– Riforme, la Resistenza tradita di DOMENICO GALLO


DOMENICO GALLO
– Riforme, la Resistenza tradita

Nella settimana appena iniziata si giocherà una partita decisiva per la Repubblica. Quel progetto di scompaginare l’architettura dei poteri come disegnata dai costituenti, che è stato il chiodo fisso della grande riforma propugnata da Berlusconi, sfociata nella riforma della II parte della Costituzione che il popolo italiano ha bocciato con il referendum del 25/26 giugno del 2006, sta per andare in porto con nuove forme e grazie ad un nuovo attore politico. Per quanto articolato diversamente, si tratta dello stesso progetto politico-istituzionale.

Esso si sviluppa su due fronti: la riforma elettorale e la riforma costituzionale. Questi due cantieri interagiscono fra loro e puntano a realizzare il medesimo obiettivo: cambiare i connotati alla democrazia italiana realizzando un sistema politico che il compianto prof. Elia qualificò come “premierato assoluto”. Quel sistema di pesi e contrappesi che i costituenti, memori dell’esperienza fascista, avevano delineato per scongiurare il pericolo della dittatura della maggioranza, sarà profondamente squilibrato per realizzare un nuovo modello istituzionale che persegue la concentrazione dei poteri nelle mani del capo dell’esecutivo, a scapito del Parlamento e delle istituzioni di garanzia.

Non ci sarà più la centralità del Parlamento, anzi il Parlamento sarà dimezzato con l’eliminazione di un suo ramo, poiché il nuovo Senato sarà sostanzialmente un ente inutile che non potrà interferire nell’indirizzo politico e legislativo. Dalla Camera dei deputati saranno espulse molte o quasi tutte le voci di opposizione, il Governo eserciterà un potere di supremazia sulla Camera attraverso l’istituto della tagliola e del voto bloccato. La minoranza che vincerà la lotteria elettorale, controllerà il Parlamento, si impadronirà facilmente del Presidente della Repubblica, eleggerà i 5 giudici costituzionali di competenza delle Camere ed influirà sulle nomine di competenza del Capo dello Stato.

Le istituzioni di garanzia formalmente resteranno in piedi ma saranno addomesticate per non disturbare il navigatore. Sarà sempre più difficile contestare scelte inaccettabili dell’esecutivo (si pensi al nucleare) attraverso il ricorso al referendum popolare, dato l’innalzamento a 800.000 della soglia delle firme necessarie. Le scelte che si faranno in questi giorni in Senato saranno cruciali perché la riforma del Senato è l’indispensabile presupposto della riforma elettorale e non saranno possibili modifiche quando ci sarà la seconda lettura. É questa l’ultima trincea dove si difende quel testamento di centomila morti che ci ha consegnato la Resistenza. Poche cose ci chiedono i nostri morti, diceva Calamandrei: non dobbiamo tradirli.

Domenico Gallo

(14 luglio 2014)

GAZA 180 MORTI E 1100 FERITI. LETTERA DI UN RABBINO: PERCHÉ NON MI SENTO NEUTRALE

LETTERA DI UN RABBINO: PERCHÉ NON MI SENTO NEUTRALE
Rabbi Neil Janes scrive a un amico israeliano
NEIL JAMES è Rabbino alla Sinagoga ebraica liberale. Sta studiando per conseguire un PhD in Pensiero ebraico con l’università di Haifa. Ha vissuto in Israele prima di tornare nel Regno Unito per il rabbinato congregazionale, dove è voce di punta dell’ebraismo progressista. Ha dedicato a un amico israeliano una lettera pubblicata da Haaretz, una risposta sul tema se sia possibile raggiungere un giudizio obiettivo sulla situazione a Israele e a Gaza.
Di seguito la sua lettera. di Neil James
Caro amico,
mi hanno detto che eri alla ricerca di informazioni obiettive su ciò che sta accadendo in Israele in questo momento, che volevi un parere “neutrale”. Sinceramente, è impossibile raggiungere un giudizio “neutrale”.
Si può comprendere qualcosa di questa regione a partire dallo sviluppo delle religioni abramiche, il legame con la terra di Israele, la storia antica della terra di Gerusalemme e ciò che questa città ha significato per migliaia di anni. Possono insegnarci qualcosa anche il legame degli ebrei con la terra e la connessione con la terra e la natura dell’identità araba, in particolare palestinese, e il suo legame con questo territorio. Possiamo poi comprendere questa regione a partire dalla storia mondiale – la natura del conflitto, il colonialismo e la fine dell’Impero Ottomano. Possiamo anche comprendere qualcosa attraverso la storia del pensiero politico, ivi inclusa l’ascesa del nazionalismo (non semplicemente di destra): lo sviluppo dell’idea dello Stato nazione e del diritto all’autodeterminazione dei popoli. Non dobbiamo dimenticare la storia contemporanea dello Stato di Israele, né ignorare la Shoah, la natura mutevole del potere occidentale, il diritto internazionale.
Ma tutto ciò non aggiunge nulla alla mia risposta.
Io credo appassionatamente alla ricerca della giustizia e della pace, all’eguaglianza per ogni uomo e alla necessità di sostenere sempre il rispetto dei diritti umani per tutti. Sono anche un ebreo e mi sento molto legato al destino del mio popolo. Sono al contempo universalista e particolarista, com’è proprio dell’identità del 21° secolo. Ciò significa che quando tre ragazzini ebrei vengono rapiti e assassinati solo per il fatto di essere ebrei, sento un profondo dolore. Il loro assassinio si riflette anche sulla mia identità di ebreo, perché non sono diverso da loro e se fosse capitato ai miei figli sarebbero probabilmente andati incontro alla stessa sorte.
Ma questo significa anche che provo un profondo dolore anche quando un ragazzino palestinese viene assassinato in quella che si suppone essere una vendetta. La letteratura ebraica insegna il valore della vita, non solo della vita ebrea. E sono disgustato dal fatto che un attacco di quel tipo possa essere stato sollecitato ed eseguito da ebrei. La vita è sia universale (fatta di valori, idee ed esperienze che si applicano in egual modo a tutto il genere umano) che particolare (in quanto ebreo ci sono cose che condivido con altri ebrei e con le loro famiglie).
Ma questo conflitto ha anche un’importanza esistenziale. Non posso essere “neutrale” quando c’è una volontà di annientare sia il mio popolo che la sua presenza nello Stato di Israele. Non posso essere neutrale quando si nega al popolo palestinese la legittima aspirazione a uno Stato quale espressione della propria autodeterminazione e lo Stato di Israele continua ad esercitare troppo potere sul destino di quel popolo.
Come posso essere neutrale, dato che sono i miei amici a cercare rifugio contro le bombe o lasciare i figli a casa quando vengono richiamati nell’esercito come riservisti? Come posso essere neutrale quando la perdita della vita è un trauma e una tragedia che viene inflitta sia agli israeliani che ai palestinesi – vittime di questo meccanismo di violenza e guerra?
Non posso essere neutrale quando l’unico fattore che impedisce agli attacchi indiscriminati con i razzi di lasciare dietro di sé danni e dolore è il fatto che Israele investe nella protezione dei propri cittadini.
Come posso essere neutrale, quando molti palestinesi innocenti vengono usati come scudi umani dal regime brutale di Hamas a Gaza, che penso sia più interessato a cancellare Israele dalla mappa geografica che a lottare per il suo popolo che spera nell’autodeterminazione? Come posso essere neutrale quando so che le voci dell’odio e della vendetta stanno acquisendo più forza tra gli israeliani ebrei e i palestinesi?
Non possiamo essere neutrali. La neutralità implica qualcosa di impossibile – un’assenza di valori, come se ci fossero semplicemente dei fatti “oggettivi” quando si tratta della vita umana. È così complicato, e ci sono così tante sfumature e grandi difficoltà nel leggere lo scenario che si sta profilando al momento.
E tuttavia, io continuo a lavorare per la pace, la giustizia, per una risoluzione del conflitto, per due Stati con confini sicuri. Continuo a impegnarmi per coltivare l’amore, l’empatia e il rispetto per gli altri esseri umani, ma capisco che è difficile farlo se si vive in mezzo al conflitto e non nel comfort di una casa nel Nord Est di Londra, come me.
Ecco il mio consiglio: leggi, rileggi, ascolta, ascolta veramente tutti, cerca di comprendere, fai un passo indietro e leggi ancora qualcosa. Non accettare risposte semplici a problemi complessi. Riconosci che non c’è una “versione” o “narrazione” che offra la verità obiettiva. Troppo spesso noi leggiamo solo materiale che conferma ciò di cui siamo già convinti: sforzati a dare differenti letture, a dare ascolto all’altra parte. Nelle parole di un buon amico e collega: “Oltre che leggere la realtà da diverse prospettive, abbiamo bisogno di comprendere che la verità non sta tra i diversi punti di vista – non stiamo sperando di raggiungere un compromesso tra due visioni della storia, ma piuttosto dobbiamo accettare che le narrazioni opposte sono entrambe parte di una verità complessa e costituita da molte voci”.
Infine, continua ad attenerti ai valori che un giorno, come io prego, trionferanno: la verità, la giustizia, la pace e l’amore.
Tuo,
Rabbino Neil Janes

La svolta che Renzi non vede Fonte: Il Manifesto | Autore: Gaetano Azzariti

Il rischio di una svolta auto­ri­ta­ria fa sor­ri­dere il nostro Pre­si­dente del Con­si­glio. Forse per­ché egli ritiene che sia un’accusa rivolta alla sua per­sona, e Mat­teo Renzi non si vede nelle vesti del dic­ta­tor romano. Non è dif­fi­cile dar­gli ragione: nes­sun Cesare si scorge all’orizzonte.

Ridu­cendo tutto ad una bat­tuta, però, non ci si avvede della sostanza del problema.

Se allora voles­simo discu­tere seria­mente della “svolta auto­ri­ta­ria” dovremmo rivol­gere l’attenzione alle più pro­fonde tra­sfor­ma­zioni che nel corso degli ultimi anni hanno riguar­dato l’assetto dei poteri e il modello di demo­cra­zia. È su que­sto ter­reno che si regi­stra un’involuzione di lungo periodo che non fa affatto sor­ri­dere, ma che spiega molto del pre­sente e delle poli­ti­che attuali.

Da tempo ormai gli stu­diosi hanno segna­lato il pas­sag­gio che ha por­tato la nostra demo­cra­zia rap­pre­sen­ta­tiva a con­for­marsi come “demo­cra­zia d’investitura”. Un modello che ha in sé con­no­tati auto­ri­tari e sconta una ridu­zione del plu­ra­li­smo sociale e poli­tico. A che vale negarlo? Per di più — anche que­sta è una con­sta­ta­zione ormai banale — le logi­che di un tale modello asfit­tico di demo­cra­zia sono state favo­rite nei tempi più recenti dall’estendersi della com­po­nente ple­bi­sci­ta­ria (ovvero, nella sua forma dege­ne­rata, popu­li­sta) entro i nostri sistemi poli­tici. Così si spie­gano tanti suc­cessi poli­tici repen­tini, costruiti sull’onda dell’emozione più che su quella della ragione. Per­ché non ammetterlo?

Anzi­ché negare l’evidenza var­rebbe la pena riflet­tere sui carat­teri di que­sta tor­sione delle demo­cra­zie per poi sce­gliere “da che parte stare”: se ope­rare per con­ser­vare e per­fe­zio­nare lo stato di cose esi­stenti, ovvero ten­tare di inver­tire la rotta.

Non è nep­pure dif­fi­cile cogliere gli ele­menti di fondo delle tra­sfor­ma­zioni in atto. Si pensi al ter­reno pro­pria­mente poli­tico ed isti­tu­zio­nale. Chi può negare, ad esem­pio, che l’intera sfera della poli­tica sia ormai ten­den­zial­mente ricon­dotta al solo momento elet­to­rale. E que­sto viene sem­pli­fi­cato, facendo astra­zione del suo con­te­nuto reale, ridu­cen­dolo ad un forma spet­ta­co­lare e un po’ tea­trale di duello, nep­pure più tra forze poli­ti­che, tra pro­grammi, bensì tra lea­der. Lotta tra capi che si iden­ti­fi­cano con un popolo e il cui cari­sma è legato all’immagine che essi rie­scono a tra­smet­tere di sé, non neces­sa­ria­mente invece a con­creti pro­grammi poli­tici di cam­bia­mento. Il cam­bia­mento — sem­mai ci sarà — avverrà dopo la vit­to­ria e sarà il lea­der a defi­nirne la dire­zione, legit­ti­mato da un voto alla per­sona che gli per­mette qua­lun­que scelta (in base al clas­sico prin­ci­pio iden­ti­ta­rio che attri­bui­sce al capo il ruolo di inter­prete della volontà del popolo). Per que­sto quel che conta non è garan­tire il plu­ra­li­smo, la rap­pre­sen­tanza reale degli inte­ressi sociali e cul­tu­rali, bensì esclu­si­va­mente la deci­sione e la pos­si­bi­lità di governare.

Al con­flitto e alle esi­genze di media­zione che la demo­cra­zia plu­ra­li­sta impone, con le con­se­guenti len­tezze per la ricerca del con­senso e del com­pro­messo tra le forze poli­ti­che, si con­trap­pon­gono la velo­cità e l’innovazione come valori in sé, come cate­go­rie post-politiche, se non diret­ta­mente anti-politiche.

Cam­bia­menti ener­gi­ca­mente cal­deg­giati, ma il cui con­te­nuto spe­ci­fico s’è ormai affran­cato dalla poli­tica intesa come rego­la­zione di inte­ressi entro una pro­spet­tiva di eman­ci­pa­zione com­ples­siva. Tra­sfor­ma­zioni che, per­lo­più, si limi­tano ad asse­con­dare le ten­denze in atto, libe­ra­mente inter­pre­tate da chi governa. Muta­menti che, in ogni caso, non hanno biso­gno di essere giu­sti­fi­cati: il distacco dalla società e dalla rap­pre­sen­tanza reale rende la poli­tica auto­suf­fi­ciente, comun­que in grado di gover­nare anche se espres­sione di una sem­pre più ridotta mino­ranza. Il potere si svin­cola sem­pre più dal con­senso della mag­gio­ranza dei con­so­ciati. Il popolo, reso spet­ta­tore, potrà assi­stere alla recita che la poli­tica dà di se stessa. Qual­cuno potrà applau­dire, altri scuo­tere il capo, magari anche indi­gnarsi, in ogni caso però è sul palco che va in scena la spet­ta­colo e dai log­gioni si può solo guardare.

Que­ste ten­denze di muta­zione pro­fonda delle nostre demo­cra­zie non sono recenti né limi­tate al nostro Paese. In Ita­lia, da almeno vent’anni assi­stiamo ad una pro­gres­siva ver­ti­ca­liz­za­zione del sistema poli­tico e isti­tu­zio­nale, ad una ridu­zione della rap­pre­sen­tanza. L’affermarsi del modello mag­gio­ri­ta­rio ne costi­tui­sce il suo esem­plare riflesso.

Se que­sto è il qua­dro dell’esistente osservo, sem­pli­ce­mente, che le grandi riforme annun­ciate, con la pre­di­spo­si­zione della nuova legge elet­to­rale iper­mag­gio­ri­ta­ria, accom­pa­gnata da una modi­fica della costi­tu­zione con­fusa, non­ché soste­nuta da un’ulteriore con­cen­tra­zione dei poteri nelle mani dell’esecutivo e, in par­ti­co­lare, del Pre­si­dente del Con­si­glio, si pon­gono in sostan­ziale con­ti­nuità con il pas­sato. Passi ulte­riori com­piuti nella dire­zione della costru­zione della con­tem­po­ra­nea “demo­cra­zia iden­ti­ta­ria”. Un esito cui si deve per­ve­nire, sem­pre che si voglia guar­dare al fondo dei pro­blemi e delle ten­denze in atto, senza fer­marsi invece alla super­fi­cie del cam­bia­mento mes­sia­ni­ca­mente annunciato.

Se si volesse pro­vare ad uscire dalla palude, segnando una solu­zione di con­ti­nuità con il pas­sato, dovremmo ricer­care solu­zioni ben più radi­cali e cri­ti­che rispetto alla nostra sto­ria recente. Dovremmo ricer­care una solu­zione di con­ti­nuità. Potremmo magari pro­vare ad aprire le porte alla rap­pre­sen­tanza reale, favo­rendo la par­te­ci­pa­zione e la cit­ta­di­nanza attiva. Scom­met­tere sulla com­ples­sità e non sulla sem­pli­fi­ca­zione della poli­tica (del suo lin­guag­gio, del suo ope­rare), valo­riz­zare il con­flitto come stru­mento per fare evol­vere la società e la cul­tura del plu­ra­li­smo e non stroz­zare ogni dif­fe­renza accu­sata di rap­pre­sen­tare solo un osta­colo al cam­bia­mento. Ma poi quale cambiamento?

ANPI news 128

ARGOMENTI

 

Notazioni del Presidente Nazionale ANPI, Carlo Smuraglia:

 

 

Occorre promuovere un risveglio della coscienza civile e della partecipazione, per poter garantire alle nuove generazioni un futuro migliore (a proposito di guerre, violenze, riforme, disuguaglianze e democrazia )

La nostra Associazione vive soprattutto di memoria (quella vera, che non  è solo un ricordo, ma molto di più) e del culto dei valori che ad essa si collegano e sono, a nostro modo di vedere, quelli che contano: la libertà, l’uguaglianza, la dignità, la solidarietà, la fratellanza, la pace, per citarne solo alcuni, i più salienti. Ma davanti a noi, in Italia e nel mondo, il panorama è addirittura sconvolgente.  Prevalgono, ovunque, i falsi valori e i falsi miti e, con loro, l’indifferenza, la rassegnazione, il silenzio. Accadono fatti gravi ed importanti, alcuni drammatici, ma la risposta è modesta e spesso addirittura carente. La stampa ci parla di una situazione tragica sulla striscia di Gaza e nei rapporti tra la Palestina e Israele che peggiorano e sembrano avviare questi Paesi verso un nuovo, terribile conflitto. E il mondo che fa? I giornali ci forniscono foto terrificanti, di distruzione e di morte di civili, di donne, di bambini; ci parlano di preparazione di invasione, di prospettive di guerra.

E il mondo, l’Europa, che fanno? (…)

ANPINEWS N.128