Trattativa. “Riina disse di rivendicare gli attentati come ‘Falange Armata’” da: antimafia duemila

riina-c-picture-alliance battaglia giaNel racconto del pentito Malvagna anche l’ipotetico incontro tra un carabiniere e la moglie di Provenzano

di Lorenzo Baldo – 27 giugno 2014 – Audio
Palermo.
“Nel corso della riunione di Enna fu deliberato o proposto da qualcuno di rivendicare l’azione da porre in essere (nuovi attentati, ndr) con qualche sigla?”. Il pm Roberto Tartaglia si rivolge al pentito Filippo Malvagna (arrestato nel marzo del ’93 e divenuto collaboratore di giustizia un anno dopo) che lo ascolta in videoconferenza da un sito riservato. Il nipote dell’ex boss Giuseppe Pulvirenti, detto “U Malpassotu”, risponde senza alcun tentennamento: “Sì, direttamente Salvatore Riina. Siccome si doveva fare un po’ di ‘confusione’, non si doveva capire da dove provenisse tutto questo terremoto. (Riina, ndr) disse di rivendicare qualsiasi cosa dicendo che chi metteva in atto queste cose faceva parte della ‘Falange Armata’”. E’ indubbiamente un fatto nuovo quello a cui si riferisce l’ex boss del clan catanese Pulvirenti-Santapaola. Nella nota riunione del gotha di Cosa Nostra, tenuta nella provincia di Enna nel dicembre del 1991, Riina aveva delineato la strategia stragista di attacco allo Stato. Mai però era uscita la notizia che fosse stato il capo di Cosa Nostra a dare l’indicazione di utilizzare la sigla “Falange Armata” negli attentati che da lì a poco si sarebbero realizzati. Chi avrebbe “suggerito” a Riina di adottare quella firma, e soprattutto perché? Malvagna prova a spiegarlo al pm: “Mio zio mi disse: ‘se zio Totò ha deciso così, vuol dire che sa quello che fa…”.

Il piano di destabilizzazione
Per comprendere meglio la portata criminale di quella sigla basta riprendere il decreto di rinvio a giudizio per gli imputati al processo trattativa nel quale il Gip Piergiorgio Morosini aveva evidenziato l’inquietante presenza della “Falange Armata”. “Dall’esame delle fonti indicate – aveva sottolineato Morosini – si ricavano elementi a sostegno di una ipotesi di esistenza di un progetto eversivo dell’ordine costituzionale, da perseguire attraverso una serie di attentati aventi per obiettivo vittime innocenti e alte cariche dello Stato, rivendicati dalla Falange Armata e compiuti con l’utilizzo di materiale bellico proveniente dai paesi dell’est dell’Europa”. Il Gip ribadiva: “nel perseguimento di questo progetto Cosa Nostra sarebbe alleata con consorterie di ‘diversa estrazione’, non solo di matrice mafiosa (in particolare sul versante catanese, calabrese e messinese). E nelle intese per dare forma a tale progetto sarebbero coinvolti ‘uomini cerniera’ tra crimine organizzato, eversione nera, ambienti deviati dei servizi di sicurezza e della massoneria”.

La profezia del mafioso
Non è certamente da sottovalutare il fatto che, fin dall’inizio della sua collaborazione, al pentito Malvagna, oltre alla piena attendibilità, è stata sempre riconosciuta un’intelligenza superiore alla media. Il suo racconto riaccende senza sbavature l’attenzione su uno scenario alquanto ibrido. Il nipote di “U Malpassotu” racconta che a fine ’93, mentre si trovava detenuto nel carcere “Bicocca” di Catania insieme a Marcello D’Agata (uno dei consiglieri del boss Nitto Santapaola), quest’ultimo gli aveva detto di non preoccuparsi che da lì a un paio d’anni “le cose sarebbero andate per il verso giusto”, il riferimento esplicito riguardava “attenuazioni del 41bis, indebolimento delle leggi sui collaboratori di giustizia e benefici per i carcerati”. “D’Agata – sottolinea Malvagna in videocollegamento – sosteneva che Forza Italia sarebbe stata la nostra salvezza e che queste notizie gli venivano da amici di Riina di Palermo”, e quindi bisognava votarla.

Provenzano si poteva pentire?
Con un salto nel passato il pm Tartaglia riprende alcune dichiarazioni di Filippo Malvagna, rese nel ’94, agli inizi della sua collaborazione, che riguardano una ipotetica collaborazione di Bernardo Provenzano. Malvagna ripercorre i momenti salienti di quella che, se fosse riscontrata, sarebbe l’ennesima dimostrazione di uno Stato-mafia. Il collaboratore racconta che nell’estate del 1992, probabilmente a cavallo tra le stragi di Capaci e Via D’Amelio, mentre si trovava in un ristorante a Palermo insieme ad alcuni suoi sodali catanesi e palermitani, era arrivato un maresciallo dei carabinieri al soldo di Cosa Nostra. Tale Cosimo Bonaccorso gli avrebbe consegnato un bigliettino nel quale era scritto il nome di un capitano dei carabinieri che si sarebbe dovuto incontrare con la moglie di Provenzano a fronte di una sua intenzione a collaborare con la giustizia. Nel foglietto, oltre al nominativo dell’ufficiale, veniva anche indicato il luogo dell’appuntamento. Malvagna sottolinea di essersi fatto una fotocopia del messaggio informando il boss Angelo Romano “che avrebbe avvertito subito Giovanni Brusca”, mentre Malvagna avrebbe provveduto ad informare i catanesi. Una volta rientrato a Catania il nipote di Pulvirenti avrebbe immediatamente informato suo zio. Successivamente si sarebbe svolta una riunione con altri esponenti mafiosi tra cui il fratello del boss Nitto Santapaola, Salvatore. “Alla riunione era presente anche Eugenio Galea (vice di Santapaola), quando raccontai la storia della moglie di Provenzano, mi dissero: ‘questo discorso è come se non è mai esistito’, ed io mi sono molto preoccupato. Poi mio cugino mi disse: ‘una cosa del genere non potrà mai succedere’, la reazione di tutti fu di sorpresa e di stizza…”. Sta di fatto che su quell’ipotetico incontro tra la moglie di Provenzano e il misterioso “capitano” dei Carabinieri non si è saputo più nulla. A detta dello stesso Malvagna il maresciallo Bonaccorso si sarebbe rivelato utile a Cosa Nostra già altre volte, in un’occasione avrebbe avvisato di un imminente operazione antimafia facendo così scappare un latitante.

L’asse Palermo-Catania
Il nipote di Pulvirenti traccia quindi un’asse tra Palermo e Catania raffigurando uno Stato che replica uno stesso identico atteggiamento: trattare. “Ci sono stati personaggi che cercavano dei contatti… personaggi che dicevano di essere dei servizi segreti che avevano fatto una proposta… che è stata mandata a Palermo e da Palermo ci è stato detto di lasciare perdere. (…) Questo avvicinamento c’è stato poco tempo dopo la strage di Borsellino, tra agosto e settembre del ‘92 – sottolinea il pentito –, un nostro affiliato, un certo Scorciatino Michele, tramite un suo cugino imprenditore, venne a riferire che c’era una persona che faceva parte delle istituzioni che voleva avere un contatto con Santapaola o con Pulvirenti… So che ci sono stati degli incontri tra Scorciatino Michele, Salvatore Grazioso (boss di Nicolosi, ndr) e loro dicevano che quest’uomo era dei Servizi Segreti… questa persona ebbe a dire loro che se il Santapaola e il Pulvirenti si fossero consegnati alla giustizia c’era la possibilità di fargli evitare il carcere duro, di fargli alleviare le condanne e dopo poco tempo fargli ottenere gli arresti domiciliari… questa proposta veniva direttamente dalla gerarchia delle istituzioni… per conto dello Stato”.

L’inizio e la fine
“Questo è solo l’inizio, ancora ne devono succedere di cose grosse…”. Filippo Malvagna riporta quindi la frase di suo zio ai giudici della Corte di Assise, “mio zio Pulvirenti me lo disse subito dopo la strage di Capaci…”. E così sarebbe stato. Sull’altare della trattativa sarebbero state sacrificate di fatto le vite di giudici, di uomini di scorta e di inermi cittadini.
Prossima udienza giovedì 3 luglio con l’audizione in videoconferenza del pentito Maurizio Avola.

Foto © picture alliance – Battaglia/Gia

Parlamento Europeo: Pablo Iglesias vs Martin Shultz Fonte: lista Tsipras | Autore: Pablo Iglesias

Il gruppo della Gauche Unitaire Européenne/Nordic Green Left (quello di cui fa parte L’Altra Europa con Tsipras) ha designato lo spagnolo Pablo Iglesias di Podemos. come proprio candidato alla presidenza del Parlamento Europeo contro la coalizione di socialisti e popolari.

La candidatura di Iglesias è alternativa a quella del tedesco Martin Shultz sostenuto dalla coalizione dei Socialisti e dei conservatori che hanno concordato l’alternanza alla presidenza tra due anni e mezzo.

La candidatra di Iglesias è un riconoscimento del successo di Podemos sulla scena politica spagnola e europea. Podemos ha aderito al gruppo della Sinistra Unitaria Europea-Sinistra Verde Nordica (GUE-NGL) solo due settimane fa. Più giovane di Shultz di quasi 25 anni, Iglesias cercherà di raccogliere il sostegno tra gli altri gruppi parlamentari e gli indipendenti in nome di un’ progetto europeo alternativo radicalmente contrapposto alle politiche economiche che stanno danneggiando e impoverendo i popoli dell’Europa meridionale.

Questa è la lettera con cui Iglesias spiega la sua candidatura.

Cari amici,
vi scrivo in qualità di candidato della Gauche Unitaire Européenne/Nordic Green Left alla presidenza del Parlamento.
L’eccezionale situazione politica odierna in Europa richiede una risposta eccezionale, e non il perdurare di politiche fallimentari. La lezione più importante che forse possiamo trarre dall’esito delle elezioni europee è che i cittadini europei hanno rigettato ovunque lo status quo. Si è preso atto che il modello economico neoliberista, basato sull’austerità, sui principi di libero mercato e sulla protezione ad ogni costo degli interessi finanziari, è responsabile della devastazione economica nei paesi periferici, in particolare nell’Europa del Sud, facendo piazza pulita delle faticose conquiste in materia di diritti sociali, principi democratici, eguaglianza e sovranità popolare.
Oggi noi tutti, membri eletti, abbiamo il dovere e la responsabilità di difendere tali conquiste, e fermare il modo in cui l’Europa viene governata alle spalle dei cittadini. Sappiamo tutti fin troppo bene che questi metodi non hanno funzionato: abbiamo un continente governato da un un gruppo auto-referenziale di élite finanziarie mentre la maggioranza della popolazione dei paesi meridionali continua a essere punita con la povertà, la diseguaglianza e la perdita di sovranità.
Abbiamo dinanzi a noi un’opportunità straordinaria per iniziare un nuovo capitolo di cambiamento politico, per difendere i nostri diritti sociali e per rendere il processo decisionale europeo più democratico e trasparente. Questa è la ragione della mia candidatura.
Mi appello a tutte le forze progressiste in Parlamento, e in particolare quelle elette nei paesi meridionali, Portogallo, Spagna, Italia, Grecia, Cipro, nonché Irlanda e Francia, in quanto conoscete la realtà delle conseguenze sociali ed economiche dei programmi di aggiustamento nei vostri stessi paesi.
L’austerità decisa da pochi ha falcidiato la democrazia, rovinato il tessuto sociale nei paesi meridionali e distrutto le norme di tutela del lavoro. Avete constatato che la sottomissione ai diktat della Troika è economicamente inefficiente e drammatica in relazione ai diritti umani e sociali e alla povertà.
Ora vi chiedo, avete intenzione di votare per i vostri paesi, per il vostro popolo, o di votare per lo status quo, per le stesse facce che ci hanno portato sull’orlo del baratro? Avete intenzione di schierarvi con la democrazia e di ascoltare la voce dell’elettorato che chiede giustizia sociale, o di schierarvi con i meccanismi fallimentari che tutti conosciamo fin troppo bene?
Grazie,
Pablo Iglesias

video conferenza stampa: http://www.guengl.eu/media-channel/video/pablo-iglesias-for-a-presidency-that-seeks-dignity-for-the-european-periphe

Strage di Viareggio, domani ricorre il quinto anniversario. “Per non dimenticare”da: controlacrisi.org

“Per non dimenticare”. Domani Viareggio celebrerà il quinto anniversario della strage ferroviaria del 29 giugno 2009, che provocò 32 vittime e numerosi feriti. In programma un corteo nel giorno della ricorrenza del disastro e alla vigilia del 28 giugno un concerto di solidarietà e sostegno “per la verità, la giustizia e la sicurezza” al Gran Teatro all’aperto Giacomo Puccini. L’incasso della serata sarà devoluto a favore dell’associazione “Il mondo che vorrei”, che raduna i familiari delle vittime. Alle 23.52, ora del disastro, del 29 giugno saranno letti i nomi delle 32 vittime. Venticinque furono i feriti.

Il quinto anniversario della strage cade mentre è in corso davanti al Tribunale di Lucca il processo che vede imputate 33 persone. Dopo quasi quattro anni di indagini, la prima udienza si è tenuta lo scorso 13 novembre: solo quattro gli imputati presenti, tutti addetti e dirigenti della Cima Riparazioni, una delle societa’ rinviate a giudizio. Erano assenti gli altri 29 imputati che fanno capo alle società Fs, Trenitalia, Rfi, Gatx Austria, Gatx Germania e Officina Junghental. Tra gli imputati c’è anche l’ex ad di Fs Mauro Moretti. Si prevedono tempi piuttosto lunghi prima di arrivare alla sentenza.

Quella sera di cinque anni fa
Il treno merci 50325 Trecate-Gricignano, con il suo convoglio di 14 carri cisterna contenenti gpl, deragliò per cause probabilmente legate al cedimento del carrello del primo carro cisterna, che trascinò fuori dai binari altri quattro carri. Solo dal primo carro, la cui cisterna viene perforata da un picchetto di tracciamento curva posizionato lungo la massicciata, fuoriuscì il gas gpl che al contatto con l’ossigeno e alla prima possibilita’ d’innesco s’incendiò.I danni furono immediati e 11 persone morirono in pochi minuti, investite dalle fiamme o travolte dal crollo degli edifici; altre due persone rimasero stroncate da infarto e decine ferite; di esse molte rimasero gravemente ustionate, e la maggior parte morì, molti anche a distanza di diverse settimane dall’evento. I due macchinisti rimasero indenni: dopo aver dato frenatura al convoglio si misero in salvo dietro ad un muro che li ha protetti dalla fiammata del gas innescato.

Il 12 giugno 2012 è stata approvata dal Senato la legge per Viareggio, il provvedimento relativo agli indennizzi per i parenti delle 32 vittime della strage alla stazione ferroviaria. Il provvedimento riguarda anche le persone conviventi. Il disegno di legge era stato presentato dai senatori del Pd Andrea Marcucci e Manuela Granaiola e dal senatore del Pdl Massimo Baldini. Con la legge per Viareggio, per la prima volta in Italia, è stata riconosciuta l’equiparazione tra convivente e coniuge.

Le indagini
I carri ferroviari, è emerso dalla ricostruzione delle indagini, con il gas furono instradati lungo il binario del raccordo interno che collega la raffineria Sarpom a San Martino di Trecate (Novara) alla rete ferroviaria convenzionale da FS Logistica,che prima avrebbe compiuto le operazioni di verifica della sicurezza dei 14 carri e alla Stazione di Novara sono stati agganciati al convoglio.

Le cisterne del convoglio, tra cui quella da dove è fuoriuscito il gas che ha innescato l’incendio, appartenevano alla multinazionale americana Gatx, poi date in locazione a Fs Logistica che ha utilizzato i carri per i servizi a Sarpom. I treni erano diretti a Gricignano di Aversa in provincia di Caserta, destinati all’Aversana Petroli.

La probabile causa dell’incidente è attribuibile al cedimento strutturale di un asse del carrello del primo carro-cisterna deragliato, che sarebbe stato corroso. C’e’ anche una foto che sembra confermare che l’incidente sia stato provocato dalla rottura dell’asse per fatica (cricca della boccola), dato che la sezione fratturata mostra la classica superficie ‘marezzata’ per il 90% della sua superficie. Questa modalita’ di rottura e’ tipica degli assili ferroviari e per prevenirla sono previste stringenti procedure cicliche di controllo, che nel caso di specie non sarebbero state rispettate.

La solidarietà dei macchinisti e l’assurda vicenda di Riccardo Antonini
Da cinque anni all’ora della tragedia, i macchinisti entrando in stazione lanciano un lungo fischio, sottolineando in questo modo la solidarietà della categoria. Solidarietà che si è concretizzata anche con il supporto di Riccardo Antonini, quale esperto di trasporto ferroviario, ai famigliari delle vittime nel corso delle varie battute dell’istruttoria. Riccardo Antonini per questa sua attività è stato licenziato da Mario Moretti.

REPORTAGE DALLA CRIMEA da: tutti i colori del rosso

di Gulietto Chiesa

 

Note sparse, di chi mancava dalla Crimea da tre anni. Vista quando era ancora Ucraina. Vista oggi è cosa molto diversa. Diversa sotto molti profili. Intanto questo: se dici che la Russia ha annesso la Crimea, ti rispondono, cortesemente, spesso sorridendo: “Siamo tornati a casa”. Se accenni alla guerra in corso nel Donbass, ti rispondono: “Se non avessimo fatto il referendum del 16 maggio [che vide la stragrande maggioranza degli elettori favorevole all’annesione della Crimea alla Russia – NdR], oggi la guerra sarebbe anche qui”.

Sono andato al confine con l’Ucraina. Uno dei due passaggi che restano aperti, che porta alla regione di Kherson. Tre mesi fa c’era un hotel, che adesso è rimasto intrappolato tra i reticolati di filo spinato. Un’immensa palude grigia, con le tende dei soldati che guardano le guardie di frontiera. Poche auto, qualche tir. Un chilometro prima di arrivare sull’avamposto c’è ancora un monumento: due cannoni dipinti di verde, entrambi su un basamento con una sola scritta: 1941-1945. I cannoni sono puntati verso l’Ucraina di oggi. Allora da quella parte arrivarono i tedeschi, accompagnati dalle Waffen SS di Stepan Bandera, i cui seguaci siedono oggi al governo di Kiev. Tutto dice che si è aperta una fase che sarà lunga e difficile. Il risultato del referendum è stato travolgente. Per molti anche inatteso. Indietro non si tornerà più. Per lo meno in un futuro prevedibile. La Crimea è di nuovo russa. Qui nessuno ne dubita. Ma i problemi ci sono.

Trasferire da uno Stato a un altro due milioni e mezzo di persone non è cosa semplice. Tutte le banche ucraine hanno tolto le tende. Il passaggio al rublo è in corso, ma richiederà tempo. Le carte Visa e Master Card non funzionano. Gli uffici postali pagano le pensioni, in rubli, ma gli scambi economici si divincolano a fatica. Sulle macchinette che distribuiscono bevande c’è scritto, sulla bandiera tricolore russa: “qui potete mettere i rubli”. Ma intanto l’Europa ha fatto sapere che non concederà vistid’ingresso a passaporti dove c’è scritto “residente in Crimea”. Dunque adesso sono cittadini russi, ma discriminati dall’Ue: vendetta per punirli di avere votato contro Kiev. Gli ucraini di Crimea, i “non russi”, sono in gran parte rimasti. Le loro proprietà sono state rispettate, non hanno perso il loro lavoro. Dunque perché andarsene? Solo gli oligarchi ucraini sono scappati e i loro beni sono stati sequestrati e nazionalizzati. Nel tripudio generale.

Meno entusiasmante l’atteggiamento dei tatàri. Il loro vertice politico, Kurultai, ha gradito poco il “ritorno in Russia”. Kiev aveva lasciato spazio libero alle occupazioni delle terre”. Anche in funzione anti-russa. Adesso temono restrizioni. In viaggio da Simferopoli a Sebastopoli si vedono centinaia, anzi migliaia di casette finte, incomplete, appena tratteggiate. E l’usucapione di massa. “Dopo” verranno costruite sul serio, dai discendenti. Per ora si occupa il territorio. E’ la strategia dei tatari, anche questa è una specie di vendetta. In fondo a deportare i loro nonni furono i sovietici. E i sovietici sono russi, per loro. E non hanno neanche tutti i torti, sebbene i loro nonni ne abbiano avuti non pochi.

Ma una cosa è certa, anche per loro: Putin farà scorrere fiumi di denaro per trasformare questa Crimea in una vetrina. Anche a loro toccherà una parte del ben di Dio. Dunque se ne stanno nelle loro case, attorno alle piccole moschee che punteggiano il panorama attorno a Simferopoli, abbastanza tranquilli. Hanno votato anche loro in molti per il “ritorno in Russia”. Ma bisogna anche dire che i 23 anni “ucraini”, paradossalmente, hanno lasciato intatte molte cose del passato sovietico.

La Crimea appare, a prima vista, come mediamente “più sovietica” della stessa Russia. Qui le strade sono ancora piene di buche e delle Zhigulì e delle Lada. Il turismo è ancora quello dei tempi sovietici. La corruzione ucraina non è stata seconda a quella russa. E ora, quando a settembre ci saranno le elezioni per il nuovo parlamento e gli organi del governo locale, si tratterà di vedere se i crimeani sapranno fermare gli affaristi moscoviti che arriveranno in cerca delle loro fette di torta. Ho tenuto un’affollata conferenza in quello che oggi è il Museo di Tauride. Ottimo museo, collocato nell’edificio, sulla Via Gogol, che fu un tempo sede del Comitato di partito di Simferopoli. Rimasto tale e quale come allora. Il direttore, cortese, mi mostra sorridendo il suo attuale ufficio: era lo studio del Segretario cittadino del Pcus. Stesse pareti rivestite di legno chiaro, stesse poltrone, un po’ lise, stesso odore di socialismo reale. Adesso tutti parlano di modernizzazione, ma non sarà una passeggiata.

Sulla strada per Sebastopoli scorrono i panorami splendidi di una terra ancora in gran parte non coltivata. C’è spazio per altri tre milioni di contadini. Ma l’accompagnatrice mi guarda con aria di rimprovero. “Ma che dice? A noi piacciono i grandi spazi liberi!” Ha ragione lei, penso. E penso anche che quelli di Kiev si sono sparati sui piedi perdendo questa terra davvero meravigliosa. Sebastopoli è un gioiello, ancora tutto ottocentesco. Guai a toccarlo! Un grande edificio in vetrocemento è stato costruito proprio davanti al porto, sollevando proteste di tutta la popolazione. Adesso l’oligarca che lo ha voluto è scappato a Kiev. Ma una cosa è evidente. Qui la Russia c’è sempre stata e non se n’è mai andata. C’era la Flotta e c’è ancora. C’era la storia russa, tutta intera: quella degli zar, quella sovietica. C’era la letteratura russa, di Lev Tolstoi, di Pushkin, di Cekhov. E adesso è pieno di bandiere nazionali russe. Ce ne sono di più di quelle – americane s’intende- che sventolano a Washington.

Qui è venuto, il 9 maggio, il presidente Putin, a posare la corona di fiori al monumento dei caduti russi e ucraini della Grande Guerra Patriottica. E, non a caso, la statua dell’Ammiraglio Nakhimov che si erge al centro della piazza omonima, nel quartiere di Balaklava, gloria della Russia intera, sta proprio di fronte all’arcigno monumento della vittoria sul nazismo. Sul lungomare la gente mangia tranquillamente i “plombir”, i gelati al latte dell’epoca sovietica, invariati, e beve coca cola.

Si vendono magliette che inneggiano alla Russia e a Putin. Passano le navette per turisti, per adesso solo russi, ma si aspettano gli occidentali. Comunque finisca la crisi ucraina (e si spera che finisca), da qui la Russia non tornerà più indietro. Questa è l’unica cosa certa in questa storia piena di incertezze. I tre ubriaconi che firmarono il patto della Beloveshkaja Puscha, la notte dell’8 dicembre 1991, nel quale proclamavano, tra una vodka e l’altra, che “l’entità un tempo nota come Unione Sovietica non esisteva più”, non si resero conto che sollevavano onde che sarebbero arrivate a riva molti anni, anzi decenni, dopo di loro. Si chiamavano Eltsin, Kravchuk,Sushkevic, ma chi se li ricorda più?