
Era preciso come un chirurgo il vice commissario Roberto Mancini: per due anni ha ascoltato le parole di Cipriano Chianese, l’avvocato-imprenditore di Parete (in provincia di Caserta), annotando i nomi delle società, rileggendo la documentazione intercettata, incrociando con cura i dati. Dieci anni prima che il nome Gomorra diventasse un libro di successo, aveva raccontato — da poliziotto all’antica — il mondo dei trafficanti.
«Qualcuno mi derideva — raccontava — alcuni colleghi mi facevano trovare i modellini di camion della monnezza sulla scrivania». Eppure quella sua indagine avrebbe potuto fermare quello che per i magistrati napoletani è oggi un disastro ambientale, in grado di contaminare forse migliaia di ettari di terre.Quell’inchiesta è costata la vita a Roberto Mancini. Il contatto con i rifiuti sversati nelle terre campane gli ha provocato un linfoma Hodgkin, risultato fatale. Nel 1997 — una volta conclusa l’indagine su Cipriano Chianese — era stato nominato consulente della commissione parlamentare d’inchiesta sui rifiuti, guidata da Massimo Scalia. Fino al 2001 aveva continuato a seguire le tracce dei veleni, visitando siti e aree contaminate. Qualche mese dopo scopre la malattia. Il riconoscimento che ha avuto dallo Stato — dopo anni di battaglie — è stato di appena 5.000 euro. Nulla è arrivato invece dalla Camera dei deputati, che pure lo aveva visto lavorare come consulente in un ruolo ad alto rischio per quattro anni. Lo scorso anno aveva avviato una difficile causa con l’amministrazione di Montecitorio, che si è rifiutata di riconoscere una qualsiasi forma di risarcimento. Solo nei giorni scorsi l’ufficio di presidenza della Camera aveva messo in discussione la questione, su pressione di una raccolta firme di change.org.
Mancini alla fine è morto, senza ricevere una risposta positiva. Ora la presidente Laura Boldrini assicura «che la Camera saprà essere vicina come è giusto alla sua famiglia».
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