ANPI news 132

Su questo numero di ANPInews (in allegato):

 

 

APPUNTAMENTI

 

 

Preannunciamo che domenica 21 settembre, a Sant’Anna di Stazzema, si svolgerà un RADUNO DELL’ANPI DELLA TOSCANA per ricordare, nel  70° anniversario della Resistenza e della Liberazione, le stragi nazifasciste compiute nella regione.

Parteciperanno, oltre alle delegazioni provinciali dell’Associazione, anche i sindaci dei Comuni che furono colpiti dalle stragi. Interverranno il Presidente Nazionale dell’ANPI, Carlo Smuraglia, e il Presidente della Regione Toscana Enrico Rossi  (…)

 

 

ARGOMENTI

 

Notazioni del Presidente Nazionale ANPI, Carlo Smuraglia:

 

Questa settimana parliamo di lavoro, visto che il tema sta riconquistando una certa centralità, più o meno a proposito, e considerato che si tratta di uno degli impegni principali per l’ANPI, tenuta alla salvaguardia delle disposizioni della Carta Costituzionale, tra le quali emergono quelle relative al lavoro, a partire dall’art. 1. Passato l’entusiasmo per altri tipi di riforme, adesso ci si occupa, finalmente, del problema del lavoro, che noi abbiamo sempre considerato come prioritario. Ma è il modo che sorprende, perché la prima questione che si dovrebbe porre è quella dell’occupazione, dunque della ricerca di nuovi posti (dignitosi) di lavoro, visto che la disoccupazione ha raggiunto livelli intollerabili e così anche il precariato. Invece, il dibattito sembra essersi subito orientato in altre direzioni, quella della “eccessiva rigidità del sistema giuridico del lavoro” e delle difficoltà che si frappongono ai licenziamenti e quello del “superamento” – ormai considerato certo e irreversibile – dello Statuto dei diritti dei lavoratori. Insomma, si parla soprattutto di regole, considerandole come elemento fondamentale per il rilancio delle attività produttive, lo sviluppo, ecc. (…)

 

ANPINEWS N.132

Martedì 2 settembre u.s., la sezione ANPI/IMI di Nicolosi, ha organizzato una serata della memoria, in occasione della ricorrenza del 70° anniversario della morte dei due partigiani nicolositi, ALFIO RAGONESI e FILIPPO MAZZAGLIA

Martedì 2 settembre u.s., la sezione ANPI/IMI di Nicolosi, ha organizzato una serata della memoria, in occasione della ricorrenza del 70° anniversario della morte dei due partigiani nicolositi, ALFIO RAGONESI e FILIPPO MAZZAGLIA a cui fra l’altro è dedicata la sezione, insieme ai due IMI (Internati militari Italiani) SALVATORE SCUDERI e SANTO MAZZAGLIA. E’ stata scelta la data del 2 settembre in quanto proprio in quella data, 70 anni fa nelle campagne di Cerano, lungo il corso del fiume Ticino, che in quel tratto segna il confine tra Lombardia e Piemonte, trovò la morte eroicamente Alfio Ragonesi (classe 1916), morì per rimanere accanto ad un compagno ferito, fu ucciso dalla famigerata brigata fascista “Cristina” di Novara, Ragonesi, militare di leva in Lombardia a Bergamo presso il battaglione “Lupi di Toscana”, dopo l’8 settembre fuggì e fu aiutato da alcune persone nei pressi di Magenta nel milanese che gli diedero degli abiti civili e gli indicarono i riferimenti locali per arruolarsi con i partigiani, difatti si arruolò in una brigata garibaldina ed è sepolto nel cimitero di Magenta (MI) mentre un monumento nella piazza di Cerano (NO) lo ricorda insieme ad altri due ceranesi, chi vi scrive qualche anno fa è stato ospite delle due sezioni ANPI di Cerano e di Magenta, dove ha presentato il libro “Nicolosi e la guerra” dove fra le altre cose vengono raccontate anche le vicende dei due partigiani nicolositi, ed ha scoperto che del Ragonesi, che consideravano e considerano un eroe non sapevano niente delle sue origini addirittura pensavano che fosse sardo ed è stato bello sia per me che per loro sapere che era siciliano ed è stato un momento emozionante, si è ristabilito in un attimo, quello che era stato un motivo fondante della Resistenza del nuovo risorgimento nazionale, che come spesso ricordava Pompeo Colajanni, l’incontro tra il Nord e il Sud.

La sera del 2 abbiamo ricordato anche l’altro partigiano nicolosita, Filippo Mazzaglia, nome di battaglia “Maresciallo Franco”, sergente maggiore dei bersaglieri a Siena si era fatto tutta la campagna di Grecia e poi trasferito a Pinerolo, nel settembre del 43 si unì alle formazioni partigiane autonome in Val Sangone nella provincia di Torino e fu fucilato il 16 maggio 1944 dai nazifascisti davanti il municipio di Forno di Coazze nel corso del grande rastrellamento tedesco della Val Sangone del maggio 1944 ed è sepolto insieme ad 97 partigiani nell’Ossuario di Coazze e chi vi scrive il 23 aprile 2009 come rappresentante dell’Amministrazione comunale di Nicolosi con la presenza del Presidente Napolitano ha assistito, insieme al nipote Salvo Mazzaglia, oggi vice-presidente della sezione ANPI/IMI di Nicolosi alle celebrazioni del 65° anniversario della festa della liberazione a Coazze, un altro momento molto emozionante di incontro tra nord e sud.

Insieme al Sindaco di Nicolosi Nino Borzì, all’assessore alla cultura Stefania Laudani e alla Presidente dell’ANPI provinciale di Catania, Santina Sconza, sono stati ricordati gli altri 6 partigiani nicolositi che combatterono tre (Gaetano Carbonaro, Nunzio Longo e Salvatore Laudani) nelle Langhe sempre in Piemonte con il partito d’Azione, uno in Grecia (Alfio Gemmellaro) con i partigiani dell’Ellas, un altro in Jugoslavia (Giuseppe Navarria, carabiniere in Montenegro) e Angelo Folli, finanziere in Montenegro morto a Foca in Bosnia insieme alle formazioni partigiane titine, alle quali si si era unito anche il Navarria. Abbiamo ricordato i 20 nicolositi deportati in Germania dopo l’8 settembre che dissero “NO” alla repubblica sociale di Mussolini e alcuni di loro sono ancora fra di noi e prendendo spunto dal film proiettato quella sera “La memoria degli ultimi” di Samuele Rossi, in raccordo con l’amm.ne comunale si è pensato di intervistarli e conservare così la memoria di eventi fondanti per la nostra democrazia che non attraversa un bel momento. Si è anche accennato al progetto da realizzare con il liceo “Marchesi” Mascalucia dedicato a Carmelo Salanitro e Nunzio Di Francesco che prevede la realizzazioni di interviste e cronache riguardanti il coinvolgimento degli etnei nelle file dei partigiani e i famosi fatti dell’estate del ’43 che si svolsero durante la fuga dei tedeschi e le razzie e soprusi da loro commessi in quei giorni nei confronti delle locali popolazioni, il progetto sarà coordinato dalla professoressa Antonella Sotera di Nicolosi e prevede come premio, se il liceo organizzerà il viaggio d’istruzione, la visita gratuita al campo di concentramento e di sterminio di Mathausen dove il 25 aprile 1945 morì Carmelo Salanitro e dove fu “ospite” Nunzio Di Francesco, il partigiano Athos, recentemente scomparso che a Nicolosi la sua memoria è ancora viva in quanto fu lui ad inaugurare la nostra unica sezione della provincia di Catania.

 

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Lavoro, Fiom in piazza e sciopero di otto ore. La Cgil si accontenta della passeggiata con Cisl e Uil Autore: fabrizio salvatori da: controlacrisi.org

Al momento sono due le manifestazioni annunciate, una dal segretario generale di corso d’Italia, Susanna Camusso, e una dal leader dei metalmeccanici Maurizio Landini, entrambe di sabato: quella della Cgil nella prima decina di ottobre e quella della Fiom il 25 ottobre (accompagnata da un pacchetto di 8 ore di sciopero da mettere in campo in un momento diverso). Due iniziative che “non sono contrapposte”, si affretta comunque a spiegare Landini. La Cgil, che chiedera’ a Cisl e Uil di unirsi nella manifestazione nazionale, sostiene modifiche allo Statuto dei lavoratori ma per dare diritti a chi non li ha: “Proporremo una piazza per il lavoro”, spiega Camusso. Il direttivo della Cgil previsto per mercoledi’ 17 settembre esaminera’ la proposta della segreteria, ma è chiaro che non ci sarà alcuno sciopero. Del resto è quello che ha preteso Bonanni, il segretario della Cisl.

Le richieste della Fiom vanno dal rilancio della politica industriale alla lotta alla precarieta’, alla difesa dei diritti. “Il Jobs Act deve cambiare, perche’ quanto letto finora non ci convince”, aggiunge Landini. L’idea, ha spiegato Landini a margine di un’evento alla Festa dell’Unita’ di Firenze, e’ quella di mettere l’iniziativa “a sostegno di una serie di richieste che riguardano la politica industriale, gli investimenti, l’incentivazione dell’uso dei contratti di solidarieta’ e delle riduzioni d’orario per impedire i licenziamenti, e di una serie di proposte per riformare davvero il mercato del lavoro in un’ottica che difenda il lavoro, combatta la precarieta’, e si
ponga il problema di fare ripartire gli investimenti nel nostro Paese”.
La manifestazione, ha aggiunto il leader della Fiom-Cgil, “sara’ rivolta a tutti i metalmeccanici ma anche a tutti i giovani, i precari, i soggetti che pensano sia necessario rimettere al centro il lavoro, e cambiare le politiche economiche che in questi anni sono state realizzate, e anche per dire che le ricette della Confindustria di cancellare i diritti, cancellare i contratti nazionali, non ci sembra la strada da percorrere, e quindi noi proponiamo un altro percorso”.
Intanto sulla riforma del lavoro, con il nodo che riguarda in particolare l’intervento sull’articolo 18, e sulla riforma degli ammortizzatori sociali l’attenzione e il dibattito tengono banco, in attesa che giovedi’ riprenda l’esame in commissione Lavoro del Senato, dove l’obiettivo e’ portare il testo in Aula l’ultima settimana di settembre.

Il bluff del merito a scuola: previsti tagli da 42 a 75 euro agli stipendi Fonte: Il Manifesto | Autore: Roberto Ciccarelli

L’Ocse chiede all’Italia di aumen­tare la busta paga degli inse­gnanti da una media di 24 mila 316 euro (31.460 dol­lari) a 26 mila 866 euro (34.760 dol­lari). Il «patto edu­ca­tivo» pro­po­sto da Renzi taglierà invece gli sti­pendi. I conti non tor­nano nell’abolizione degli scatti di anzia­nità tra­sfor­mati in «scatti di com­pe­tenza». Nelle 136 pagine del libretto sulla «buona scuola» il governo sostiene che gli scatti inte­res­se­ranno il 66% dei docenti. Il 34%, un docente su tre, verrà giu­di­cato «imme­ri­te­vole» e non potrà rice­verli. Per l’Anief quella di Renzi è una riforma più dura di quella appro­vata dal centro-destra con Bru­netta. Quest’ultima pre­ve­deva il «merito» per il 75% dei dipen­denti pub­blici. Il centro-sinistra solo per il 66% del per­so­nale sco­la­stico, quasi il 10% in meno.

Su que­ste basi allora imma­gi­niamo il futuro, dopo l’assunzione dei 150 mila docenti pre­cari pre­vi­sta a set­tem­bre 2015 per i quali saranno neces­sari 4,1 miliardi di euro a regime, ancora tutti da tro­vare. Secondo la ripar­ti­zione media indi­cata nelle linee guida, il 66% di tutti i docenti sarà meri­te­vole di uno «scatto» di sti­pen­dio da 60 euro ogni tre anni. I neo-assunti dovranno attende 4–5 anni (invece di nove) per rag­giun­gere il primo «scatto». Si parla di 180 euro con­tro i 140 garan­titi dal sistema pre­ce­dente. Il governo sostiene che a fine car­riera gua­da­gne­ranno 9 mila euro netti di sti­pen­dio in più, due­mila in più rispetto a quanto avreb­bero per­ce­pito con i soli «scatti di anzianità».

Que­sta cifra sarà tut­ta­via desti­nata solo ad un terzo dei docenti e non sem­pre alle stesse per­sone. E il rispar­mio per le casse dello Stato sarà supe­riore rispetto a quanto già rea­liz­zato oggi. Si dà infatti il caso che il port­fo­lio di cre­diti e titoli di un docente «meri­te­vole» possa essere pena­liz­zato dal nucleo interno di valu­ta­zione di un isti­tuto. Dopo sei anni, e due scatti, que­sto docente può avere una brutta sor­presa. Al nono anno potrà essere sca­val­cato in clas­si­fica da uno più «meri­te­vole» di lui. Sem­pre che que­sto non accada già al terzo o al sesto anno.

Il sito spe­cia­liz­zato Oriz­zonte Scuola ha pub­bli­cato due simu­la­zioni curate dai docenti Anto­nello Ven­ditti e Eliana Via­nello. Il primo sostiene che in nove anni ver­ranno per­ce­piti media­mente due scatti invece di tre. In 42 anni di ser­vi­zio, il docente meri­te­vole per­ce­pirà 26 euro men­sili in meno, 312 euro all’anno. Per lo Stato si ipo­tizza un rispar­mio di 200 milioni di euro annui per 650 mila docenti.

La seconda simu­la­zione riguarda i 150 mila futu­ri­bili neo-assunti. Se per­de­ranno il primo scatto dopo 4–5 anni, il loro sti­pen­dio per­derà 72 euro, 900 euro in meno all’anno. La per­dita dovrebbe restare anche nel caso in cui recu­pe­rino posi­zioni in clas­si­fica negli anni suc­ces­sivi. Nella scuola di Renzi essere meri­te­voli ha un costo per tutti. Per il governo, invece, è un altro modo per fare «spen­ding review», dopo avere negato lo sblocco dei con­tratti fino al 2017. A dif­fe­renza di altre cate­go­rie del pub­blico impiego, il con­tratto della scuola è bloc­cato dal 2009. In quasi dieci anni i docenti ita­liani avranno rega­lato allo Stato una media di 4800 euro (stima Flc-Cgil). Nei pros­simi dieci ne lasce­ranno molti altri.

Si chiama merito e fa rima con i tagli. Il bluff è il risul­tato di un pre­ciso dispo­si­tivo di governo: alla scuola viene appli­cato il sistema «valu­tare e punire». Per i docenti que­sto signi­fica sacri­fi­carsi in nome delle poli­ti­che di auste­rità. Resta da capire cosa acca­drà a coloro che non saranno «meri­te­voli» per legge. Le linee guida Renzi-Giannini sug­ge­ri­scono di spo­starsi nelle scuole meno com­pe­ti­tive dove il ren­di­mento è medio-basso. Que­sta mobi­lità riguar­derà i docenti «meri­te­voli» che invece ver­ranno indi­riz­zati verso gli isti­tuti «eccellenti».L’obiettivo sem­bra essere quello di raf­for­zare le dispa­rità ter­ri­to­riali, di censo e di classe tra le scuole e i docenti in tutto il paese.

Sono inquie­tanti le pro­spet­tive che aspet­tano i docenti e i pre­cari meno pagati nei paesi Ocse, e sem­pre più poveri, all’inizio del nuovo anno sco­la­stico. L’Unicobas ha con­fer­mato lo scio­pero gene­rale il 17 set­tem­bre. I Cobas di Piero Ber­noc­chi scio­pe­re­ranno con­tro la «scuola mise­ria» il 10 otto­bre, scen­dendo in piazza con gli stu­denti medi.

“No all’autunno rituale. Unire le lotte e esplicitare il confronto tra le forze del sindacalismo conflittuale”. Intervista a Cremaschia Autore: fabio sebastianida: contro lacrisi.org

L’autunno che si sta prospettando, dal punto di vista dell’azione dei soggetti politici e sindacali, rischia di rimanere molto indeterminato.
Il rischio evidente è che si faccia una stanca riproposizione di stagioni con il titolo “autunno caldo”, sapendo che anche meteorologicamente sono cambiate. E quindi bisogna attrezzarsi differentemente. Sull’assetto del lavoro nel nostro paese siamo alla resa dei conti finali. Renzi e Draghi mirano ad avere qualche flessibilità in più sulla moneta, questo potrà avvenire solo in cambio di una infinita flessibilità sul lavoro. E penso qui alla cantonata pazzesca di Landini quando ha considerato il presidente del Consiglio un interlocutore. L’esperimento Italia consiste nel tentare di costruire un governo di unità nazionale con l’idea di cambiamento, ovvero la politica della Grecia. Che poi è quanto scritto da Draghi e Trichet il 5 agosto del 2011. In quella lettera c’era il programma su tutto, dai licenziamenti ai tagli alle pensioni, alla flessibilità in uscita. C’è un secondo documento, poi, quello della banca J.P. Morgan del 28 maggio 2013. Lì si dice che per i paesi periferici non bastano le riforme economiche se non sono precedute dalle riforme politiche. Il punto centrale è che bisogna cancellare la protezione costituzionale dei diritti del lavoro. Renzi è l’uomo per fare questa politica.Cosa bisognerebbe fare secondo te?
Sarebbe necessario un investimento su tutte le lotte articolate che si possono fare e dall’altro una piattaforma per l’unificazione. E infine, una mobilitazione duratura contro il governo Renzi e il vincolo europeo. Quest’ultimo in Italia continua sfuggire tranne che per manifestazioni come il 28 giugno, che però molte forze radicali e di opposizione hanno snobbato. Al contrario di quanto è accaduto in Spagna Portogallo Grecia , da noi si fa fatica a mobilitarsi contro l’Europa del fiscal compact e di Draghi. Si tende ancora a ridurre tutto a Renzi e agli avversari italiani, e così si rischia un autunno di ritualità.

La Cgil sembra arrivata al capolinea. Si parla di tutto fuorché Dell’inefficacia della sua azione. Tattiche su tattiche che alla fine seppelliscono l’azione vitale del sindacato. Un finale inevitabile dopo la stagione della concertazione oppure c’è qualcos’altro?
Vedo che ora si proclamano le piazze per il lavoro, una sorta di talk show allargato con l’intenzione di far vedere che si esiste senza pero troppo confliggere con il governo. Non c’è niente di peggio di essere concertativi senza la concertazione. E ancora peggio è essere legati al PD, come lo è tutto il gruppo dirigente CGIL, e prendersi gli schiaffoni di Renzi. Non si è in grado di reagire. E’ inutile nasconderlo. La crisi del movimento sindacale italiano è la crisi della Cgil prima di tutto. Cisl e Uil, per loro conto, non sono molto diverse dagli anni 50. Sono un sindacato che si è sempre adattato. Sindacati di mercato, come li ha chaimati Claudio Sabattini. La Cgil ha sempre provato a forzare l’andamento del mercato costruendo controtendenze, e oggi semplicemente non ci prova più. Ogni tanto quando dico queste cose mi si dice che sono nostalgico degli anni settanta. Il problema di fondo è un altro, è che la cultura rivendicativa della Cgil non è quella degli anni settanta ma quella degli anni ottanta. Sto preparando su questo un libretto che uscirà in autunno. Mi sono reso conto che tutti gli aspetti di fondo della cultura della Cgil di oggi dal salario a flessibilità e orario sono nati negli anni 80 ovvero nel periodo del riflusso del movimento quando si cercò di trovare un’intesa con il riformismo craxiano. Tolta la concertazione resta la nudità del re, la cultura delle compatibilità. La prima cosa che dovrebbe fare la Cgil è rinnovarsi attraverso la ripresa dell’iniziativa e sbaraccare la cultura degli anni ottanta. La seconda è rompere con il PD. Ma come si fa se i gruppi dirigenti sono stati selezionati con la cultura degli anni ottanta e son tutti collaterali a quel partito? Per questo io penso che salvo sconvolgimenti, che sono il primo ad augurarmi, la Cgil non sia più riformabile. Sul terreno in cui si è infilata rischia addirittura di essere marginale.

Questo stronca qualsiasi ipotesi di interlocuzione interna
Non credo sia possibile una ricostruziome se non si investe in un progetto di incompatibilità. Negli anni ‘60 Bruno Trentin teorizzò che il salario doveva essere una variabile indipendente perché solo così si poteva forzare gli equilibri economici attraverso le lotte. Ora, con il fsical compact ogni diritto è totalmente “incompatibile”, nel senso che non c’è nemmeno più lo spazio per una rivendicazione. Per ripartire ci vuole un sindacato che si dichiari esplicitamente incompatibile.

Prima hai fatto un riferimento al sindacalismo di base, che comunque ugualmente un nodo di efficacia nelle lotte…

Ci vuole un processo costituente tra tutte le forze del sindacalismo conflittuale. Se le forze presenti in Cgil riescono ad uscire dalla nicchia in cui continuano a trovarsi possono dare un contributo importante al confronto con il sindacalismo di base. Ripeto, non si può rischiare di affrontare questa situazione con il quadro che è uscito dagli anni ottanta. E la crisi della Cgil è anche la crisi del sindacato di base. O prende piede l’idea che bisogna costruire un percorso comune oppure non se ne esce. Rottura e unità devono muoversi assieme. Oppure ci sarà quello che abbiamo già visto ma con difficoltà maggiori. Se la gente vede che si ripetono gli stessi riti senza ottenere risultati è chiaro che si allontana. Ci vuole un polo sindacale incompatibile e conflittuale con percorsi di unità di azione. Ci sono tentativi ed è tutto positivio ma bisogna fare un salto. L’accordo del 10 gennaio trasforma la concertazione in regime di complicità aziendale, chi rifiuta quel regime deve unirsi altrimenti o sarà riassorbito o sarà spazzato via. Ci si prospetta un futuro molto americano con un sindacato burocratico e aziendalista, mentre sono i padroni a decidere come devono essere fatti gli accordi. Senza un progetto per scardinare questo sistema ci saranno sì momenti di lotta, ci sono già oggi dai facchini della logistica ai tranvieri di Genova, ma da soli non saranno in grado di cambiare la tendenza negativa di fondo. Renzi, il padronato e le banche si rafforzano per le evidenti mancanze nostre. Per questo penso che tutto il sindacalismo conflittuale dovrebbe riunirsi attorno ad un tavolo non solo per decidere questa o quella manifestazione, ma per discutere sul serio su come si va avanti ..

Per la Fiom si sta chiudendo una fase iniziata con il No alla Fiat. Oggi sembra rimanere ben poco di quella rottura…
Il gruppo dirigente della Fiom fece nel 2011 una scelta. Quando all’inizio del 2011 si era costruito attorno alla Fiom un grande movimento di lotta che partiva dalla Fiat era chiaro che non poteva fermarsi lì. Se la Fiom avesse da lì scelto una rottura esplicita con il gruppo dirigente Cgil oggi le cose sarebbero diverse. Occorreva aprire un processo in cui la Fiom metteva insieme le forze con le quali era scesa in piazza. Nel gennaio del 2011 una iniziativa Fiom era diventata quasi uno sciopero generale. C’è stata una discussione esplicita e Landini ha detto che c’era un limite di compatibilità con la Cgil.E’ stato il momento della compatibilizzazione della Fiom. La Fiom è ancora una grande organizzazione ma sicuramente l’occasione è stata persa. Mi auguro che le iniziative in autunno riescano ma sono assolutamente confuse e contraddittorie. La Fiom deve prima di tutto dire che scende in piazza contro Renzi e poi essere disponibile al confronto con tutte le forze del sindacalismo di base e conflittuale. Altrimenti è un film già visto.

Obama prepara la guerra prolungata. L’Italia schiera jet e basi militari | Fonte: Il Manifesto | Autore: Manlio Dinucci

Domani – alla vigi­lia del 13° anni­ver­sa­rio dell’11 set­tem­bre che segnò l’inizio della «guerra glo­bale al ter­ro­ri­smo» incen­trata su Al Qaeda e l’invasione dell’Afghanistan e dell’Iraq da parte di coa­li­zioni a guida Usa — il pre­si­dente Obama annun­cerà, in un solenne discorso alla nazione, il lan­cio di una nuova offen­siva a guida Usa mirante, secondo quanto ha dichia­rato dome­nica in una inter­vi­sta alla Nbc, ad «affron­tare la minac­cia pro­ve­niente dallo Stato isla­mico dell’Iraq e della Siria (Isis)». Pur non inviando uffi­cial­mente forze di terra in Iraq e Siria, il pre­si­dente pro­mette: «Degra­de­remo siste­ma­ti­ca­mente le capa­cità dei mili­tanti sun­niti dell’Isis, restrin­ge­remo il ter­ri­to­rio che con­trol­lano e, infine, li sconfiggeremo».

IL PUNTO 37 DEL VER­TICE DEL GALLES

La stra­te­gia è stata uffi­cia­liz­zata nella Dichia­ra­zione finale del recente Sum­mit della Nato a New­port, nel Gal­les, in cui si afferma (al punto 37) che «l’Isis, con la sua recente avan­zata in Iraq, è dive­nuto una minac­cia trans­na­zio­nale». Chi ne è respon­sa­bile? I 28 governi Nato (com­preso quello Renzi) non hanno dubbi: «Il regime di Assad che ha con­tri­buito all’emergere dell’Isis in Siria e alla sua espan­sione al di là di que­sto paese». Si capo­volge così la realtà: come già ampia­mente docu­men­tato, i primi nuclei del futuro Isis si for­mano quando, per rove­sciare Ghed­dafi in Libia nel 2011, la Nato finan­zia e arma gruppi isla­mici fino a poco prima defi­niti ter­ro­ri­sti (espri­mendo ora, nella Dichia­ra­zione del Sum­mit, «pro­fonda pre­oc­cu­pa­zione per le attuali vio­lenze in Libia»).

Dopo aver con­tri­buito a rove­sciare Ghed­dafi, essi pas­sano in Siria per rove­sciare Assad. Qui, nel 2013, nasce l’Isis che riceve finan­zia­menti, armi e vie di tran­sito dai più stretti alleati degli Stati uniti: Ara­bia Sau­dita, Qatar, Kuwait, Tur­chia, Gior­da­nia. In base a un piano sicu­ra­mente coor­di­nato dalla Cia.

L’Isis lan­cia poi l’offensiva in Iraq, non a caso nel momento in cui il governo pre­sie­duto da Nouri al-Maliki stava pren­dendo le distanze da Washing­ton, avvi­ci­nan­dosi sem­pre più alla Cina.
Che a sua volta com­pra circa la metà della pro­du­zione petro­li­fera dell’Iraq, for­te­mente aumen­tata, ed effet­tua grossi inve­sti­menti nella sua indu­stria estrat­tiva. Lo scorso feb­braio, i due governi fir­mano accordi che pre­ve­dono for­ni­ture mili­tari da parte della Cina.

Lo scorso mag­gio al-Maliki par­te­cipa, a Shan­ghai, alla Con­fe­renza sulle misure di inte­ra­zione e raf­for­za­mento della fidu­cia in Asia, insieme al pre­si­dente russo Vla­di­mir Putin e ad Has­san Rou­hani, pre­si­dente dell’Iran. Paese con cui il governo al-Maliki aveva fir­mato nel novem­bre 2013 un accordo che, sfi­dando l’embargo voluto da Washing­ton, pre­vede l’acquisto di armi ira­niane. Su que­sto sfondo si col­loca l’offensiva dell’Isis, che incen­dia l’Iraq tro­vando mate­ria infiam­ma­bile nella riva­lità sunniti-sciiti.
L’Isis svolge quindi di fatto un ruolo fun­zio­nale alla stra­te­gia Usa/Nato di demo­li­zione degli stati attra­verso la guerra coperta. Ciò non signi­fica che la massa dei suoi mili­tanti, pro­ve­niente da diversi paesi, ne sia consapevole.

A CHI SERVE LO STATO ISLAMICO

Essa è molto com­po­sita: ne fanno parte sia com­bat­tenti isla­mici, for­ma­tisi nel dramma della guerra, sia ex mili­tari dell’epoca di Sad­dam Hus­sein che hanno com­bat­tuto con­tro gli inva­sori, sia molti altri le cui sto­rie sono sem­pre legate alle tra­gi­che situa­zioni sociali pro­vo­cate dalla prima guerra del Golfo e dalle suc­ces­sive nell’arco di oltre vent’anni. Ne fanno parte anche diversi pro­ve­nienti da Stati uniti ed Europa, die­tro le cui maschere cer­ta­mente si nascon­dono agenti segreti appo­si­ta­mente for­mati per tali ope­ra­zioni.
Detto que­sto, vi sono fatti incon­tro­ver­ti­bili i quali dimo­strano che l’Isis è una pedina del nuovo grande gioco impe­riale in Medio Oriente. Nel mag­gio 2013, un mese dopo aver fon­dato l’Isis, Ibra­him al-Badri – il «califfo» oggi noto col nome di bat­ta­glia di Abu Bakr al-Baghdadi – incon­tra in Siria il sena­tore sta­tu­ni­tense John McCain, capo­fila dei repub­bli­cani inca­ri­cato dal pre­si­dente demo­cra­tico Obama di svol­gere ope­ra­zioni segrete per conto del governo.

QUELL’ACCESSO ILLI­MI­TATO ALLA RETE

L’incontro è docu­men­tato foto­gra­fi­ca­mente (foto Cnn, pub­bli­cata su «Mon­dia­li­za­tion», di Michel Chos­su­do­v­sky). Molto sospetto è anche l’illimitato accesso che l’Isis ha alle reti media­ti­che mon­diali, domi­nate dai colossi sta­tu­ni­tensi ed euro­pei, attra­verso cui dif­fonde i fil­mati delle deca­pi­ta­zioni che, susci­tando orrore, creano una vasta opi­nione pub­blica favo­re­vole all’intervento della coa­li­zione a guida Usa in Iraq e Siria. Il cui reale scopo stra­te­gico è la rioc­cu­pa­zione dell’Iraq e la demo­li­zione della Siria.

Si apre così, pre­pa­rata da 145 attac­chi aerei effet­tuati in Iraq in un mese dall’aviazione Usa, una «mis­sione pro­lun­gata» di guerra che – pre­cisa A. Blin­ken, vice-consigliere di Obama per la sicu­rezza nazio­nale – «durerà pro­ba­bil­mente oltre l’attuale ammi­ni­stra­zione». Guerra in cui il governo Renzi, sca­val­cando il Par­la­mento, si è già impe­gnato a far par­te­ci­pare l’Italia. I nostri cac­cia­bom­bar­dieri sono pronti, ha annun­ciato la mini­stra della «difesa» Pinotti, per «un’azione mili­tare, che biso­gne­rebbe avere il corag­gio di fare».