Scuola, confermati i timori dei sindacati: tutto rimandato. Non ci sono i soldi | Autore: fabio sebastiani da: controlacrisi.org

La presentazione delle linee guida sulla scuola esce dall’agenda del gia’ corposo Consiglio dei ministri di oggi. Nella sostanza non ci sono i soldi. Nella forma, a stare a sentire Renzi, meglio fare una “riforma partecipata e non calata dall’alto”. Confermati in pieno quindi, i dubbi dei sindacati degli insegnanti e dei precari. Oggi in piazza i “Quota 96”. 

I temi all’ordine del giorno erano tutti di primo piano, a cominciare dalla revisione delle supplenze, la valorizzazione del merito e l’abbandono del precariato. Senza dimenticare lo sponsor dei privati e le aperture alle scuole paritarie; per finire con l’organico funzionale a livello di istituto e/o di area territoriale. Ma lo stop arrivato dal ministro Padoan è stato molto netto. Solo il costo della presa in carico dei precari sarebbe stato intorno al mezzo miliardo. In attesa di vedere il coniglio che il presidente del consiglio tirera’ fuori dal cilindro (nei giorni scorsi ha detto “vi stupiro'”), si sono rincorsi anche ieri suggerimenti e polemiche. Se per la Rete degli studenti “il primo passo per una vera rivoluzione e’ la riforma dei cicli” il Movimento Cinque Stelle ritiene che “il potenziamento del sistema ‘integrato’ pubblico-privato prospettato dal ministro Giannini” e’ “inaccettabile. Consideriamo malata l’equazione ‘piu’ scuola privata, uguale a maggiore risparmio per lo Stato'”.

I sindacati, intanto, fanno quadrato intorno agli insegnanti “Quota 96” – per i quali nessuna indiscrezione ha annunciato una imminente soluzione – e oggi stesso scenderanno in piazza per rinnovare la loro protesta. “E’ doveroso riparare rispetto a un errore ampiamente riconosciuto e una ingiustizia verso migliaia di insegnanti e personale della scuola” afferma il segretario generale della Uil scuola, Massimo Di Menna, invocando “una decisione politica chiara e trasparente che sia risolutiva”.
Ricorre all’ironia il leader della Cisl scuola, Francesco Scrima: “Tanto tuonò che non piovve”. “Rispetto alle grandi rivoluzioni prospettate, quota 96 sembrerebbe una questione di portata davvero modesta: risolverla sarebbe tuttavia – conclude Scrima – un buon segnale per dimostrare che non si vive di annunci a effetto ma si e’ capaci, ogni tanto, di passare dalle parole ai fatti”. Per Mimmo Pantaleo, segretario generale della Flc-Cgil, “se le linee di indirizzo sulla scuola dovessero corrispondere all’intervento della Ministra Giannini al meeting di Comunione e Liberazione, non ci sarebbe nulla di nuovo rispetto alle impostazioni fallimentari della ex ministra Gelmini”.

La Gilda ricorda che le 100 mila assunzioni sarebbero solo “un atto dovuto”: “e’ un tentativo in zona Cesarini di evitare che la stabilizzazione dei precari storici venga imposta dall’Europa”, con una sentenza di condanna per l’abuso dei contratti a termine oltre i 36 mesi, osserva il coordinatore nazionale della Gilda degli insegnanti, Rino Di Meglio. L’Anief chiede infine una stretta sui tempi: se veramente si pensa a 100 mila assunzioni, “vengano attuate sin da subito e non nell’arco dei prossimi tre anni. 30mila assunti l’anno sarebbe solo la conferma dal quadro esistente”.

Landini-Renzi, quel filo diretto che potrebbe spezzarsi Fonte: il manifesto | Autore: Massimo Franchi

“Quando la con­tro­parte chiama, il dovere di un sin­da­ca­li­sta è di andare”. Mau­ri­zio Lan­dini ha sem­pre rispo­sto in que­sto modo quando qual­cuno – e non pochi suoi metal­mec­ca­nici Fiom – hanno cri­ti­cato la scelta di incon­trare Renzi. E così quando mar­tedì il pre­si­dente del Con­si­glio gli ha tele­fo­nato ha inter­rotto la sua breve vacanza nelle Mar­che per pren­dere il treno il giorno dopo e mer­co­ledì scen­dere a Roma. A palazzo Chigi il segre­ta­rio gene­rale della Fiom era già andato altre volte ed è arri­vato dopo che il pre­si­dente del Con­si­glio aveva chie­sto al vice­mi­ni­stro allo Svi­luppo Clau­dio De Vin­centi di illu­strar­gli lo stato delle tante ver­tenze indu­striali aperte. Con Lan­dini ha discusso di que­ste: da Ter­mini Ime­rese a Ilva, da Luc­chini (ieri un ope­raio di Piom­bino ha ini­ziato lo scio­pero della fame per denun­ciare lo spe­gni­mento anche della coke­ria) a Iri­sbus e tutto il set­tore tra­sporti, da Alcoa a Eni, da Alca­tel a Ast di Terni, vicende che rica­dono nel disa­strato set­tore di com­pe­tenza della Fiom. Di tutte sono con­vo­cati i tavoli al mini­stero di via Molise dalla pros­sima set­ti­mana, senza che alcuna sia in via di soluzione.

Renzi ha ascol­tato il parere e le indi­ca­zioni di Lan­dini, fedele al giu­di­zio espresso pub­bli­ca­mente più volte che “quando lo sento par­lare imparo sem­pre qual­cosa”. D’altra parte la solu­zione della ver­tenza Elec­tro­lux — l’unica risolta finora dal governo — era arri­vata seguendo un ormai vec­chio cavallo di bat­ta­glia della Fiom: finan­ziare i con­tratti di soli­da­rietà (con soli 15 milioni, però), da pre­fe­rire alla cassa inte­gra­zione per­ché distri­bui­scono il lavoro su più per­sone garan­tendo anche un livello sala­riale più alto.

Da parte sua Lan­dini aveva accolto i primi passi del governo Renzi con giu­dizi lusin­ghieri: “Ottanta euro al mese non li abbiamo mai otte­nuti con un rin­novo con­trat­tuale”, ma negli ultimi mesi aveva ini­ziato a cri­ti­care pesan­te­mente l’operato del governo difen­dendo la Cgil sul tema della tra­spa­renza dei bilanci, tirati in ballo da Renzi stesso. Cri­ti­che che però il pre­mier ha messo nel conto, cer­cando comun­que di man­te­nere un rap­porto diretto — sep­pur dia­let­tico — con il lea­der Fiom.

L’incontro di mer­co­ledì però muta il qua­dro della situa­zione. Lan­dini ha man­dato una sorta di ulti­ma­tum a Renzi: se nelle prime set­ti­mane di set­tem­bre que­ste crisi – a par­tire da Ter­mini Ime­rese che il pre­mier ha visi­tato “met­ten­doci la fac­cia” davanti al migliaio di lavo­ra­tori dello sta­bi­li­mento i cui can­celli sono chiusi da tre anni – non ver­ranno risolte, la Fiom è pronta alla mobi­li­ta­zione. Lan­dini aveva già annun­ciato la volontà di scio­pe­rare a otto­bre, mobi­li­tando i metal­mec­ca­nici pro­prio per dar forza alle pro­po­ste della Fiom: inve­sti­menti pub­blici per rilan­ciare il set­tore indu­striale in primis.

Natu­ral­mente l’incontro di mer­co­ledì ha fatto molto rumore. Innanzi tutto per la solita volontà di Renzi di voler sca­val­care e non con­si­de­rare Susanna Camusso — la segre­ta­ria della Cgil in que­sti giorni si trova comun­que in dele­ga­zione in Giap­pone — mirando ad acuire la con­trap­po­si­zione fra lei e Lan­dini. Ma la palma di più arrab­biato di tutti per la “spe­cial rela­tion­ship” tra Renzi e Lan­dini va cer­ta­mente a Raf­faele Bonanni. Ieri il segre­ta­rio della Cisl ha usato parole al vetriolo per i due: “A me inte­ressa una discus­sione vera con il governo, se non c’è una discus­sione vera è bene che Renzi discuta con Lan­dini”.
Molto cri­tico anche Gior­gio Cre­ma­schi, sto­rico lea­der della sini­stra Fiom ora in pen­sione, che ha cri­ti­cato Lan­dini “che ignora le ripe­tute affer­ma­zioni di Renzi a favore dei vin­coli euro­pei di auste­rità, prima causa asso­luta della recessione”.

Che ci sia molto di stru­men­tale in que­sto rap­porto è lam­pante. Renzi “usa” Lan­dini per coprirsi a sini­stra e in chiave anti Cgil-Cisl-Uil, cer­cando di farlo per­ce­pire come il rot­ta­ma­tore del sin­da­cato. D’altra parte Lan­dini ha tutto l’interesse a man­te­nere un rap­porto diretto con il pre­si­dente del con­si­glio nel ten­ta­tivo di por­tare a casa quella legge sulla rap­pre­sen­tanza sin­da­cale che sor­pas­se­rebbe l’accordo inter­con­fe­de­rale in mate­ria, osteg­giato dalla Fiom e che alla sua prima prova — la ver­tenza Ali­ta­lia — ha subito mostrato molti pro­blemi di appli­ca­zione por­tando a una divi­sione fra sin­da­cati invece che alla pro­messa uni­ta­rietà vincolante.

Le pros­sime set­ti­mane saranno dun­que deci­sive: o Renzi deci­derà vera­mente di seguire la linea Lan­dini, svol­tando in fatto di poli­tica indu­striale, oppure anche Lan­dini entrerà a far parte dei “gufi” dell’autunno caldo che Renzi — a parole — dice di non temere.

Governo, un vecchio film lungo mille giorni | Fonte: Il Manifesto | Autore: Giorgio Airaudo

Men­tre il nostro pre­si­dente del con­si­glio pensa alle slide dei pros­simi mille giorni ci sono ita­liane e ita­liani che aspet­tano di capire dove siano finite le slide dei primi cento. Aspet­tano rispo­ste, a dire il vero, da almeno tre Governi: quello di Monti, quello di Letta, e quello di Renzi, dopo i gua­sti che agli ita­liani e all’Italia hanno gene­rato le poli­ti­che neo libe­ri­ste degli ese­cu­tivi di cen­tro­de­stra di Ber­lu­sconi (e dei suoi ministri).I primi che atten­dono di essere nomi­nati — magari anche solo in un tweet del nostro pre­mier — sono gli eso­dati, nuova figura sociale gene­rata dalla mano­vra For­nero che non aveva pre­vi­sto tran­si­zioni, com­pen­sa­zioni o tutele per chi lasciava in mezzo a un guado. Il governo Monti ha usato le pen­sioni come un ban­co­mat per sedare i mer­cati e ras­si­cu­rare la tec­no­cra­zia Euro­pea. E ci ha con­se­gnato, con rara lun­gi­mi­ranza, la più alta età pen­sio­na­bile d’Europa in con­tem­po­ra­nea alla più alta disoc­cu­pa­zione gio­va­nile della sto­ria del nostro paese. In mille giorni non ci sono state parole per gli eso­dati — che si gene­re­ranno almeno sino al 2022 — fino ad oggi sono stati spesi quasi 12 miliardi per sei sal­va­guar­die che non hanno risolto il patto di cit­ta­di­nanza vio­lato con que­ste cit­ta­dine e cit­ta­dini. Tutto ciò a fronte di quasi 90 miliardi di risparmi, cer­ti­fi­cati dall’Istituto sta­ti­stico dell’Inps, che la mano­vra For­nero garan­tirà in dieci anni rispetto ai 22 miliardi pre­vi­sti al varo della riforma. Que­sti ultra-risparmi devono tor­nare alle pen­sioni e ai pen­sio­nati. Come mai nes­sun mini­stro ne parla? Mistero. Solo una nuova riforma che can­celli le abnor­mità della mano­vra For­nero, abbas­sando l’età pen­sio­na­bile e distin­guen­dola in base ai lavori svolti nel arco della vita lavo­ra­tiva (e al loro impatto psi­co­fi­sico sulle per­sone) potrà riscri­vere un nuovo patto sociale che can­celli la ferita degli eso­dati, risolva l’ingiustizia delle pen­sioni d’oro e fac­cia ripar­tire un turn-over bloc­cato che per ora pena­lizza innan­zi­tutto i giovani.

A dire il vero di que­sto aveva par­lato la mini­stra Madia, annun­ciando solen­ne­mente la crea­zione di quat­tro­mila posti per i più gio­vani: si è riman­giata tutto, e pre­ci­pi­to­sa­mente, quando si è sco­perto che non c’era nes­suna coper­tura e che la riforma della Pub­blica Ammi­ni­stra­zione la devono pagare i lavo­ra­tori. A fianco degli eso­dati — infatti — ci sono gli “errori” rico­no­sciuti e irri­solti del per­so­nale della scuola di quota96 bloc­cato al lavoro da una riforma che si è scor­data di quando fini­sce l’anno sco­la­stico e l’insensatezza, in con­flitto con le norme di sicu­rezza, di fer­ro­vieri che dovreb­bero stare alla guida di treni anche ad alta velo­cità fino a 67 anni. Si tratta di solu­zioni di errori a basso costo: meri­te­reb­bero decreti d’urgenza che il governo Renzi pro­mette e rin­via dalla sua nascita come i suoi predecessori.

Il governo Renzi ha toc­cato il tema delle pen­sioni, di recente, non per pro­porre più equità, ma per ven­ti­lare mal­de­stra­mente tra son­daggi e asti­celle (intorno a fer­ra­go­sto, con un con­certo di dichia­ra­zioni cal­co­late e irre­spon­sa­bili) addi­rit­tura l’ipotesi di un pre­lievo su tutte le pen­sioni sopra i due­mila euro lordi. Di fronte a un pre­an­nun­cio semi insur­re­zio­nale che teneva insieme un fronte del No che andava dalla Cgil a Forza Ita­lia le asti­celle sono state (per ora) ripo­ste. Intanto — in mille giorni — non ho sen­tito parole né visto tweet, e nem­meno assi­stito a gavet­toni ghiac­ciati in favore dei lavo­ra­tori dell’Alcoa che dal 31 dicem­bre fini­scono in mezzo a una strada, con la loro fab­brica defi­ni­ti­va­mente chiusa, e che da giorni se ne stanno in tenda davanti ai can­celli, ma non certo per fare cam­peggi estivi. E nulla ho sen­tito, dai loquaci mini­stri, anche su quello spa­ven­toso buco nero che è diven­tato — per noi — l’impianto side­rur­gico più grande d’Europa, quello di Taranto e la side­rur­gia Ita­liana da Terni a Piom­bino. Aspet­tano solu­zioni indu­striali da tempo oltre 150 crisi crisi azien­dali al mini­stero dello svi­luppo eco­no­mico a par­tire da Ter­mini Ime­rese a cui ser­vi­rebbe la cer­tezza di un nuovo pro­dut­tore di auto oltre la dia­spora dal Ita­lia della Fiat-Chrysler e molte di più sono in attesa sui tavoli delle regioni.

Tutto que­sto avrebbe biso­gno di poli­ti­che che favo­ri­scano il rein­se­dia­mento indu­striale, fer­mino la sven­dita e la fuga delle atti­vità mani­fat­tu­riere dall’Italia e sem­bra innan­zi­tutto man­care su que­sto ter­reno una visione che vada oltre i 140 carat­teri delle bat­tute da Social media. Man­cano soprat­tutto inter­lo­cu­tori cre­di­bili: die­tro e oltre il pre­mier nulla si muove. Ogni tanto, nel governo dei “carini” qual­cuno azzarda una dichia­ra­zione su que­sti temi aperti, suscita un vespaio, e subito viene com­mis­sa­riato dal solito Mat­teo che dice: “Mi occupo di tutto io!”. Però poi, anche per limiti umani, non ci riesce.

Durante tutta l’estate, in regioni già disa­giate — cito ad esem­pio la Sar­de­gna e la Basi­li­cata — si dif­fon­dono le anti­ci­pa­zioni dei tagli con cui dovreb­bero essere chiusi decine di “pic­coli tri­bu­nali” che poi tanto pic­coli non sono, se per rag­giun­gere quelli nuovi devi viag­giare quat­tro ore. Non ci sono soldi per nulla, non si pro­getta nulla, sotto la ver­ni­cia­tura del nuovo i mille giorni rischiano di rega­larci la rie­di­zione del già visto.

Infine aspet­tano i disoc­cu­pati, gli sco­rag­giati e i sot­to­pa­gati oltre 7 milioni di sfrut­tati e ricat­tati dalla (e nella) crisi a cui si pro­pone un altra volta la stan­tia ricetta della sva­lu­ta­zione della pro­prio lavoro attra­verso l’aumento della pre­ca­rietà. I gior­nali del coro hanno ini­ziato a decan­tare come un pic­colo Eden il modello spa­gnolo. L’ultima ver­sione del decreto Poletti, l’attacco ai con­tratti di lavoro e l’immancabile uso pro­pa­gan­di­stico della can­cel­la­zione dell’18, già muti­lato dal governo Monti, viene ora masche­rato attra­verso l’idea — a dir poco biz­zarra — che la can­cel­la­zione dello Sta­tuto dei lavo­ra­tori sarebbe un grande salto di pro­gresso (per chi?). Quando i mini­stri delle grandi riforme sono più pru­denti, invece, dicono che lo Sta­tuto deve essere riscritto: però non ci dicono come, non ci spie­gano, quali diritti si deb­bano rico­struire e quali nuovi affer­mare, come si può ridurre una pre­ca­rietà che è ora­mai distru­zione di lavoro e ric­chezza. Ser­vono meno di mille giorni per can­cel­lare le qua­ranta forme di di con­tratto più o meno pre­ca­rie e per varare un piano per il lavoro che sia il nostro New Deal : e non c’è trac­cia del’annunciato “con­tratto unico” che avrebbe dovuto sosti­tuirle. Si vuole invece aggiun­gerne una nuova, l’assunzione con pos­si­bi­lità di licen­ziare per tre anni, che (per ora) lan­gue al Senato. Ma non si doveva cam­biare verso? L’autunno se sarà caldo o freddo lo deci­de­ranno molti di que­sti sog­getti e sog­get­ti­vità oggi spesso rimossi. Sono tanti,non con­tano nulla,ma guai a sot­to­va­lu­tarli ammo­niva Luciano Gal­lino pochi giorni fa noi non li lasce­remo soli.

Art. 18 e precarietà. Una riflessione dal punto di vista operaio. Intervento di Gianni Marchetto Autore: Gianni Marchetto da: controlacrisi.org

Personalmente vengo da aziende di operai di mestiere (FIAT COMAU). Quando vi lavoravo avevo notato che ogni tanto qualcuno andava in Direzione per dare le dimissioni. Una parte di questi operai (e anche di tecnici) poi rimanevano. Chi erano costoro? Erano tra i più bravi. E usavano le “dimissioni” come arma di “ricatto” nei confronti della Direzione per avere aumenti di salario, avanzamenti di carriera, ecc. Ovviamente la Direzione ci stava per non perdere della professionalità e delle competenze acquisite in anni e anni di esperienza. Per avere un operaio provetto o un tecnico capace, autonomo, ci vanno anni e anni di accumulo di esperienza lavorativa.

Domanda: nei lavori di “fino”, quelli di qualità, quelli a cui si richiede il massimo di autonomia e di professionalità, nella epoca attuale cosa è cambiato? C’è stato un mutamento sostanziale con l’introduzione della informatica, arricchendolo (il lavoro), ma il contenuto del lavoro qualificato, della prestazione non è per nulla cambiato.
La flessibilità del lavoratore, quella ricercata dal soggetto era nei fatti un accumulo di esperienza che il lavoratore faceva magari in diverse imprese, ma sempre sulla stessa professionalità: aggiustatore, stampista, tracciatore, addetto alle macchine (a Controllo Numerico, frese, torni, ecc.). Evidentemente chi ne traeva profitto era il lavoratore stesso ma anche l’ultimo imprenditore che gli dava lavoro.

Dice sull’art.18 Gino Rubini della CGIL Emilia Romagna: “Il lavoro di qualità richiede relazioni fondate sul rispetto e sulle regole. La crescita della qualità e dell’elevato contenuto in valore tecnologico di molte aziende emiliane è andata di pari passo con l’espansione dei diritti e della civilizzazione dei rapporti sociali. Per non fare nomi ma solo qualche esempio, aziende come Ferrari, Lamborghini e Ducati perderanno di qualità se prevarrà la logica barbarica di trattare i lavoratori come “vuoti a perdere”… Questa ideologia miserevole per cui oltre al cenno (ad nutum) butti sul tavolo una manciata di banconote per scacciare il lavoratore e acquisire competitività può andare bene per imprese che stanno a livelli miserevoli di contenuto tecnologico e di qualità del lavoro”.

E aggiunge: “Questi signori tecnici (del governo) hanno una vaga idea della complessità del reticolo di relazioni sociali che fondano la produzione di valore in una impresa? La penosità e in qualche misura il pensiero atrofizzato di questi tecnici assomigliano alla visione di quel comandante di jumbo che manda in stallo l’aereo per risparmiare sul carburante”.

Diverso è invece il lavoro ripetitivo (es. ad una catena di montaggio). Le mansioni sono del tutto povere. Da qualche manciata di secondi a qualche manciata di minuti: e sempre con la ripetizione. Epperò! Con il tempo, dovuta proprio alla particolare prestazione ripetitiva, l’esperienza accumulata faceva sì che il lavoratore acquisiva abilità e destrezza nella propria mansione, aumentando di parecchio la sua bravura e la sua produttività (in termini di velocità di esecuzione). Basta vedere un lavoratore nuovo assunto e posizionato in una catena di montaggio nei primi giorni di lavoro: si “imbarca” sempre (= non riesce a stare nei tempi assegnati). In più l’accumulo di esperienza va tutta in favore dell’impresa nel senso che tutto il lavoro male progettato o non progettato viene colmato dalla bravura del lavoratore (bravura, mai o poco riconosciuta sia in termini salariali che di qualifica). Nella epoca attuale questi lavori ripetitivi si sono arricchiti con l’introduzione della robotica (e quindi abbiamo dei lavoratori che fanno quasi solamente prestazioni di controllo) o di nuove tecnologie tra le quali anche apparati informatici.

Perché allora questa insistenza sull’art. 18? Perché il personale dell’attuale governo non sa assolutamente nulla di un luogo di lavoro, non l’ha mai visto, né tantomeno vissuto, ne fa solamente un argomento di carattere ideologico. Diverso è invece l’approccio del padronato: fatto salvo quei padroni (pochi purtroppo) che con il fischio ricorreranno all’art. 18 in quanto i lavoratori che impiegano se li vogliono tenere in quanto gente brava ed esperta nel lavoro (che gli è magari costata nella formazione ricevuta), il rimanente (una buona maggioranza) che fa solo delle “carabattole” lo userà in due modi:
• per produrre l’ennesima pulizia etnica, ergo tutti coloro che per passate vicende lavorative oggi si ritrovano con qualche acciacco alla salute (inidonei e invalidi, oltre che anziani più donne in maternità!) e rischiano di essere in grande numero, sostituendoli con giovani precari molto disponibili perché più ricattabili.
• tutti coloro che hanno la “schiena dritta” (a prescindere dalla loro collocazione politica e/o sindacale), coloro i quali per es. non accettano supinamente lo straordinario, ecc. saranno pochi però con un chiaro obiettivo terrorista: “colpirne uno per educarne 100”.Per fortuna non tutto è così…
Il che non significa affatto che tutta la nostra manifattura sia tutta di questa specie, lo è purtroppo la maggioranza e specie la piccola e micro impresa. Infatti stando al libro di A. Calabrò (Orgoglio Industriale, Ed. Mondadori) questi ci dice che nel 2008 su ca. 4.000.000 di aziende manifatturiere presenti nel nostro paese, ce ne sono 4.600 (lui le chiama “multinazionali tascabili” che vanno dai 50 ai 500 addetti) che forse ci tireranno fuori dalla crisi.

Domanda: chi le conosce, cosa fanno e cosa fa lì il sindacato (posto che ci sia)? Domanda successiva: è una bestemmia pensare di poter costruire a sinistra (a partire dai sindacati) un archivio di queste aziende per portarle all’onore del mondo, per tentare di farle mettere in contraddizione con il resto delle imprese? Per tentare una sorta di “alleanza dialettica” con il movimento dei lavoratori. Non fosse altro perché in questo campo vi sono senz’altro le possibilità di un “conflitto” più avanzato e non solo sulla difensiva.