Assunzioni in ruolo nella scuola. 33.380 autorizzate: 28.781 docenti (15.439 posto comune e 13.342 sostegno), 4.599 di personale ATA | Fonte: flc cgil

Nel corso dell’incontro al Ministero del 30 luglio è stata fornita l’informazione sulle assunzioni in ruolo previste per il 2014/2015.Sono in corso di autorizzazione 28.781 assunzioni di docenti (15.439 su posto comune e 13.342 su sostegno) e 4.599 di personale ATA.

Si tratta di numeri (pari al solo turnover) molto inferiori alle effettive disponibilità di posti ed in particolare per i docenti su posto comune sono circa il 58%, per i docenti di sostegno circa l’82% e per gli ATA circa il 35%.

La prossima settimana dovrebbe essere definita la ripartizione effettiva dei docenti per ordine di scuola e per tipologia di posto e pubblicato il Decreto con le istruzioni operative.

Per il personale ATA sarà necessario attendere qualche giorno in più in considerazione che la pubblicazione dei trasferimenti è prevista per il 4 agosto.

Nell’incontro abbiamo ribadito la nostra richiesta di assunzione su tutti i posti liberi, in applicazione del DL 104/14, per garantire le procedure di stabilizzazione che sono al vaglio anche della Corte di Giustizia Europea e sollecitata l’emanazione dell’atto di indirizzo oltre alla richiesta di tenere in considerazione gli ulteriori pensionamenti determinati dai mancati mantenimenti in servizio e dalla norma su “quota 96”.

Intervista a Rodotà: «Renzi aizza tutti contro le camere» | Fonte: Il Manifesto | Autore: Daniela Preziosi

La qualità dei nuovi costituenti è bassa, affrontano l’aula da incompetenti. Il premier è già in campagna referendaria. E stavolta dovremo sconfiggere il blocco Pd-Forza Italia. Ma le opposizioni hanno sbagliato a rivolgersi a Napolitano. E poi trasformare le camere in curve da stadio«Un po’ di memo­ria non gua­ste­rebbe. Sento dire:’mai l’ostruzionismo ha fatto cadere un prov­ve­di­mento’. Falso: io ricordo l’ostruzionismo che fece cadere il primo decreto di San Valen­tino, il decreto Craxi sui punti della scala mobile, nell’84. Poi fu rei­te­rato e passò. E ricordo un ostru­zio­ni­smo in cui i radi­cali fecero addi­rit­tura una gara interna fra Marco Boato e Mas­simo Teo­dori su chi avrebbe par­lato più a lungo. Una mat­tina era­vamo esau­sti, ma Boato non si fer­mava per­ché voleva bat­tere il record. E sic­come non si fidava di quello che gli dice­vano i suoi com­pa­gni, a un certo punto disse: ’se me lo dice Ste­fano Rodotà ci credo’. Io, che ero depu­tato della sini­stra indi­pen­dente, andai e gli dissi: guarda, hai par­lato più a lungo. E lui final­mente smise». Memo­rie di un ex vice­pre­si­dente della camera, Ste­fano Rodotà. Era il 1981, si discu­teva sul fermo di poli­zia, Boato parlò 18 ore e cin­que minuti. Le regole, per for­tuna del pre­si­dente Grasso, sono cambiate.

Oggi il pre­si­dente Grasso è con­te­stato dalle oppo­si­zioni per i suoi spac­chet­ta­menti, i suoi ’can­guri’ (un mec­ca­ni­smo che con un voto fa deca­dere gli emen­da­menti simili fra loro, ndr), e le sue tagliole.

È una mate­ria che attiene alla pro­ce­dura par­la­men­tare e che dovrebbe essere di stretta inter­pre­ta­zione, stret­tis­sima quando si tratta di modi­fi­che della Costi­tu­zione. Sono le garan­zie del pro­ce­di­mento, non pos­sono essere rimesse alla deci­sione della mag­gio­ranza. Nel dub­bio, c’è la giunta del regolamento.

La giunta ha deciso a mag­gio­ranza che ’il can­guro’ è legit­timo anche per le leggi costituzionali.

C’è una vec­chia bat­tuta: la mag­gio­ranza si tutela con i numeri, la mino­ranza con le regole.

A colpi di ’can­guro’ al senato cadono cen­ti­naia di emen­da­menti alla volta. Tutto normale?

Di fronte all’uso ostru­zio­ni­stico degli emen­da­menti è pos­si­bile pro­ce­dere con il cosid­detto can­guro. Ma diciamo la verità: que­sta vicenda è stata gestita dalla mag­gio­ranza e dal governo senza una piena con­sa­pe­vo­lezza poli­tica. Quando si sa quello che sta per suc­ce­dere, non si può rea­gire con un ’mascal­zoni, state facendo l’ostruzionismo’, serve com­pe­tenza tec­nica. Che non c’è stata.

Hanno fatto bene le oppo­si­zioni a arri­vare in cor­teo al Colle e invo­care il pre­si­dente Napolitano?

Sin­ce­ra­mente no. Capi­sco l’atto sim­bo­lico, ma il pro­ce­di­mento legi­sla­tivo deve essere rigo­ro­sis­simo e tute­lato dalle regole interne alle assem­blee par­la­men­tari, non è oppor­tuno chie­dere inter­venti dall’esterno. Al tempo della legge truffa ci furono con­te­sta­zioni duris­sime, ma nes­suno chiese l’intervento del capo dello stato.

La mag­gio­ranza rifiuta ogni discus­sione per miglio­rare la legge. E in aula e fuori volano parole tipo ’fasci­sta’. Grillo parla di colpo di stato.

Biso­gna fare atten­zione al lin­guag­gio e a certe mani­fe­sta­zioni. Non apprezzo la ridu­zione delle aule par­la­men­tari alle curve di uno stadio.

Legit­tima difesa, dicono le oppo­si­zioni. Anche per­ché con­tro di loro Renzi usa modi spicci: ’gli ostru­zio­ni­sti hanno l’Italia contro’.

È una brutta tra­du­zione del ’vox populi, vox dei’. Le bat­ta­glie sui diritti sono sem­pre nate come bat­ta­glie di mino­ranza. Bene­detto Croce, da sena­tore, nel ’29 votò con­tro i Patti Late­ra­nensi dicendo: ’di fronte a uomini che sti­mano Parigi valer bene una messa, sono altri per i quali l’ascoltare o no una messa è cosa che vale infi­ni­ta­mente più di Parigi, per­ché è affare di coscienza’.

Il Pd minac­cia Sel di rom­pere le alleanze nelle ammi­ni­stra­tive. È una pre­ve­di­bile ritor­sione politica?

Riven­dico l’uso della parola «auto­ri­ta­rio». Siamo stati noi, intendo Zagre­bel­sky, Car­las­sare, Urbinati…

I famosi «professoroni».

Orrenda parola ma sì, siamo stati noi ’pro­fes­so­roni’ a dirla e la riba­di­sco: que­sto è un modo auto­ri­ta­rio di pro­ce­dere. La discus­sione sulla Costi­tu­zione non può essere inqui­nata da altro. Il lavoro di scrit­tura della Costi­tu­zione soprav­visse alla rot­tura del governo in cui c’erano socia­li­sti e comu­ni­sti, però non e si disse ’abbiamo i numeri e allora andiamo avanti’. Il con­flitto poli­tico, che era molto aspro, fu tenuto distinto dal lavoro costi­tuente. Ma che argo­mento costi­tu­zio­nale è ’se non accetti sei fuori dalle giunte’? La sag­gezza dei tempi e la qua­lità poli­tica di quella gene­ra­zione dovrebbe darci lezioni. E ora chissà quante cri­ti­che mi faranno i cosid­detti ’innovatori’.

Come giu­dica la qua­lità dei nuovi costituenti?

Voglio essere gene­roso: è molto molto bassa. La scarsa legit­ti­ma­zione poli­tica di que­ste camere, che non sono non ade­gua­ta­mente rap­pre­sen­ta­tive per­ché sono state costi­tuite con una legge dichia­rata inco­sti­tu­zio­nale, avreb­bero dovuto con­si­gliare la cau­tela e la ricerca di allar­gare la mag­gio­ranza con una discus­sione pub­blica ade­guata. Ma la discus­sione pub­blica non è aiz­zare i cit­ta­dini con­tro le camere.

Il pre­mier le rispon­de­rebbe: ho preso il 41 per cento.

E no: que­sto è un argo­mento che abbiamo con­te­stato a Ber­lu­sconi. Che diceva: i cit­ta­dini sanno che sono inda­gato ma mi votano. Come se il voto fosse un lava­cro. Il voto è impor­tante per l’investitura poli­tica, ma il 40,8 per cento non signi­fica che sei legit­ti­mato a fare qual­siasi cosa. Piut­to­sto, forte della sua inve­sti­tura poli­tica poteva pro­porre di togliere dalla Costi­tu­zione l’obbligo al pareg­gio di bilan­cio, che altri paesi non hanno e che è un osta­colo a usare quella fles­si­bi­lità che chie­diamo all’Europa. Sarebbe stata una mossa costi­tu­zio­nal­mente ben moti­vata. E invece que­ste riforme sono un’operazione di poli­tica interna che distrae l’attenzione dalle misure più dif­fi­cili da maneg­giare. E quindi si dice: ’non pos­siamo fare niente per­ché c’è l’ostruzionismo’.

Comun­que a colpi di can­guro e tagliole alla fine la riforma pas­serà. Poi però ci sarà il refe­ren­dum. Voi che siete con­trari, che farete?

Innan­zi­tutto ci spie­ghino in che modo sarà pre­vi­sto. Dovrebbe essere pre­vi­sto nella stessa riforma del senato. Dal punto di vista for­male il governo Letta era stato cor­retto, nel ddl costi­tu­zio­nale di modi­fica dell’articolo 138 aveva pre­vi­sto la pos­si­bi­lità del referendum.

Non crede che sem­pli­ce­mente potrebbe non esserci il sì dei due terzi delle camere?

E allora il refe­ren­dum non sarà una con­ces­sione. Ma è chiaro che tutta l’attuale maniera di impo­stare la discus­sione, quei ’avete con­tro l’Italia’ è un modo per pre­co­sti­tuire la cam­pa­gna refe­ren­da­ria. Que­sta volta il grande blocco Pd-Forza ita­lia sarà dif­fi­cile da scon­fig­gere. Biso­gnerà stare tutti in campo.

Pro­fes­sore Rodotà, se ci sarà un refe­ren­dum a soste­nere le ragioni del no sarete molto più soli. Non teme che la scon­fitta si possa tra­sfor­mare in un boomerang?

La ’legge truffa’ fu bat­tuta con l’apporto fon­da­men­tale di due pic­coli pic­coli par­titi, Alleanza demo­cra­tica e l’Unità popo­lare. Che fra l’altro ave­vano dei gran ’pro­fes­so­roni’. Mi ricordo il comi­zio di Arturo Carlo Jemolo, che non era certo un uomo dalla facile ora­to­ria pub­blica. E invece l’eloquenza magni­fica di Piero Cala­man­drei. Certo non mi voglio para­go­nare a lui. Ma comun­que il nucleo ori­gi­na­rio dei ’cat­tivi’ pro­fes­sori con­trari a que­ste riforme è aumen­tato. Stu­diosi non ostili al governo, anzi che erano nei vari comi­tati di saggi e nelle riu­nioni della mini­stra Boschi, sono cri­tici sull’impianto com­ples­sivo delle riforme del senato e della legge elet­to­rale. Sarà dif­fi­cile, ma faremo la nostra parte.

La Striscia di sangue delle stragi Fonte: Il Manifesto | Autore: Michele Giorgio

Il “margine protettivo” di Israele. La “tregua” è una trappola mortale. Il mercato di Shujayea, la scuola Unwra di Jabaliya, Zaytun, Khan Yunis: più di 100 morti in una sola giornata a Gaza. Tra questi il giornalista palestinese Rami RayanSi passa di strage in strage, non si rie­sce più a seguirle tutte. Impos­si­bile recarsi ovun­que. L’elenco di ieri è fitto: il mer­cato di Shu­jayea, la scuola Unwra di Jaba­liya, Zay­tun, Khan Yunis e tanti altri nomi che fanno più di 100 morti in una sola gior­nata e altre cen­ti­naia di feriti che stanno por­tando al col­lasso gli ospe­dali di Gaza. Da quando è comin­ciata «Mar­gine Pro­tet­tivo» sono stati uccisi circa 1.400 pale­sti­nesi (almeno il 70% sono civili tra i quali 243 bam­bini), oltre 7mila sono i feriti. Una stri­scia di san­gue infi­nita che con­tri­bui­scono ad allun­gare anche le «fine­stre uma­ni­ta­rie». Israele ieri ha pro­cla­mato uni­la­te­ral­mente quat­tro ore di tre­gua, dalle 15 alle 19, nelle «zone dove non si com­batte». Si è rive­lata una trap­pola mor­tale per tanti pale­sti­nesi di Shu­jayea, popo­loso quar­tiere di Gaza city raso al suolo in parte dai bom­bar­da­menti israe­liani nelle ultime due set­ti­mane. Per­sone che hanno appro­fit­tato della «pausa» nei can­no­neg­gia­menti per rifor­nirsi o per ven­dere generi di prima neces­sità nel mer­cato rio­nale. Una bomba sgan­ciata da un F-16 ha ucciso 17 per­sone, tra i quali un gior­na­li­sta, Rami Rayan, enne­simo ope­ra­tore dell’informazione pale­sti­nese che paga con la vita il dovere di infor­mare. 200 i feriti.

Nell’ospedale Shifa si sono vis­sute le stesse scene viste tante volte negli ultimi 22 giorni: corpi insa­gui­nati, cada­veri irri­co­no­sci­bili, padri che cor­rono verso il pronto soc­corso con i figli feriti in brac­cio. Urla, pianti, sguardi fissi, medici esau­sti che resi­stono con la sola spinta dell’adrenalina. Sono più di tre set­ti­mane che vediamo tutto que­sto e non biso­gna illu­dersi. L’accordo di tre­gua è solo un mirag­gio. Il gabi­netto di sicu­rezza israe­liano ieri sera si è chiuso dopo cin­que ore con la deci­sione di lasciare ancora carta bianca alle forze armate. Dall’altra parte Hamas, o meglio la sua ala mili­tare, crede di aver vinto la guerra per­chè ha ucciso 57 sol­dati israe­liani – gli ultimi tre ieri -, per­chè lan­cia razzi verso Israele e così alza la posta, ponendo come con­di­zione per accet­tare un ces­sate il fuoco per­ma­nente, l’attuazione di richie­ste che Israele e l’Egitto non accet­te­ranno mai. I nego­ziati al Cairo con tutte le fazioni pale­sti­nesi non sono mai real­mente comin­ciati e in ogni caso rischiano di pro­durre intese inap­pli­ca­bili per la rigi­dità delle parti in con­flitto. Il mondo resta alla fine­stra, si guarda bene dal fer­mare la mac­china bel­lica israe­liana e pro­nun­cia vec­chi slo­gan e frasi di cir­co­stanza che non cam­biano nulla. Ieri sera si è riu­nito d’emergenza il Con­si­glio di Sicu­rezza dell’Onu, un’altra seduta senza pro­spet­tive di soluzione.

Shu­jayea è par­zial­mente abi­tato, soprat­tutto nella parte più occi­den­tale, abba­stanza lon­tana dalla lunga fascia di mace­rie che segna la linea del «fronte». Molte fami­glie hanno pre­fe­rito ritor­narci pur di non vivere ammas­sati in scuole ed edi­fici abban­do­nati come gli oltre 200mila sfollati.

Pro­prio ieri John Ging, il diret­tore ope­ra­tivo dell’ufficio di coor­di­na­mento degli affari uma­ni­tari delle Nazioni Unite, ha comu­ni­cato che rispetto all’offensiva israe­liana del 2012, il numero degli sfol­lati nelle scuole dell’Onu è quat­tro volte supe­riore. Gaza è dav­vero unica tra le zone di con­flitto nel mondo, poi­ché altrove i civili hanno almeno la pos­si­bi­lità di attra­ver­sare la fron­tiera e met­tersi in salvo. Per i pale­sti­nesi di que­sto faz­zo­letto di terra invece non ci sono vie di fuga. I “fra­telli egi­ziani” ten­gono rigi­da­mente chiuso il valico di Rafah per impe­dire ai pale­sti­nesi di entrare nel Sinai.

Ogni punto di Gaza è ormai zona di guerra. Lo hanno capito i soprav­vis­suti all’attacco aereo di ieri pome­rig­gio nel mer­cato di Shu­jayea, gli sfol­lati che il 24 luglio erano nella scuola dell’Unrwa a Beit Hanun e quelli che ieri all’alba si tro­va­vano in un altro edi­fi­cio sco­la­stico delle Nazioni Unite a Jaba­liya.
Nulla può offrire pro­te­zione, nes­sun pale­sti­nese o stra­niero può pen­sare di sen­tirsi al sicuro quando ormai le bombe e le can­no­nate cadono ovun­que. Anche «per errore» e in ogni caso nelle zone col­pite, spiega ogni volta il por­ta­voce mili­tare israe­liano, c’erano sem­pre «ter­ro­ri­sti» che lan­cia­vano razzi o spa­ra­vano con­tro i soldati.

Nella scuola media per ragazze cen­trata da can­no­nate ieri all’alba, nes­suno degli sfol­lati ricorda di spari di mili­ziani di Hamas e di altre orga­niz­za­zioni armate con­tro le posta­zioni israe­liane. «Ad un certo punto abbiamo sen­tito che le esplo­sioni si face­vano più vicine», ci rac­con­tava ieri mat­tina Kamal Abu Odeh, di Beit Hanun, uno degli scam­pati all’attacco alla scuola, «quindi abbiamo deciso di spo­starci in un’altra aula costruita con il cemento armato, a dif­fe­renza di quella dove ci tro­va­vamo. Sono andato subito con tutta la mia famiglia.

Ad un certo punto un colpo di can­none è caduto sui gabi­netti della scuola e poco dopo un altro ha cen­trato in pieno l’aula che ave­vamo appena abban­do­nato. Den­tro c’erano ancora decine di per­sone. Ho visto gente fatta a pezzi». Almeno 20 sfol­lati sono rima­sti uccisi, altre decine feriti. Vit­time che si aggiun­gono alle cifre di una car­ne­fi­cina infi­nita. «A volte si rimane senza parole. Tutte le infor­ma­zioni mostrano che è stata l’artiglieria israe­liana. Abbiamo detto diverse volte a Israele che quella era una nostra scuola», com­menta un alto fun­zio­na­rio dell’Onu. E non manca l’inutile e ripe­ti­tiva con­danna degli Stati Uniti del bom­bar­da­mento che «ha ucciso e ferito dei pale­sti­nesi inno­centi, tra cui dei bam­bini, e col­pito alcuni dipen­denti delle Nazioni Unite». Washing­ton può dire basta a Israele e non lo fa.

All’ospedale «Kamal Adwan» di Jaba­liya, dove ci siamo recati per ten­tare di par­lare con alcune per­sone ferite nella scuola, abbiamo tro­vato un girone dell’inferno. In quella zona le stragi sono con­ti­nue, medici ed infer­mieri non hanno un attimo di sosta. Arri­vano in con­ti­nua­zione ambu­lanze, con a bordo per­sone squar­tate dalle esplo­sioni, corpi bru­ciati, car­bo­niz­zati, bam­bini che urlano per le ferite. Tutto nel caos cau­sato dalla stan­chezza e dall’elevato numero delle vit­time. Così è ovun­que nelle zone più vicine alle aree delle ope­ra­zioni israeliane.

Nes­suno, lo ripe­tiamo, può sen­tirsi sicuro. La sal­vezza? L’Esercito israe­liano offre ai pale­sti­nesi l’unica via d’uscita: diven­tare col­la­bo­ra­zio­ni­sti. Dopo il volan­tino numero 1 sgan­ciato dagli aerei, che qual­che giorno fa ripor­tava nomi e cognomi dei mili­ziani veri e pre­sunti di Hamas e Jihad che saranno eli­mi­nati molto pre­sto, il volan­tino numero 2 ieri ripor­tava un indi­rizzo elet­tro­nico, helpGaza(at)gmail.com, e un numero di tele­fono, 03 3769999, dove denun­ciare i mem­bri di Hamas e for­nire infor­ma­zioni sui gruppi armati.

Nep­pure il col­la­bo­ra­zio­ni­smo può sal­vare da bombe che ormai cadono ovun­que, sui mer­cati e sulle scuole.

Gaza: a che serve l’Europa? Fonte: Il Manifesto | Autore: Piero Bevilacqua

A che serve que­sta Europa? Ce lo siamo chie­sti in tanti, in que­sti ultimi anni, nei momenti di sco­ra­mento, di fronte all’ottusa rigi­dità con cui i ver­tici di Bru­xel­les affron­tano i pro­blemi eco­no­mici e finan­ziari dell’Unione sotto l’imperversare della crisi. Ce lo siamo chie­sto di fronte all’atteggiamento della Ger­ma­nia, che torna a per­se­guire con altri mezzi una poli­tica di supre­ma­zia, nono­stante abbia alle spalle la disfatta di due guerre mon­diali, la respon­sa­bi­lità recente del più grande mas­sa­cro dello storia.

Con­ti­nuiamo a chie­der­celo avendo rinun­ciato alla moneta e a tanta parte della nostra sovra­nità nazio­nale, senza aver con­se­guito un più soli­dale e inclu­dente governo del Continente.

Ma in que­sti giorni tor­niamo a chie­der­celo per una ben più tra­gica ragione. L’impotenza, peg­gio l’indifferenza, dei gruppi diri­genti dell’Ue, ragio­nieri ingob­biti a fare i conti del Pil, di fronte al mas­sa­cro del popolo palestinese.

Non una parola, una pro­po­sta, un ten­ta­tivo di solu­zione è stato bal­bet­tato dagli uomini di stato dei vari paesi euro­pei, che da decenni ten­gono in depo­sito i loro cer­velli presso la Segre­te­ria di Stato di Washing­ton. Ma non sono suf­fi­cienti i mille morti di Gaza, in gran­dis­sima mag­gio­ranza civili incol­pe­voli, fra cui tante donne e bam­bini, per sol­le­vare gli occhi dagli affari e guar­dare in fac­cia la tra­ge­dia? A che serve que­sta Europa senza pietà?

Angelo D’Orsi ha denun­ciato con giu­sto sde­gno il silen­zio e il «rove­sci­smo» degli intel­let­tuali (il mani­fe­sto del 22/7 ), su cui pesano gravi respon­sa­bi­lità, avendo il com­pito di spie­gare le ragioni com­plesse del con­flitto. Ma anche le opi­nioni pub­bli­che del Vec­chio Con­ti­nente appa­iono come nar­co­tiz­zate. Gli euro­pei osser­vano in tv le imma­gini del mas­sa­cro – quelle pie­to­sa­mente depu­rate da ciò che è inguar­da­bile – le case distrutte, le donne vestite di nero pie­tri­fi­cate dal dolore, i bam­bini san­gui­nanti tra le brac­cia dei padri dispe­rati. E tac­ciono. Che cosa è acca­duto? Quale sguardo di medusa ha gelato le loro menti? A che serve que­sta Europa?

Forse una par­ziale spie­ga­zione è alla nostra por­tata. I diri­genti di Israele sono riu­sciti a imporre gra­zie ai media occi­den­tali – rare volte capaci di una parola di verità – l’immagine di un con­flitto alla pari, di due con­ten­denti in lotta con uguali torti e ragioni. Addi­rit­tura la pro­pa­ganda mili­tare dell’esercito israe­liano viene tra­sfor­mata in verità auto­re­vole da pre­sti­giosi intel­let­tuali, i quali, per mestiere, dovreb­bero pen­sare alle parole prima di libe­rarle nell’aria. In una inter­vi­sta apparsa su Le Figaro e ripresa da Repub­blica (27 luglio) il filo­sofo fran­cese Alain Fin­kiel­kraut ram­menta che «se la civiltà dell’immagine non stesse distrug­gendo la com­pren­sione della guerra, nes­suno soster­rebbe che i bom­bar­da­menti sono rivolti con­tro i civili. No, gli israe­liani avver­tono gli abi­tanti di Gaza dei bom­bar­da­menti che stanno per fare».

Siamo dun­que ai bom­bar­da­menti uma­ni­tari. Nes­suna con­si­de­ra­zione per la distru­zione delle case di tanta misera gente, delle infra­strut­ture idri­che, delle strade, degli elet­tro­dotti, delle scuole, degli ospe­dali, del poco bestiame, dei poveri orti. Nes­sun ram­ma­rico per cen­ti­naia di migliaia di esseri umani get­tati in pochi giorni in una distesa informe di rovine. Ma il filo­sofo non sa e pro­ba­bil­mente non vuol saper che gli sms annun­ciano i bom­bar­da­menti con pochi minuti di anti­cipo, che spesso le fami­glie sono immerse nel sonno, che i bam­bini dor­mono igno­rando la fero­cia degli adulti e tar­dano a sve­gliarsi, che i dispe­rati non sanno dove rifu­giarsi una volta lasciate le loro case. E tut­ta­via il filo­sofo ha una rispo­sta a que­sta obie­zione: «E quando mi dicono che que­ste per­sone non hanno un posto dove andare, rispondo che i sot­ter­ra­nei di Gaza avreb­bero dovuto esser fatti per loro. Oggi ci sono delle stanze di cemento armato in ogni casa d’Israele». A che serve que­sta Europa se i suoi intel­let­tuali si met­tono il dop­pio­petto di tanta inco­sciente ferocia?

Forse qual­cuno dovrebbe ricor­dare a Fin­kiel­kraut un po’ di sto­ria. Dovrebbe ricor­dare che i pale­sti­nesi non sono un moderno stato, come Israele, dotato di uno dei più effi­cienti eser­citi del mondo, soste­nuto con ingenti aiuti da tutto l’Occidente. Sono un popolo disperso di rifu­giati, cac­ciati dalle loro terre, per­se­gui­tati talora dai popoli vicini, umi­liati dalla vio­lenza quo­ti­diana dell’occupante. I tun­nel sot­ter­ra­nei sono ser­viti ai pale­sti­nesi per rice­vere cibo e medi­ci­nali e per atti­vare un mer­cato clan­de­stino, visto che ben pre­sto Gaza è stato tra­sfor­mata dai gover­nanti israe­liani nel più grande ghetto della nostra epoca. Certo, anche le armi pas­sano nei sot­ter­ra­nei, ma ci si può stu­pire di que­sto? Israele dispone di un arma­mento ato­mico e si levano strida al cielo per­ché gruppi e fazioni di un popolo mar­to­riato da otre 60 anni tenti la carta dispe­rata delle armi?

I pale­sti­nesi dove­vano dun­que inve­stire in bun­ker per difen­dersi dall’immancabile castigo dal cielo, dal mare e dalla terra come già è acca­duto con la car­ne­fi­cina della cam­pa­gna «Piombo fuso» del 2008/09? Con quale one­stà, con quale dignità intel­let­tuale si pos­sono met­tere sullo stesso piano due oppo­sti estre­mi­smi? Pos­si­bile che nes­sun com­men­ta­tore, nes­sun gior­na­li­sta ricordi che sono stati i gover­nanti di Israele, è stato Ariel Sha­ron a lavo­rare ala­cre­mente per scon­fig­gere l’Autorità Nazio­nale Pale­sti­nese e get­tare il popolo pale­sti­nese in brac­cio ad Hamas? Chi ha disfatto gli accordi di Oslo, chi ha inau­gu­rato la pra­tica di spa­rare dal cielo con gli eli­cot­teri Apa­che e con i cac­cia F-16, chi ha esteso gli inse­dia­menti dei coloni nei ter­ri­tori pale­sti­nesi, chi ha avviato nel 2002 la costru­zione del «muro di sicu­rezza» in Cisgior­da­nia, chi ha rispo­sto ad ogni pro­vo­ca­zione ter­ro­ri­stica pro­ve­niente da Hamas con una vio­lenza dieci volte supe­riore, ma rivolta con­tro le forze e gli edi­fici di Yas­ser Arafat?

Chi ricorda le imma­gini del vec­chio lea­der umi­liato davanti al suo popolo, reso impo­tente agli occhi del mondo, rifu­giato nelle rovine del suo quar­tier gene­rale nel set­tem­bre del 2002? Chi ricorda le cro­na­che quo­ti­diane di quell’inizio di mil­len­nio con l’altalena di atten­tati ter­ro­ri­stici da una parte – che sem­bra­vano ispi­rati dallo stesso Israele, tanto gli tor­na­vano van­tag­giosi — e bom­bar­da­menti arei, la «puni­zione esem­plare» dall’altra?

Sha­ron e la destra israe­liana hanno per­se­guito siste­ma­ti­ca­mente la distru­zione delle rap­pre­sen­tanze mode­rate del popolo pale­sti­nese per far trion­fare l’estremismo indi­fen­di­bile di Hamas. Come avrebbe potuto que­sta for­ma­zione vin­cere le ele­zioni del gen­naio 2006, se non dopo l’umiliazione di un intero popolo, se non dopo che Israele ha mostrato ad esso che le poli­ti­che di media­zione dell’Anp non por­ta­vano a nulla?

Ma que­sto è uno dei mag­gior delitti com­piuti dai gover­nanti israe­liani negli ultimi anni: l’avere fatto iden­ti­fi­care agli occhi del mondo i diritti vio­lati e le immani sof­fe­renze di un popolo con le vel­leità impo­tenti di Hamas.

A che serve que­sta Europa se i suoi intel­let­tuali non sanno pen­sare con sguardo sto­rico, se si fer­mano all’oggi, se non get­tano luce sulle cause vicine e lon­tane dei pro­blemi, se sono così pro­clivi a cre­dere alla favola del lupo, costretto a bere l’acqua spor­cata dall’agnello?

Guar­dando al mondo dis­si­pa­tore e vio­lento costruito dai potenti negli ultimi decenni, George Stei­ner si è lasciato sfug­gire, pochi anni fa, un timore apo­ca­lit­tico. «Può darsi — ha scritto — che tutto fini­sca in un mas­sa­cro» Un bagno di san­gue gene­rale e defi­ni­tivo. A que­sto deso­lato timore noi oggi, di fronte al deserto morale di un intero con­ti­nente, pos­siamo asso­ciare una even­tua­lità certa: in quel caso gli intel­let­tuali euro­pei, prima di spa­rire, tro­ve­ranno una ras­si­cu­rante spie­ga­zione per tutto.
A che serve que­sta Europa?