La lettera aperta di Mussi a Migliore e a chi vuole uscire da Sel da: il manifesto

Sinistra e libertà. La lettera aperta di Fabio Mussi a Migliore, Di Salvo, Fava e quanti sono con loro o intendano seguirli

Cari Gen­naro, Titti, Clau­dio, e cari com­pa­gni che avete lasciato Sel o che medi­tate di farlo,

non vi dico delle tele­fo­nate, della delu­sione, dello sgo­mento. Lo sapete cer­ta­mente. In que­ste ore dif­fi­cili non smette di girarmi per la testa la nota frase di Tal­ley­rand: “E’ più che un cri­mine, è un errore”. Cri­mine no, siamo in tempi di scelte poli­ti­che libere, non esi­stono fedeltà e tra­di­menti, e il senso di comu­nità e appar­te­nenza ognuno libe­ra­mente lo gra­dua. Ma un errore sì, un errore grave, anche dal punto di vista degli argo­menti vostri.

Non posso dav­vero cre­dere che la ragione sca­te­nante di una così pesante deci­sione sia que­sta o quella frase pro­nun­ciata da Ven­dola o da chic­ches­sia. Farei torto alla vostra intel­li­genza e alla vostra espe­rienza. La que­stione che è sul tavolo, come voi stessi affer­mate, ha nome e cognome: si chiama Pd e governo.

Non trovo legit­timo rap­pre­sen­tare Sel come un covo di estre­mi­sti; trovo legit­timo pro­porre che Sel sostenga il governo Renzi, e magari con­flui­sca nel Pd.

Il “renzismo non è l’alfa e l’omega di tutte le italiane sinistre

Non lo con­di­vido, ma capi­sco si possa pen­sare che ciò cam­bie­rebbe qual­cosa negli assetti poli­tici ita­liani. Credo che cam­bie­rebbe poco o niente, se restasse l’asse tra Pd e Ncd di Alfano, e penso anche che il “ren­zi­smo” non sia desti­nato a con­te­nere l’Alfa e l’Omega di tutte le ita­liane sini­stre tran­sa­tlan­ti­che. Mi sarebbe pia­ciuto discu­terne aper­ta­mente, magari sul testo di una qual­che mozione pre­sen­tata al nostro recente Con­gresso. L’avrei con­tra­stata, comun­que l’avrei rite­nuta e la ritengo una posi­zione legittima.

Ma voi, cari com­pa­gni, avete fatto tutt’altro: tra­sfor­mando una nor­male valu­ta­zione del gruppo su un prov­ve­di­mento (il decreto degli 80 euro) in un’Autodafè, avete inne­scato un esodo di par­la­men­tari verso la mag­gio­ranza. E alla Camera, dove i numeri – anche gra­zie al pre­mio di mag­gio­ranza che esat­ta­mente i voti di Sel fecero scat­tare — sono per il governo abbondantissimi.

Il vostro sostegno al Pd è politicamente ininfluente

A parte la tri­stezza per il Ritorno del Sem­pre Uguale, nella poli­tica e nella sini­stra ita­liana, il fatto è poli­ti­ca­mente inin­fluente. Che senso ha? Il risul­tato più pro­ba­bile è che con­tino zero quelli che vanno. E quelli che restano.

Di più: ho l’impressione che il Pd sia da que­sta mossa più imba­raz­zato che entu­sia­sta, e non solo nella sua ala sinistra.

Un errore poli­tico. Una mossa priva di senso politico.

La legi­sla­tura durerà pro­ba­bil­mente fino al 2018. C’è tempo. Non siamo, certo, in que­sti anni, riu­sciti a costruire la sini­stra che vole­vamo. Ma Sel ha più di un milione di voti, più di 40 par­la­men­tari, tanti valenti ammi­ni­stra­tori locali (e nes­suno ha dimen­ti­cato il con­tri­buto nostro alla scelta e alla ele­zione di Pisa­pia, Doria, Zedda) che hanno aggiunto valore alla bat­ta­glia del cen­tro­si­ni­stra. Abbiamo aperto una inter­lo­cu­zione con mondi impor­tanti par­te­ci­pando alla impresa della lista “L’Altra Europa per Tsi­pras” (che ha fatto il quo­rum). Uniti pos­siamo eser­ci­tare una fun­zione, stando all’opposizione, con testa e cul­tura di governo (ma ça va sans dire, ver­rebbe da sot­to­li­neare ad uno che viene dalla sto­ria mia e di molti di voi). Votando a favore di quel che ci piace e con­tro quello che non ci piace. Potendo infine trarre un bilan­cio più serio e medi­tato dell’azione del governo e del Pd nuova gestione.
Tanto più che, quando si for­mano par­titi “della Nazione”, per il bene della Nazione mede­sima, qua­lora non ce ne fos­sero, biso­gne­rebbe subito fon­darne altri: l’opposizione è una fun­zione essen­ziale del governo demo­cra­tico delle Nazioni.

E’ vero che “solo i cretini non cambiano mai idea”, ma è vero anche che bisogna resistere almeno un po’ alla tentazione di cambiarla troppo spesso

Per quanto mi riguarda i risul­tati della legi­sla­tura si misu­re­ranno su tre assi: occu­pa­zione e diritti del lavoro; livello di dise­gua­glianza; con­di­zioni eti­che e demo­cra­ti­che della Repub­blica. Pas­sai all’opposizione dei Ds quando Blair ne diventò la stella polare (e non vi dico il mio sba­lor­di­mento nel veder­melo riven­duto vent’anni dopo come l’ultima novità, per­sino dopo i bei risul­tati in Iraq).

Non ade­rii, con molti altri, al Pd, par­tendo dall’idea che è neces­sa­rio eser­ci­tare una più alta cri­tica della glo­ba­liz­za­zione e del capi­ta­li­smo finan­zia­riz­zato (ed era­vamo alla vigi­lia della grande crisi che ha inve­stito il mondo come una tem­pe­sta, e ripor­tato l’Italia trent’anni indietro).

E’ vero che “solo i cre­tini non cam­biano mai idea”, ma è vero anche che biso­gna resi­stere almeno un po’ alla ten­ta­zione di cam­biarla troppo spesso. Ma ora biso­gna darsi il tempo, agendo, di poter meglio valu­tare. Usando e non disper­dendo la forza, per quanto pic­cola, di cui disponiamo.

Posso spe­rare di con­vin­cervi a pren­dere almeno una pic­cola pausa di riflessione?

Vostro

Fabio Mussi

Testo apparso sul sito di Sini­stra eco­lo­gia e libertà sabato 21 giu­gno 2014

Milano crocevia della tratta per l’Europa da: il manifesto

Giornata internazionale del rifugiato. Guardati da via Albini ministri e scafisti appaiono molto simili: sia gli uni che gli altri gestiscono le frontiere: i primi decidono gli ostacoli per gli ingressi, i passeur mettono i mezzi per superarli. E il «traffico di profughi» diventa un business

Quando arri­viamo davanti al distri­bu­tore auto­ma­tico di bibite all’incrocio con via Aldini, abbiamo la sen­sa­zione di aver inter­rotto una discus­sione impor­tante. La trat­ta­tiva che è in corso lì den­tro è di quelle serie. Sul piatto ci sono le spe­ranze di intere fami­glie. Si parla di con­fini e di bloc­chi alle fron­tiere ma non siamo a Bru­xel­less e non si tratta dei pugni che Renzi e Alfano dovreb­bero sbat­tere sul tavolo dell’Unione Euro­pea. Siamo sul ciglio di una strada di Milano e in quei pochi metri qua­drati si deci­dono vera­mente le strade dei pro­fu­ghi in Europa. Le stesse scene si ripe­te­ranno qual­che ora più tardi, nel cuore della notte, ai bordi delle strade, in maniera molto più pla­teale.
È così che fiumi di parole della poli­tica si tra­sfor­mano in carta strac­cia. In quella trat­ta­tiva nep­pure tanto nasco­sta c’è tutta l’ipocrisia delle poli­ti­che euro­pee sull’immigrazione. Guar­dati da que­sta ango­la­zione i mini­stri e i traf­fi­canti sem­brano molto simili. Sia gli uni che gli altri discu­tono dei modi per gestire le fron­tiere. I primi deci­dono il per­corso ad osta­coli, i secondi ci met­tono l’auto per supe­rarli. A nes­suno inte­ressa gran­ché del diritto dei migranti di sce­gliere dove andare.
È la sto­ria di ogni notte in via Aldini, davanti al cen­tro di acco­glienza del «Pro­getto Arca», che con il Comune sta gestendo «l’emergenza siriani». Capan­nelli di gente che per­fe­zio­nano accordi già presi qual­che ora prima, baga­gliai aperti cari­chi di vali­gie, qual­che saluto ed un po’ di dif­fi­denza mista a paura. In quella via le norme euro­pee, quel fasti­dioso rego­la­mento Dublino che ingab­bia i richie­denti asilo nel primo paese di approdo, cadono sotto i colpi dell’inarrestabile desi­de­rio di ricon­giun­gersi ai parenti, di lasciare l’Italia che poco ha da offrire dopo aver abban­do­nato la Siria, la Tur­chia, l’Egitto e poi la Libia, che da offrire ave­vano invece solo morte. Ed anche qui, così come nel con­ti­nente afri­cano, tutto ha un prezzo. Ma men­tre nel Canale di Sici­lia si pro­clama una guerra in nome della lotta ai traf­fi­canti, con tanto di pat­tu­glia­menti e con­trolli radar, a Milano non ci sono inse­gui­menti, spa­ra­to­rie o arre­sti. Qui sul traf­fico di essere umani non viene spesa nep­pure una parola. Da que­ste parti gli sca­fi­sti su strada, anzi, risul­tano utili, per­ché garan­ti­scono la decon­ge­stione dei cen­tri ita­liani e un note­vole rispar­mio di risorse. Non si illu­dano i lega­li­tari, per­ché fer­mare i pas­seur non baste­rebbe comun­que a bloc­care le tra­iet­to­rie di chi fugge. Ma se que­sto pas­sag­gio avve­nisse alla luce l’Europa sem­bre­rebbe certo qual­cosa di più di un agglo­me­rato di egoi­smi nazio­nali. I migranti, in ogni caso, a pre­scin­dere da Alfano, Bar­roso e Dublino III, le fron­tiere le attra­ver­sano eccome e lo fanno pagando. Anche per loro i traf­fi­canti sono utili davanti all’imperdonabile ipo­cri­sia euro­pea. Il tarif­fa­rio può oscil­lare tra i 500 ed i 1.000 euro a per­sona per rag­giun­gere la Ger­ma­nia, tra i 1.000 ed i 2.000 per la più ambita Sve­zia. Qual­cuno fa il furbo e non ti porta a desti­na­zione, come è capi­tato qual­che giorno fa ad una fami­glia lasciata sul ciglio della strada in zona Varese, o ad una donna che ha pagato per lei e suo figlio ma poi ha visto scom­pa­rire il pas­seur die­tro l’angolo. Ma anche que­sti rischi fanno parte della sfida, e il mer­cato non si ferma.
Verso la fine del 2013 i respin­gi­menti alla fron­tiera erano fre­quenti. In Sici­lia veni­vano prese le impronte digi­tali a chi sbar­cava dalle navi di «Mare Nostrum» e tutto risul­tava più dif­fi­cile, poi, dopo un periodo più mor­bido, in que­sti ultimi mesi, le fron­tiere verso la Sviz­zera e l’Austria, quelle fer­ro­via­rie, sono tor­nate ad essere pres­so­ché impra­ti­ca­bili. Ma se si parte in mac­china e ci si muove verso la Fran­cia tutto diventa più sem­plice. Chi è qui è dispo­sto a pagare prezzi da capo­giro: due­mila, tre­mila euro per un’intera famiglia.

Hanno speso tanto per rag­giun­gere Milano, ora vogliono arri­vare fino in fondo, a qual­siasi costo. C’è anche chi, più sfor­tu­nato, ha dovuto lasciare le impronte digi­tali nei cen­tri del sud, altri invece hanno già in tasca un’espulsione di un paese euro­peo. Per loro tutto è diven­tato più dif­fi­cile ma non demor­dono. Chi non ha con sé il denaro, se lo fa spe­dire dai parenti. Il desi­de­rio più grande, che è insieme anche una pre­oc­cu­pa­zione, è quello di far tor­nare a stu­diare i bam­bini, grandi e pic­coli. Occorre qual­che giorno per tro­vare un pre­sta­nome che ritiri il denaro da uno dei tanti Money Trans­fer del capo­luogo lom­bardo e tutta la rigida mac­china del con­fine diventa imme­dia­ta­mente più fluida, per­mea­bile, lasciando sullo sfondo la sen­sa­zione che ogni ope­ra­zione di con­trollo, ogni irri­gi­di­mento dei dispo­si­tivi for­mali della fron­tiera, ogni reto­rica sulla chiu­sura dei con­fini, non ser­vano ad altro che ad alzare le quo­ta­zioni di un posto verso la meta, a deci­dere il grado di dif­fi­coltà del viag­gio.
Così il «dio denaro» si è rita­gliato la sua parte anche in que­sta ultima «emer­genza». E a Milano, in que­ste notti di giu­gno, così come ormai avviene da otto­bre, la libertà è a paga­mento e si con­tratta agli angoli delle strade.

Pdci, situazione critica. Il Comitato centrale non scioglie i nodi. Non esclusi altri clamorosi sviluppi Autore: fabrizio salvatori da: controlacrisi.org

Sempre più critica la situazione nel PdCI. Il Comitato Centrale di domenica scorsa ha infatti sancito una profonda crisi di direzione politica del Partito: sarebbero almeno sette i membri della segreteria nazionale che si sono dimessi dopo aver, invano, richiesto l’azzeramento degli organismi dirigenti a seguito del risultato delle elezioni europee ed amministrative. A prevalere con 46 voti sarebbe stata la proposta del Segretario Procaccini, contro i 34 della composita opposizione venutasi a costituire in queste settimane. Alla conferenza d’organizzazione convocata potrebbero tuttavia non partecipare alcune importanti federazioni: dopo le prime fuoriuscite su Roma e Milano, non sono da escludersi, infatti, clamorosi sviluppi nelle prossime ore.
La presidentessa del Comitato Centrale Manuela Palermi, sul suo profilo facebook, non ha smorzato le polemiche, riaccendendo la disputa e accusando la «parte minoritaria» che ha avanzato la richieste di dimissioni della segreteria nazionale di aver chiesto «un po’ troppo per quel che rappresenta». Positivo, a suo avviso, l’«esame delle elezioni territoriali»: «devo dire che siamo andati piuttosto bene». “L’esclusione del Pdci dalla lista Tsipras . si legge nel documento finale – non elimina la necessità di un fronte unitario della sinistra, anzi l’esito elettorale complessivo va analizzato in profondità perché a differenza di altri stati europei in Italia la sinistra, seppure dopo anni riesca ad eleggere per un soffio, rischia di non avere nessuna autonomia. Come pure va approfondito il dato delle amministrative, dove il Pdci era impegnato in coalizioni di sinistra, di centro sinistra e in alcuni casi si è presentato da solo. Impossibile affermare che una scelta sia stata premiata sull’altra, più realisticamente si può invece affermare che il nostro Partito ha raggiunto importanti risultati la dove esiste una struttura organizzata e legata ai cittadini, mentre dove abbiamo una marginalità complessiva politica e organizzativa i risultati sono stati insufficienti”.Il Pdci parteciperà sulla base della propria piattaforma presentata durante la campagna per le elezioni europee alle iniziative unitarie contro la politica della Ue e del Governo Renzi, ad iniziare dalla manifestazione del prossimo 28 giugno a Roma.
Il Comitato centrale, infine, impegna tutte le organizzazioni del Partito a convocare assemblee aperte, a intensificare il tesseramento, il reclutamento e l’autofinanziamento del Partito.
“In questo anno 2014 (difficilissimo per i lavoratori e la democrazia) ricorrono anniversari di dirigenti comunisti importantissim – conclude il documento -: Lenin, Togliatti, Berlinguer; noi partito sicuramente piccolo, ma continuatori nelle odierne condizioni di quella grande storia, abbiamo il dovere di non arrenderci di fronte alle difficoltà”.

Fiat-Maserati, la ritorsione di Marchionne non spaventa la Fiom: “Inaccettabile”Autore: fabrizio salvatori da: controlacrisi.org

Sergio Marchionne non ci sta. Dopo la decisione dei sindacati firmatari degli accordi, Fim, Uilm, Fismic, Ugl e Quadri, di bloccare gli straordinari negli stabilimenti del gruppo per spingere il rinnovo del contratto aziendale, ora l’azienda ha deciso di cancellare direttamente tutti gli straordinari. La decisione arriva dopo la pubblicazione di una lettera dello stesso ad Marchionne sulla Stampa di Torino nella quale polemizzava non tanto contro la protesta dei sindacati “firmatari”, quanto contro lo sciopero della Fiom alla Maserati.

Secondo Marchionne la sfida della competitività della neonata Fca non può tollerare alcun conflitto, né scioperi, né proteste sugli orari di lavoro. Il risultato, che suona quasi come una sorta di ritorsione, è dunque il blocco generalizzato degli straordinari e la sospensione del trasferimento di 500 operai di Mirafiori nel sito di Grugliasco. “Le parole di Marchionne sono inaccettabili perche’ e’ una reazione smisurata. Sembra che si voglia negare in via di principio che, in un’azienda dove c’e’ lavoro, ci possano essere problemi e che questi possano generare iniziative sindacali”, dichiara il segretario generale della Fiom torinese, Federico Bellono.

“Non ci sentiamo direttamente chiamati in causa, sembra un avvertimento indirizzato a tutti coloro che potrebbero mettere in campo iniziative alla Maserati o in altri stabilimenti. E’ una visione non moderna dei rapporti di lavoro”, aggiunge Bellono. “La Fiat – osserva – ha preso un granchio in questi anni nel tentativo di impedire l’esistenza della Fiom negli stabilimenti, sarebbe auspicabile che non facesse un errore altrettanto grave fingendo di ignorare i problemi laddove ci sono, come e’ normale che ci siano. Sarebbe utile che il mondo politico intervenisse sulla questione perche’ si sta sempre piu’ allargando al di la’ del mondo Fiat l’idea secondo cui esistono solo gli obiettivi dell’azienda e scompaiono le esigenze e i diritti dei lavoratori”. Intanto, tra i sindacati firmatari, che pochi giorni fa aveva rotto il tavolo delle trattative di fronte alla inadeguatezza delle offerte della Fiat sul salario accessorio, c’è già chi pensa, come la Uil, di tornare ad asssumere “un comportamento responsabile”.

Nelle stesse ore l’amministratore delegato del Lingotto conferma, a Londra, che la quotazione di Fiat Chrysler Automobiles a Wall Street sara’ entro la prima meta’ di ottobre. La tabella di marcia del gruppo procede quindi secondo i tempi stabiliti: entro luglio l’assemblea straordinaria a Torino sulla fusione, poi lo sbarco in Borsa negli Usa. Marchionne, che lavorera’ per convincere gli investitori americani della storia della ‘Cenerentola’ Chrysler, punta a vendere i titoli del Tesoro americano in portafoglio e il 2,5% di Cnh Industrial con un incasso stimato di circa 820 milioni di dollari.

Fuori i primi, Sel si spacca Fonte: Il Manifesto | Autore: Daniela Preziosi

Alla fine della gior­nata, «il giorno più dif­fi­cile, una comu­nità si spacca» dice Nichi Ven­dola, saranno in quat­tro i ’fuo­riu­sciti’. Tutti depu­tati, ’soci fon­da­tori’ di Sel. Clau­dio Fava, vice­pre­si­dente della com­mis­sione anti­ma­fia, Titti Di Salvo, vice­pre­si­dente del gruppo, Ileana Piaz­zoni, pasio­na­ria pro Schulz, e natu­ral­mente Gen­naro Migliore, il capo­fila. Nella notte di mar­tedì aveva ras­se­gnato «dimis­sioni irre­vo­ca­bili» da capo­gruppo alla camera. Una vita accanto prima a Ber­ti­notti, poi a Nichi Ven­dola. Dal ’91, la nascita di Rifon­da­zione, una serie di scis­sioni subite: nel ’94 quella dei comu­ni­sti uni­tari, nel ’98 quella dei comu­ni­sti ita­liani; nel 2009 è il nucleo di Sel a lasciare il Prc per fon­dare una sini­stra che guarda al cen­tro­si­ni­stra. Oggi tocca a lui stare dalla parte del torto. Lo scrive in una let­tera a Ven­dola, prima che inizi la segre­te­ria con­vo­cata pro­prio sulle sue dimis­sioni. «Ieri è stata messa in discus­sione non l’espressione di un punto di vista diverso, ma la deon­to­lo­gia di una posi­zione in seno a una comu­nità poli­tica: il “seque­stro della linea”, appunto. Per me si è rotto un vin­colo di fidu­cia». Con­ti­nua: «Non è giu­sto che tale fibril­la­zione per­ma­nente diso­rienti i mili­tanti, che sono la prima risorsa di Sel». Ma «non è nem­meno giu­sto che la mia posi­zione venga descritta come quella di un sabo­ta­tore». Riven­dica la sua «lealtà» ma ormai è meglio il divor­zio, «prima che alla pros­sima occa­sione di dis­senso riparta il pro­cesso media­tiz­zato e le accuse di seque­strare la linea».La segre­te­ria si svolge comun­que, è lì che Di Salvo pro­nun­cia il suo addio. La rot­tura era nell’aria da tempo, ma tutto è pre­ci­pi­tato, spiega chi se ne va, mer­co­ledì mat­tina in aula. Il gruppo, dove ave­vano vinto i sì al decreto Irpef (con­tro l’astensione pro­po­sta da Ven­dola, che non era pre­sente), vota disci­pli­na­ta­mente sì. Ma i due indi­pen­denti Giu­lio Mar­con e Gior­gio Airaudo annun­ciano la pro­pria asten­sione: «Una scelta per­so­nale ma che inter­preta la con­vin­zione di quasi metà gruppo». È un dis­senso al con­tra­rio: la mag­gio­ranza del par­tito diventa mino­ranza nei gruppi par­la­men­tari, espe­rienza comune in que­sta legi­sla­tura: il Pd l’ha risolta alla maniera di Renzi. Ven­dola, in Tran­sa­tlan­tico, usa parole pesanti: «Un gruppo par­la­men­tare non può essere di impe­di­mento alla linea poli­tica decisa da un congresso».

Anche Piaz­zoni scrive una let­tera al pre­si­dente, «ho sem­pre detto che l’ispirazione che ci ha por­tato a sce­gliere la lista Tsi­pras per me non era con­di­vi­si­bile. Ora, pas­sata quella fase, la stessa ispi­ra­zione è quella della nuova Sel. Non la con­di­vido lo stesso». La serie dei ’fuo­riu­sciti’ si aggiunge ai due par­la­men­tari (Aiello e Rago­sta) già pas­sati al Pd ma fini­sce qua, per adesso. Se ne aspet­tano altri nei pros­simi giorni, una decina almeno. Voci che girano, pen­sieri e ripen­sa­menti. Sareb­bero in forse — ma non arri­vano con­ferme né smen­tite, i cel­lu­lari restano muti — De Zan, Pilotti, Qua­ranta, Piras, tutti depu­tati. L’abruzzese Melilla torna nel col­le­gio, deci­derà in assem­blea con i com­pa­gni, sabato: «Certo penso a Sel auto­noma dal Pd, non den­tro il Pd. Vor­rei seguire la mia coe­renza». C’è anche un sena­tore in ballo, Cervellini.

Restano nel par­tito invece Cic­cio Fer­rara e Peppe De Cri­sto­faro, com­pa­gni e amici di una vita di Migliore. Resta anche il teso­riere Ser­gio Boc­ca­du­tri, anche lui vici­nis­simo all’ex capo­gruppo. Mas­si­mi­liano Sme­ri­glio, ultrà della linea-Tsipras e vice di Zin­ga­retti nel Lazio è duris­simo: «Chi voleva dare un colpo a Sel ci è riu­scito. E non si rac­conti che si lascia un par­tito per un inter­vento alla camera. Era tutto già deciso, sem­mai il decreto Irpef ha anti­ci­pato i tempi. Ma la scis­sione è un lusso da par­la­men­tari. Nel par­tito non c’è noti­zia di smot­ta­menti. Ci rimet­tiamo in pista subito». Mer­co­ledì a Roma, una riu­nione di dire­zione pub­blica e aperta «per ripar­tire». «Aspet­tiamo che si fer­mino que­sti annunci per tirare una linea e deci­dere insieme», annun­cia il coor­di­na­tore Nicola Fra­to­ianni. Prima una riu­nione par­la­men­tare, per eleg­gere un nuovo capo­gruppo, e per con­tare i super­stiti. «Nes­suno ha mai pen­sato di tra­sfor­mare Sel in una ridotta mino­ri­ta­ria, inca­pace di dia­lo­gare con il Pd».

I fuo­riu­sciti invece per ora scel­gono il gruppo misto. Migliore annun­cia «molte rifles­sioni»: sarà una vena aperta ancora per qual­che giorno. Ma all’orizzonte non c’è una nuova for­ma­zione di sini­stra: c’è un pro­gres­sivo avvi­ci­na­mento al Pd. Forse un nuovo gruppo par­la­men­tare con un rife­ri­mento al Pse, a cui Sel aveva pure chie­sto di ade­rire qual­che mese fa: mer­co­ledì Migliore ha incon­trato, in un cor­ri­doio di Mon­te­ci­to­rio inac­ces­si­bile ai cro­ni­sti il capo­gruppo del Psi alla Camera Marco Di Lello e Guglielmo Epi­fani. La sera ha visto il vice di Renzi Lorenzo Gue­rini e il teso­riere Pd Fran­ce­sco Boni­fazi («incon­tro casuale», giura).

All’uscita della segre­te­ria Ven­dola cerca di sor­ve­gliare i toni, la sini­stra degli abban­doni ha almeno impa­rato a sepa­rarsi: «Se ne vanno com­pa­gni straor­di­nari come Migliore. Per me è come un figlio e provo dolore per una per­dita forte dal punto di vista umano e poli­tico. «Noi siamo una forza di sini­stra e non vogliamo smar­rire la bus­sola. Imma­gi­nare che que­sta bus­sola possa por­tare a soste­nere il governo è andare fuori strada». Renzi, dal canto suo, per la prima volta inter­viene: «Chi guarda al Pd tro­verà un par­tito aperto». Per Sel è il primo dei giorni più lun­ghi. E non è chiaro quale Sel si risve­glierà alla fine della notta

Libri & Conflitti. La recensione di UNA BELLA BICI CHE VA | Autore: carlo d’andreis da: controlacrisi.org

Libri & Conflitti. Un’antologia dedicata alla bicicletta Una bella bici che va, a cura di Isabella Borghese (Giulio Perrone editore) con la partecipazione di Stefano Benni, Fulvio Ervas e Andrea Satta, ma anche un progetto antologico che coinvolge autori meno conosciuti. Si tratta di un lavoro che la curatrice ha ideato ispirata da un’affermazione di Margherita Hack: «Non le nascondo che ho sempre pensato che prima la bicicletta era un mezzo indispensabile per andare a scuola, a lavorare. Oggi lo considero un mezzo che richiama la libertà, ecologico, per divertirsi».

L’estratto: Il grande Valerio, di Stefano Benni

Da quando esiste la bicicletta ha sempre avuto una romantica via preferenziale nella letteratura rimanendo protagonista imbattuta – dai suoi successori a motore- nelle pagine dei libri.

Perché è un mezzo che ha una sua personalità, che ti richiede una partecipazione fisica ed emotiva e quindi una complicità che gli altri mezzi di locomozione non meritano. La bicicletta non deve chiedere scusa a nessuno perché è discreta, silenziosa, non inquina. La bicicletta è facile da capire, chiunque può aggiustarla, ognuno è in grado di sollevare la sua, si può portare ovunque e si può lasciare dove si vuole se non si ha il tempo o la voglia di usarla: in cantina, sul terrazzo o vicino al proprio letto. La bici è alla portata di tutti. La bici è Libertà. Ci restituisce consapevolezza, contatto con il mondo, tranquillità, soprattutto in città caotiche dove il trasporto a motore privato – ma ahimè anche pubblico – si è trasformato in una gara a chi è più stronzo.

Incontriamo la bicicletta per la prima volta quasi sempre nell’età in cui diamo un nome alle cose, nell’età in cui apparteniamo a un mondo nel quale non abbiamo proprietà ma solo la voglia di vivere e di scoprire. Una bicicletta con una manutenzione, neanche troppo impegnativa, può accompagnarci per tutta una vita o per varie generazioni restando sempre quella e portando con sè tutte le storie di quelli che l’hanno guidata. Così ognuno di noi ha una storia da raccontare legata a questo che è più di un mezzo di trasporto, ma è un pezzo della nostra memoria e qualche volta della Memoria collettiva.

In “Una bella bici che va” troviamo venticinque di queste storie, alcune estreme e particolari, altre più semplici e quotidiane, ma tutte personali, emozionanti, autentiche, a volte divertenti altre commoventi: “E allora abbiamo Valerio che al rumore delle ruote che girano dice di sentire l’Aida, Sofia ‘Riccioli Rossi’ che scopre di essere donna proprio durante una corsa in bici, la vita di due futuri genitori che non è come andare in tandem ma è salire su due biciclette e così pedalare fianco a fianco, un uomo che lascia tutto e tutti per la sua Graziella e finisce su Chi l’ha visto?; poi c’è chi dalla Germania della Seconda Guerra Mondiale pedala con estrema forza verso la libertà e Dario che appena si mette in sella ripensa alle sue corse per L’Aquila ancora intatta e tutte le volte una lacrima, pesante come una maceria, gli solca il viso. Storie che, tra corse forsennate, cadute rovinose e morbide pedalate, non raccontano solo i momenti in cui si sale in bicicletta, ma pezzi di vita in cui l’amabile due ruote è testimone preziosa”, sintetizza Isabella Borghese, curatrice di questa antologia e autrice di uno dei racconti.

Aprono il volume le tre storie di Stefano Benni, Fulvio Ervas e Andrea Satta, ma anche le altre sono di grande valore; venticinque stili diversi per venticinque tappe di un particolare giro nelle memorie di una variegata Europa. Perché in bicicletta succedono cose, si incontrano sguardi e si intrecciano storie… parola di ciclista.

“Una bella bici che va” Aa.vv.
a cura di Isabella Borghese

Giulio Perrone editore 
175 pagine,
14,00 euro
ISBN 978-88-6004-329-0

Riflettere prima di decidere. E’ davvero conveniente creare una nuova casta di nominati?Riflettere prima di decidere. E’ davvero conveniente creare una nuova casta di nominati?

Riflettere prima di decidere. E’ davvero conveniente creare una nuova casta di nominati?

All’inizio il problema era il bicameralismo perfetto ora è il bicameralismo. Questa riforma si orienta di ora in ora verso un radicale rifacimento dell’assetto istituzionale della nostra Repubblica. Due principi si stanno imponendo che reinterpretano il significato della rappresentanza e del suffragio: i cittadini sono sovrani dimezzati; il voto dei cittadini serve solo a formare una maggioranza. Infatti chi vuole ardentemente questa riforma, l’ha giustificata con questi due argomenti: un Senato eletto costa troppo e rende troppo lento il processo decisionale. Sono due argomenti molto problematici e essenzialmente ideologici, il primo per lo meno volgare e il secondo insofferente per la deliberazione democratica. Entrambi sono poco convincenti e per nulla comprovati. Sui costi: la democrazia costa al suo sovrano, che è fatto di cittadini che vivono del loro lavoro. Devono pagare per le funzioni pubbliche di cui lo stato democratico ha bisogno e spetta a chi svolge quelle funzioni essere attenti a limitare i costi. L’esito di anni di mal uso e abuso delle risorse pubbliche da parte di parlamentari dovrebbe essere affrontato riscrivendo le regole relative al loro uso delle risorse non cancellando un organo eletto, ovvero facendo pagare ai cittadini decurtandoli del loro potere di elezione. Sembra che la responsabilità prima dei costi della politica stia nel potere democratico: se non si votasse si spenderebbe meno. Questo à il senso del messaggio sui costi del Senato eletto.
Circa il secondo argomento, quello delle celerità decisionale: è un fatto che nei regimi democratici la tensione tra il potere esecutivo e quello legislativo sia fondamentale e permanente. Ma la tensione dovrebbe risolversi con il riconoscimento della priorità del secondo. La massima tocquevilliana per cui la democrazia si corregge con più democrazia dovrebbe quindi essere così interpretata: nell’equilibrio dei poteri (un bene che il costituzionalismo moderno ci ha regalato) occorre che il potere di proporre e fare le leggi sia centrale perchè quello che direttamente discende dalla volontà dei cittadini. In una democrazia elettorale, fare le leggi comporta la centralità degli organi che ricevono autorità diretta dal suffragio. Circola tra i costituzionalisti l’idea che il cittadino sia arbitro. Questa riforma è figlia di questa interpretazione che va nella direzione di diminuire il valore e l’estensione del potere elettorale per porre l’accento sui poteri dello stato che il cittadino-arbitro osserva lavorare e giudica. Il cittadino-arbitro è come un giudice imparziale che sta fuori del gioco; i titolari della squadra sono i veri giocatori, non lui/lei. E i giocatori sono liberi di decidere che schema usare, quali ruoli rafforzare e quali indebolire. L’importante è che vincano. L’importante è che il cittadino-arbitro sappia a urne chiuse chi governerà, chi ha vinto. Poi i giochi sono tutti fatti da altri e il cittadino sta a guardare e alla fine del gioco decide se riconfermare quei giocatori o cambiarli. Questa visione della democrazia è così minima che accontenta chi ha una tradizionale allergia alla democrazia. La riforma che il Partito democratico si appresta a votare piace molto ai democratici minimalisti proprio perchè restringe al massimo il potere dei cittadini-attori (o sovrani) e amplia quello dei cittadini-arbitri. In questa riforma spicca infatti la centralità dei giocatori e soprattutto di coloro che segnano, ovvero di chi fa: del potere esecutivo. Si restringe il dominio del potere legislativo (che è fatto anche di discussione e rappresentanza, non solo di decisione) nel senso che al voto dei cittadini si chiede di esprimere la maggioranza (a questo mira del resto la legge elettorale) e non tanto di vedere rappresentate le proprie idee o interessi; lo stesso vale per la Camera politica, alla quale anche è richiesto di sostenere il governo (della maggioranza) non tanto di controllare, mediare, discutere e se necessario fermare (insomma tutto quello che gli organi deliberativi dovrebbero fare). L’esito auspicato è l’identità della maggioranza monocamerale con l’esecutivo. I rappresentanti, con questa riforma, sono rappresentanti del volere della maggioranza. Si tratta di una riforma di stampo plebiscitario con la quale la bilancia del poteri pende verso l’esecutivo: il fare più che il discutere. Si approda al presidenzialismo senza dirlo. In questo quadro si iscrive la proposta di abolire il Senato eletto.
Perchè bisogna essere critici di questa proposta (che non significa abbandonare l’idea di una riforma del Senato che sappia attuare un parlamentarismo funzionale ovvero che abbia sia il potere di esprimere la maggioranza, e fare leggi, sia che a quello di rappresentare, controllare e infine fermare)? Non è forse vero che Matteo Renzo ha commentato la legge sulla responsabilità dei giudici passata alla Camera dicendo che al Senato la si cambierà? Dunque, anche lui deve amnettere che passare una legge al vaglio due volte consente di correggere errori e migliorare una decisione. Questo solo dovrebbe bastare a convincerci della rilevanza di avere due Camere. Si dice inoltre e insistentemente che un Senato eletto allunga i tempi della politica. Ma si potrebbe obiettare che l’Italia repubblicana ha prodotto un numero spropositato di leggi pur anche con un bicameralismo perfetto! Insomma questi argomenti sono molto poco convincenti. E veniamo così al nodo centrale di questa proposta: l’elezione indiretta dei membri del Senato delle Autonomie.
Cominciamo dall’osservare che volendo riformare la Costituzione, sarebbe opportuno porsi la seguente domanda: Perchè ci proponiamo di attuare questa riforma? Da quale esigenza siamo mossi e per ottenere che cosa? Questo livello preliminare di chiarezza sulle intenzioni è importante perchè consente di affrontare in maniera non approssimativa il problema, ovvero dargli organicità e coerenza. Indubbiamente, sono due le esigenze che giustificano una riforma la legge fondamentale della nostra Repubblica: rendere il sistema politico più trasparente e accountable (rispondenza), e renderlo più funzionale. La prima esigenza detta la legittimitá delle regole e procedure democratiche nell’era del costituzionalismo: neutralizzare e impedire l’arbitrio (anche della maggioranza eletta), e per questo rendere il potere dello Stato più efficacemente esposto al controllo e sapientemente bilanciato nei poteri che lo compongono, in modo che non ci sia accumulo in nessuno di essi. Se questa è l’esigenza, l’elezione indiretta (la nomina da parte degli organismi di goveno comunale e regionale) del Senato della Repubblica va nella direzione contraria. Perchè l’elezione indiretta dei componenti di un organo deliberativo (o che partecipa comunque alle decisioni nazionali sebbene non a tutte) è opaca rispetto all’elezione per suffragio dei cittadini. Al contrario, attribuisce un enorme potere discrezionale ad alcuni grandi elettori (sì eletti per suffragio universale, ma per svolgere funzioni di governo territoriale) che in questo modo acquisterebbero un potere superiore a quello di tutti gli altri cittadini, in violazione al principio di eguaglianza politica. Si risolve questo vulnus togliendo al Senato il potere di dare e togliere fiducia al governo, ovvero gli si assegna un potere mezzo-sovrano. In questo modo, si dice, non si toglie nulla al potere dei cittadini e del suffragio. Vero: ma si crea un potere delegato nuovo e molto ampio. Il paradosso di questo Senato nominato è che avrà troppi poteri per essere composto di nominati e troppo pochi poteri per riuscire a controllare gli eletti. Introduce infine un arretramento palese rispetto al suffragio diretto, con un ritorno al XIX secolo quando il voto indiretto venne teorizzato e usato come argine alla democrazia e all’incalzante espansione del suffragio diretto e segreto. Oggi lo si rispolvera per risparmiare e velocizzare la decisione.
L’evoluzione della storia politica occidentale è andata in una direzione contraria a quella del voto indiretto; anche perchè è diventato in poco tempo un fatto provato che questo metodo di nomina serviva a generare e proteggere un’oligarchia social-politica, una classe di notabili sensibili agli interessi locali o di chi li nominava. A riprova di ciò potrebbe essere utile ricordare che il Senato degli Stati Uniti d’America fu nella prima farse della storia della federazione americana composto da nominati dagli Stati e diventò un istituto così corrotto e piegato agli interessi non controllabili dei potentati locali e dei notabili che controllavano le nomine da indurre il legislatore a riformarlo instituendo l’elezione diretta dei suoi membri. Quindi la strada semplificatrice e di risparmio che il Partito democratico promette rischia di produrre nuove sacche di corruzione e di privilegio. Un potere in mano ai grandi elettori locali anche se pagato con rimborsi sarà un’occasione di potere appetibile anche perchè fuori del controllo diretto dei cittadini e quindi meno scalfibile. Prevedibilmente si aumenterà la funzione repressiva e ai magistrati verrà dato un nuovo settore di controllo.
Un secondo argomento che si usa per giustificare questa riforma è che dobbiamo seguire modelli riusciti altrove, per esempio quello tedesco. Ma questo argomento è sbagliato e capzioso. La Germania è una federazione compiuta. Ha una Camera direttamente eletta dai cittadini tedeschi e una Camera dei Länder (Bundesrat). Quest’ultima è composta di membri non eletti a suffragio universale diretto, di esponenti dei governi dei vari Länder. Il fatto molto diverso che la federazione consente è che questa camera di nominati è per davvero espressione degli interessi dei Länder e infatti i suoi membri sono vincolati al mandato ricevuto dai loro governi locali per fare gli interessi di ciò di cui sono i rappresentanti (dei loro territori), in violazione del generale principio del divieto di mandato imperativo. L’Italia annacquerebbe il modello tedesco perchè non darebbe mandato imperativo ai rappresentanti dei territori – ma si potrebbe obiettare che in questo modo dà anche meno controllo e molto meno accountability. Se si vuole davvero fare un Senato delle regioni e dei territori occorrebbe avere il coraggio di approdare a un compiuto federalismo, appunto come in Germania. Diversamente, il libero mandato a membri di un Senato nominato dai territori finirà per ascrive un potere troppo grande, poco o nulla rispondente all’interesse dei territori, e troppo fuori controllo. Questo è il paradosso di un federalismo a metà e di un modello tedesco annacquato. Infine, non si tiene contro del fatto che la Germania ha mantenuto questa sua tradizione dall’Ottocento, non è retrocessa dal voto diretto a quello indiretto, come invece faremmo noi. La questione è anche di ragionevolezza e prudenza politica: dopo anni di condanne della casta ora si legittima la casta e si chiede agli italiani di devolvere il loro potere di elezione a funzionari ed eletti locali, piccoli potenti che le cronache quotidiane ci restituiscono come attori di una corruzione capillare ed espansa. E’ il risparmio una ragione sufficiente per rispolverare il voto indiretto o non invece la promessa implicita a una nuova generazione locale di prendersi velocemente una fetta di potere discrezionale? Un Senato che non risponde agli elettori perchè non deve comunque sfiduciare il governo è un Senato che ha comunque troppo potere per non generare una nuova oligarchia, una nuova casta.

Landini scrive a Marchionne: “Fiat eviti ritorsioni, servono relazioni sindacali normali”Autore: fabrizio salvatori

“Siamo pronti ad affrontare i problemi che lavoratori e imprese hanno, siamo pronti a discutere e a trovare soluzioni. La Fiat eviti ritorsioni e si ricostruiscano normali relazioni sindacali”. E’ un passo, abbastanza esemplificativo della lettera del segretario della Fiom Maurizio Landini all’amministratore delegato di FCA Sergio Marchionne dopo l’attacco che questi aveva sferrato dalle colonne della “Stampa” contro lo sciopero della Fiom a Grugliasco, presso il sito della Maserati. 

Questo il testo integrale della lettera.

“Spettabile amministratore delegato, ho letto la lettera che ha reso pubblica ieri mattina su “La Stampa”, una lettera che Lei ha inviato a tutte le lavoratrici e i lavoratori della Maserati di Grugliasco, ed è stata affissa nelle bacheche aziendali in tutti gli stabilimenti. Ho deciso di scriverle pubblicamente, ma confido che in futuro non ve ne sia più bisogno perché si costruiscano corrette relazioni sindacali, che sappiano coniugare gli interessi e le responsabilità che ciascuno rappresenta, per me quello di chi lavora, per lei gli azionisti e la proprietà.

Lei ritiene incomprensibile quello che è accaduto in Maserati, io credo che sia utile chiarire cosa è accaduto. Lo sciopero di un’ora per tenere una assemblea coi lavoratori è stata una scelta presa dopo che ci è stato negato il diritto di poter discutere con i lavoratori. I delegati della Fiom han chiesto di tenere l’assemblea per discutere dei problemi che persistono nello stabilimento e avanzare proposte per risolverli, questa è la verità.
Il comportamento e le scelte dei delegati della Maserati di Grugliasco coincidono con una scelta generale della Fiom: con la sentenza della Corte costituzionale che riconosce il diritto ai lavoratori di potersi scegliere il sindacato e i delegati liberamente, per noi si sarebbe aperta una nuova fase.

Nel primo incontro avuto con la direzione aziendale abbiamo chiarito due punti: che non avremmo firmato il CCSL e che non pretendiamo di cancellarlo, ma che nell’interesse dei lavoratori avremmo negoziato nel merito delle singole questioni. Inoltre, abbiamo chiarito che per quel che ci riguarda le azioni legali, che non sono mai state alternative alla contrattazione, erano tese ad un riconoscimento di democrazia, tanto che l’ultimo atto che abbiamo compiuto è stato l’accordo per il rientro dei delegati della Fiom nello stabilimento di Pomigliano.

In questi anni difficili per la crisi e per il non riconoscimento dei diritti sindacali i lavoratori iscritti alla Fiom han pagato un prezzo molto alto ed ancora oggi negli stabilimenti persiste un doppio regime di diritti che per un interesse generale deve essere superato.
Nel Gruppo molte lavoratrici e lavoratori dopo anni di cassa integrazione, con il piano presentato a Detroit hanno davanti almeno altri due anni di ammortizzatori sociali in Italia. Io non credo che sia possibile continuare su una strada che non preveda la contrattazione, sia per gli stabilimenti che hanno volumi produttivi, sia per quelli che non li hanno.

C’è bisogno di reinventare l’auto per avere modelli ecologici in grado di sfidare sul piano dell’innovazione di prodotto il mercato Europeo. Per avere questi obiettivi c’è bisogno di partecipazione dei lavoratori, di libero confronto tra le parti, di salario e di prevenzione per la salute e la sicurezza. I lavoratori sono il cuore della innovazione. E’ necessario che si scriva una storia nuova. Vivere nel passato è un errore che nessuno può permettersi e, di sicuro, che la Fiom non vuole commettere”.

“A Roma il 28 giugno per per cominciare a svelare il fallimento di Renzi”. Intervento di Giorgio Cremaschi Autore: giorgio cremaschi da: controlacrisi.org

Dobbiamo deludere il Presidente del Consiglio. Anche se ha ha rinviato il vertice europeo sulla disoccupazione a Torino per non avere la manifestazione contro, saremo in piazza comunque il 28 giugno a Roma per contestare il suo semestre di presidenza UE. Perché il rinvio del summit dimostra solo la maggiore astuzia di Renzi rispetto ai suoi predecessori, non certo che pratichi una diversa politica economica. Anzi.
Quanti disoccupati produrrà la sciagurata privatizzazione della Fincantieri, che sinora proprio perché pubblica ha permesso all’Italia di essere competitiva nella costruzione delle grandi navi, assieme alla Germania?

Vogliamo parlare della privatizzazione di Ilva Telecom Italtel Alitalia, dei disastri che hanno prodotto in tutte le direzioni senza un centesimo di guadagno, anzi con gigantesche perdite, per lo stato? Vogliamo parlare dello scandalo della Fiat delocalizzata e che fugge il fisco, con il governo muto e complice?
Quanti nuovi disoccupati e precari produrrà la cosiddetta riforma della pubblica amministrazione che, dietro la misura demagogica del taglio dei permessi sindacali (che alla fine sarà un boomerang per i suoi autori perché rafforzerà chi lotta sul serio), dietro la propaganda attua il taglio lineare del personale e la deresponsabilizzazione pubblica nella catena degli appalti?
E soprattutto quanti disoccupati produrrà la continuazione delle politiche di austerità che già ora hanno creato 7 milioni di senza lavoro? E non si venga a dire che gli 80 euro sono una rottura di questa politica. Chi fa credere questo è in totale malafede. Quell’assegno è stato concordato tra Renzi e Merkel per indorare la pillola del rigore alla vigilia delle elezioni, e verrà restituito con gli interessi, con le tasse i ticket e i tagli ulteriori alla spesa sociale.

Però bisogna ammettere che l’operazione gattopardesca per il momento è riuscita. Durante i governi Monti e Letta si parlava sempre più di vincoli europei e di austerità. Ora non se ne parla più, le questioni economiche e sociali vengono dopo il calcio. Si parla di legge elettorale e di abolizione del Senato elettivo, di riforme di tutti i tipi, ma di austerità non si parla più, la si attua e basta. Gli scandali delle grandi opere non provocano più nessuna pubblica discussione sulla loro necessità, ma solo uno stanco ritorno delle campagne di moralizzazione ipocrita e inconcludente, con Renzi naturalmente alla loro testa. Anche Grillo pare esserci cascato in pieno..la crisi economica si risolve con le riforme..Ma va, son venti anni che i liberisti fanno questa propaganda e attuano questa politica e la crisi si aggrava sempre di più.
Comunque con ben maggiore efficacia rispetto al suo ammiratore invidioso e frustrato, Berlusconi, Renzi può compiere un’opera di distrazione di massa. Naturalmente non c’è la fa da solo, con lui stanno tutti i poteri forti nazionali e internazionali e un sistema informativo vergognoso, che è saltato sul suo carro come quei giornalisti “embedded” che stavano in Iraq sui carri armati di Bush e raccontavano quelle menzogne che han fatto danno sino ad oggi.

Qualcuno parla ancora di fiscal compact? Nel nuovo PD di Renzi che vuol battere i pugni in Europa, qualcuno propone forse di abolire quella mostruosità unica che è il pareggio di bilancio costituzionale? Cameron, quando quella riforma fu approvata, disse che Keynes, cioè lo stato sociale, erano stati messi fuori legge. Nelle elezioni locali qualche candidato del PD si è forse impegnato a mettere in discussione il patto di stabilità? No di certo perché Renzi spinge a fare i primi della classe in Europa. Forse anche per questo il vertice europeo è stato rinviato: vuoi mai che per colpa delle parole di qualche sconsiderato burocrate i temi dell’austerità potessero tornare di pubblico confronto?

Bisogna depistare e nascondere, noi siamo la seconda cavia di Europa dopo la Grecia. Si mette in atto la stessa politica, ma con un metodo diverso, quello di Renzi. Che si paragona a Obama ma in realtà è un epigono di Blair, che ha distrutto in Gran Bretagna tutto ciò che aveva resistito alla signora Thatcher. Compreso il suo partito. Attenti sostenitori esultanti e anestetizzati del PD, alla fine sarà proprio il vostro partito a pagare la politica del suo leader.

Intanto però si festeggia e le fragili e tremebonde opposizioni ufficiali di destra e sinistra si inchinano al regime. Berlusconi e la Lega son sempre più parte del gioco. La CGIL ha adottato come massima forma di protesta il borbottio, anche se riceve uno schiaffone al giorno. Grillo dialoga sulle riforme e la lista Tsipras ha già le prime scissioni verso il PD. Il presidente del consiglio sta sbancando. Eppure, nonostante i clamorosi successi attuali, il progetto di Renzi è destinato a fallire per due ragioni di fondo.

La prima è che la crisi economica si trasforma in stagnazione e continuerà così, senza nessuna luce in fondo al tunnel. D’altra parte la politica di Renzi non serve ad uscire dalla crisi, ma solo ad abituarci a convivere con essa. Dobbiamo accettare la disoccupazione di massa e la distruzione dello stato sociale, e imparare a sopravvivere arrangiandoci. Ci dobbiamo rassegnare alla ingiustizia e alla diseguaglianza , questo insegnano il jobsact o il feroce articolo 5 del decreto Lupi, che colpisce con crudeltà da ottocento vittoriano i senza casa. Il punto non è la soluzione della crisi, impossibile con l’austerità, ma la passività sociale. È su questa che contano Renzi e la signora Merkel per andare avanti. Ed è su questo che falliranno.

Certo ora sfiducia e rassegnazione sono massimi, mai in Italia si è fatto così tanto danno alle persone con così poche reazioni. Ma non questa situazione finirà, il conflitto ripartirà e Renzi rischierà allora di apparire per come lo dipinge il suo unico oppositore televisivo, il comico Maurizio Crozza.
La seconda ragione è che l’Europa della signora Merkel che ha benedetto Renzi ha rivelato tutta la sua subalternità e fragilità mondiale. Il governo ucraino con i suoi ministri nazifascisti ha rotto il disegno della Germania di portare l’Europa da essa dominata alla intesa cordiale con Putin e ad una maggiore autonomia dagli Stati Uniti. La nuova guerra, anzi la guerra mai finita in Iraq, rafforza la stessa spinta di fondo. Gli Usa hanno ripreso il controllo del blocco occidentale con la vecchia la Nato e ancor di più lo faranno con il TTIP, il patto liberista tra le due sponde dell’Atlantico che vuole trasformare la UE in appendice di USA e Canada. Mentre di fronte si delinea la nuova alleanza globale di Russia e Cina.

Forse non c’è ne siamo accorti nel teatrino della nostra politica, ma la globalizzazione è morta, si torna ai grandi schieramenti di potenze ed un’Europa indebolita da anni di austerità viene assorbita nel vecchio impero americano.
Povero Renzi che c’entra la sua politica con tutto questo? Nulla, e ancora una volta il conto di un potere politico gattopardesco, che sta indietro rispetto alla realtà del mondo, lo pagheremo tutti noi. Bisogna augurarsi allora che il regime di Renzi non ci metta i venti anni di quello berlusconiano per farci scoprire tutti i suoi danni. Bisogna augurarselo e bisogna agire perché questo regime fallisca il prima possibile
Solo con la sconfitta di Renzi e del renzismo si ridà un futuro a questo paese. A Roma il 28 giugno sarà una minoranza che che comincerà a dirlo. Ma poi questa minoranza crescerà.