i lavoratori delle pulizie, variamente collecati in coop oppure ripescati dalle liste degli ex lavoratori socialmente utili, scendono di nuovo in sciopero. La loro lotta,che dura da anni, è tesa a scongiurare il licenziamento e la riduzione dell’orario.

“Con lo sciopero nazionale indetto dall’USB il primo giorno di scuola – si legge in una nota firmata da Carmela Bonvino, dell’Esecutivo nazionale Usb Lavoro Privato –  che coinvolgerà tutti i lavoratori da inizio a fine turno, e con le manifestazioni che si terranno nelle varie regioni, esigiamo il pieno rispetto degli impegni assunti dalle controparti per il mantenimento dei livelli occupazionali e reddituali; il rispetto dei diritti e un intervento legislativo volto a ottenere la vera stabilizzazione del personale ex-Lsu scuola oggi impegnato in ditte appaltatrici, attraverso l’assunzione negli organici Ata con la reinternalizzazione del servizio e dei lavoratori, in modo da per ridare serenità al mondo della scuola e ai lavoratori.”Il piano per gli interventi di piccola manutenzione, decoro e ripristino funzionale, che doveva interessare 7.801 plessi scolastici nel corso del 2014, vede coinvolti come manutentori anche gli 11.000 ex LSU e gli altrettanti addetti alle pulizie da anni impegnati nelle scuole: lavoratori per la maggior parte sopra i 50 anni di età e per 2/3 donne, costretti a doversi “riqualificare” da pulitori ad “abbellitori” con corsi di formazione fatti in fretta e furia.

“Gli Accordi siglati, a cominciare dal cosiddetto piano industriale varato a marzo 2014 da MIUR, Ministero del Lavoro, aziende appaltatrici Consip e sindacati firmatari, fino ad ora hanno portato soprattutto altra amarezza e rabbia per gli ex-Lsu”, osserva ancora Bonvino.

“Nonostante gli annunci e le promesse dei soliti ‘incantatori di serpenti’, ad oggi gli addetti alle pulizie purtroppo hanno visto solo aumentare l’incertezza del loro futuro. Non sono stati pienamente mantenuti i livelli occupazionali e di reddito – denuncia Bonvino – anzi, i lavoratori sono stati costretti a lavorare nel caos organizzativo e a subire ricatti assurdi e illegittimi, costretti a periodi prolungati e spesso ancora non retribuiti di cassa in deroga e ferie forzate e di nuovo a riduzioni orarie forzate e non retribuite, malgrado il fiume di risorse pubbliche investite nel sistema degli appalti Consip nelle scuole”.

“Purtroppo la realtà conferma il timore che quell’accordo del marzo scorso fosse utile solo alla propaganda politica di Renzi in vista delle elezioni Europee, ma non certo a risolvere le problematiche della vertenza degli ex-Lsu o a soddisfare le esigenze delle stesse scuole – evidenzia la dirigente USB – e con l’avvio dell’anno scolastico il disagio rischia di diventare drammatico e insostenibile, visto che in alcune regioni molti dirigenti scolastici non stanno nemmeno rinnovando i contratti”.

“La crisi presenta scenari inediti. Serve un soggetto sindacale forte”. Intervista ad Adriano Sgrò (Cgil) Autore: fabio sebastiani da: controlacrisi.org

In questi giorni, il dibattito sindacale è tornato a riaccendersi sia in relazione alle mobilitazioni autunnali, sia per capire se è possibile una interlocuzione nell’area del sindalismo dissidente e antagonista fuori e dentro la Cgil.
Il Coordinamento di Democrazia e Lavoro, area della Cgil che si pone quale obiettivo centrale quello di articolare una discussione sul modo di ricondurre la Cgil dentro un’alveo in cui l’azione sindacale sia unita all’azione politica, crede che una ripresa efficace delle lotte e dell’iniziativa sindacale non sia più rinviabile. Non può essere un autunno uguale agli altri. La crisi presenta scenari del tutto inediti. Alcuni economisti sostengono che si sta uscendo sì dalla crisi, ma senza occupazione. Occorrono politiche economiche vere e un intervento dello Stato nell’economia.

Che bilancio date dell’iniziativa della Cgil?

La Cgil non è riuscita ad incalzare l’esecutivo ed ha finito per gestire ordinariamente problematiche che avrebbero dovuto essere affrontate con una strategia diversa. E’ chiaro che occorre ridare protagonismo alla Cgil e mettere in collegamento la rappresentanza con la politica. La Cgil deve aquisire un ruolo reale, prima ancora di una forte autonomia, perché comunque siamo fuori da ogni possibile influenza verso il Governo. Anche perché, il governo ha un’idea della rappresentanza di stampo prettamente populista.

Che ne pensi del dibattito trasversale tra i diversi soggetti sindacali?

Le trasformazioni possono essere attuate da quei soggetti che in passato hanno svolto un ruolo fondamentale nella trasformazione della società. Principalmente, crediamo che la Cgil debba acquisire questo ruolo. E’ complicato e difficile, perché spesso riusciamo a separare la tratativa immediata dal respiro più generale della fase. Però non dobbiamo rinunciare. Come nel passato, non abbiamo rinunciato ad aderire a quei network che si sono prodotti su alcuni temi come la difesa della Costituzione o per battere il dilagare del precariato. All’orizzonte non ci può essere una demonizzazione della Cgil, però. E’ evidente che se non si dà il via a una ripresa forte della nostra soggettività nello scenario politico tutto diventa più complicato. La situazione può precipitare da un giorno all’altro verso scenari anche inediti. Costruire nei luoghi di lavoro l’azione sindacale di soggetti adeguati al livello di scontro.

Su quali temi?
I temi sono quelli del lavoro, perché ridare centralità al lavoro è il centro della nostra iniziativa così come la tematica delle pensioni. Raccordare per esempio l’iniziativa dei delegati sulle pensioni affinche si possa arrivare a qualcosa di sostanziale, anche perché la legge Fornero non riguarda solo gli esodati. Così come il tema del contratto nazionale. C’è tutto il contratto del pubblico impiego che si sta traducendo nella spending rewiev e nei tagli ai servizi. Il contratto e le pensioni devono assumere un valore di battaglia generale. E poi, in tempi di crisi sostenere che l’orario si possa ridurre non è una follia come sembra. Occorrerà raccordare queste lotte con universitari, studenti, centri sociali, disoccupati: soggettività che vogliono riemergere, dopo anni di crisi, come soggettività protagoniste.