CATANIA: 24 APRILE 2014 CORTILE PLATAMONE ORE 18.00 PONTI DI MEMORIA ANTIFASCISTA I GIOVANI INCONTRANO LA RESISTENZA.

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INTERVENGONO I PARTIGIANI:

DI SALVO NICOLO’ ( CORSARO),

MANGANO ANTONINO (MITRAGLIA),

MILITTI SALVATORE (SMIT).

 

 

Elezioni in Turchia, la vittoria dei curdi tra la supremazia di Erdoğan da: uiki

Elezioni in Turchia, la vittoria dei curdi tra la supremazia di Erdoğan

Il ragazzo turco seduto accanto a me sull’aereo che da Istanbul ci sta riportando a Milano parla bene l’italiano. Con occhi curiosi e orgogliosi mi chiede subito se mi è piaciuta la Turchia. Gli dico che mi è piaciuta moltissimo, la vita pulsa in ogni angolo di questa stupenda città che è Istanbul. Si sente tutta l’energia dell’incredibile crescita economica di questi anni. Commentiamo che in questo momento si sta probabilmente meglio in Turchia che in Italia; lui mi dice che se non avesse l’impegno di un bar/kebab aperto a Cremona tornerebbe in Turchia volentieri. Gli chiedo di dove è originario e se è venuto per votare. Noto subito il suo imbarazzo nel rispondermi. Esita, fa un sorrisetto nervoso. Capisco al volo e suggerisco: Kurdistan? I suoi occhi si illuminano. Sì è curdo, viene da Diyarbakir; anche se, come ci tiene a specificare, è ovviamente turco, come tutti, e poi curdo. Certo, gli dico, non preoccuparti ho presente la situazione. In Italia è arrivato con una richiesta di asilo politico. È uno dei casi fortunati: gli è stato concesso e ora ha il permesso di soggiorno, tutto regolare. Non ha combattuto direttamente, ma per quel che ha fatto, per il suo supporto al Pkk, in Turchia non sarebbe uscito carcere per molto, molto tempo.

Il popolo curdo è stato duramente oppresso e soppresso in Turchia; la loro lingua vietata, la bandiera curda bandita, perfino la musica censurata. I curdi hanno lottato, con ogni mezzo, per affermare la loro identità negata, e in parte ce l’hanno fatta. Il curdo non è più vietato, anzi può essere usato nelle scuole, la loro bandiera sventola durante le manifestazioni e si danza al ritmo delle belle musiche curde. Ma, senza dimenticare gli oltre 40.000 morti che si contano dal 1984, migliaia di prigionieri politici sono ancora nelle prigioni turche, sottoposti ad abusi e torture. E sono davvero molti i guerriglieri pronti a imbracciare di nuovo le armi non appena ve ne fosse bisogno. La tregua è fragile e apparente.

Sto tornando proprio da Van, all’estremità della Turchia orientale, geograficamente quasi al confine con l’Iran. Si tratta di una delle più grandi città del Kurdistan turco, un tempo capitale dell’antichissimo regno di Urartu, affacciata sulle sponde del più grande lago della Turchia.

Sono stata qui come membro di una delegazione di osservatori internazionali venuti allo scopo di monitorare le elezioni amministrative del 30 marzo. Nessun incarico ufficiale dell’Onu o dell’Unione Europea (che non avevano mandato osservatori in Turchia). Siamo qui in risposta all’invito rivoltoci dalla società civile curda, ed in particolare dal Partito per la Democrazia e la Pace (Bdp) che sta portando avanti con forza, coraggio e assoluta determinazione la nuova linea dettata da Öcalan: alla lotta armata sostituire la lotta politica. Alla violenza la democrazia. L’invito a deporre le armi per cercare la via della pacificazione è chiaro ed è stato veicolato pochi giorni, fa ancora una volta per lettera, ai milioni di persone che hanno festeggiato il Newroz (il capodanno curdo). Non vi è dubbio che il tentativo sia serio e, da quanto abbiamo potuto osservare, stia già dando i suoi frutti.

Tutti i giornali hanno ripreso la notizia degli otto morti (vittime di scontri tra famiglie a Urfa, non lontano da Diyarbakir) nel giorno delle elezioni, ma nessuno ha parlato della grande responsabilità dimostrata dai rappresentanti curdi del Bdp, che non hanno risposto alle provocazioni, che pure ci sono state, da parte dei militari e della polizia. A tre giorni dal voto, in occasione del comizio a Van tenuto da Erdoğan in persona, la polizia ha sparato – ufficialmente in aria per disperdere dei manifestanti, in realtà, come dimostrano le foto, mirando a bruciapelo – ed ha colpito al petto un giovane che assisteva dalla finestra del Grand Hotel. Poteva essere tragedia, una seconda Gezi Park, e se non lo è stata è solo grazie ai rappresentanti del partito che hanno tenuta a bada la rabbia della gente, richiamando al senso di responsabilità per non fare degenerare la situazione a poche ore dalle elezioni.

Il voto del 30 marzo era di fondamentale importanza non solo per il primo ministro Erdoğan, che aveva  bisogno di verificare il livello di consenso ancora detenuto, a pochi mesi dalle elezioni politiche e presidenziali e nonostante gli scandali che lo hanno travolto nell’ultimo anno.

Queste amministrative hanno assunto significato di referendum anche per i rappresentati del popolo curdo, che puntano ad una autonomia all’interno della Turchia. La campagna elettorale del Bdp è stata entusiasmante e, nonostante la dura repressione da parte del governo turco seguita alle elezioni del 2009 (con migliaia di arresti politici), ancora piena di speranza. L’agenda politica è democratica e progressista, con particolare riguardo alle donne: piuttosto che sulle quote, il modello è basato sulla condivisione di ogni funzione direttiva tra un rappresentante maschile e uno femminile. Questo principio, già applicato per tutte le posizioni di dirigenza del partito, verrà ora esteso alle varie cariche amministrative a livello di zona, comunale, provinciale e regionale. Il Bdp non ha vinto ovunque (molti, anche nella regione orientale hanno votato per il partito di Erdoğan), ma dove ce l’ha fatta, a Diyarbakir, a Hakkari, a Van e in molte altre città e paesi del Kurdistan, la funzione di sindaco sarà ora condivisa da due persone: un uomo e una donna. Nessuna decisione potrà essere presa senza accordo tra i due rappresentati. Sebbene non riconosciuto ufficialmente da Ankara, il modello attuato di fatto dal Bdp nelle sue amministrazioni, ha l’obiettivo non solo di cambiare le istituzioni ma anche di apportare un forte impulso all’interno della società curda, dove la situazione e il ruolo delle donne lasciano ancora molto a desiderare.

Con fuochi d’artificio e clacson incessanti, musica e falò sotto la neve, Van ha festeggiato i risultati elettorali: in realtà i festeggiamenti erano iniziati ben prima dell’annuncio ufficiale dei risultati, tutta la campagna elettorale si è tinta di festa. L’entusiasmo è palpabile da queste parti, almeno quanto la speranza di una nuova stagione politica, che sia in grado di valorizzare l’identità di questo popolo, troppo a lungo negata.

di Chantal Meloni

Il Fatto Quotidiano | 1 aprile 2014

In migliaia ad Amara per il compleanno di Ocalan da: uiki

In migliaia ad Amara per il compleanno di Ocalan

Decine di migliaia di persone sono arrivate al villaggio di Amara nel quartiere Halfeti di Urfa per festeggiare oggi il 65° compleanno del leader del popolo kurdo Abdullah Ocalan.

Questa mattina la gente ha lasciato Halfeti dove ieri sono cominciati due giorni di celebrazioni per il compleanno di Öcalan.

Migliaia di persone hanno marciato da Halfeti al villaggio dove ora stanno visitando la casa in cui è nato Öcalan. Enormi manifesti del leader curdo sono stati appesi all’ingresso del villaggio.

Un striscione su cui si legge “An Azadi, An Azadi” “o Libertà o libertà” nel giardino della casa di Ocalan, insieme con le fotografie di Mahsum Dogan e Mustafa Dağ che persero la vita a causa della brutalità della polizia durante le celebrazioni di Amara nel 2009.

Dopo le prime visite a casa di Ocalan una torta di compleanno è stata tagliata la mattina presto mentre tutti cantavano lo slogan “Rojbuna te piroz be ey serok Apo” [Buon Compleanno Presidente Apo].

La torta è stata tagliata dai bambini e dalla moglie di Mustafa Dağ che è morto dopo essere stato colpito con una bomboletta di gas lacrimogeno sparato dalla polizia.

Il messaggio di Ocalan letto a Halfeti

Decine di migliaia di persone si sono riunite nel quartiere Halfeti di Urfa giovedì per festeggiare il 65° compleanno del leader del popolo kurdo Abdullah Ocalan, che oggi sarà anche acclamato nel suo villaggio di Amara.

Un messaggio inviato dal leader curdo è stato letto durante i festeggiamenti a Halfeti dove decine di migliaia di persone da tutta la Turchia e dal Kurdistan settentrionale si sono riunite da ieri sotto lo slogan “Liberate il Leader, Liberate il Kurdistan”.

Il messaggio di Öcalan è stato letto sia in turco sia in curdo.

Nel suo messaggio attraverso il quale Öcalan si è rivolto al popolo del Kurdistan, il leader curdo ha salutato tutti i suoi compagni, i giovani e le donne che danno al 4 aprile il significato della rinascita di un popolo e fondono i loro sogni di libertà nella sua persona.

Ocalan ha messo in risalto che il territorio del Kurdistan era un giardino dei popoli dove le realtà con differenti culture, identità e credi vivevano insieme, aggiungendo: “La lotta per la libertà che abbiamo lanciato 40 anni fa contro lo sfruttamento del Kurdistan è arrivata alla soglia dell’auto- amministrazione grazie alla vostra devozione, allo sforzo dei nostri indiscutibili valori e alla lotta determinata di tutte le nostre istituzioni”.

Il leader curdo ha osservato che i popoli del Medio Oriente hanno affrontato il volto massacratore della realtà dello stato-nazione mentre gli attacchi della modernità capitalista contro di loro sono divenuti più selvaggi. “E’ stato compreso che la gente in queste terre non potrà più vivere con i vecchi regimi e le loro ideologie. La costruzione di una società libera sarà possibile solo con l’avanzare delle amministrazioni autonome democratiche, e la costruzione dei domani liberi avverrà sostituendo l’umano schiavizzato con quello libero. L’ispirazione data ai popoli di tutto il mondo con la nostra pratica di lotta è stato il fatto che le prigioni sono state trasformate in spazi di libertà. Quando non si osserva da questo punto di vista si sa che un intero paese con le sue montagne, pianure e città, si è trasformato in una prigione oscura”, Ocalan ha sottolineato.

Il leader curdo ha sottolineato che la separazione fisica tra lui e il popolo kurdo non era importante , aggiungendo: “Io sono insieme con voi oggi al tavolo del tramonto ad Amara e sono tra tutti i miei compagni. Consegno le nostre terre, le quali hanno visto la nascita non solo della nostra ma anche di tutta la civiltà, alla coscienza del nostro popolo, in primo luogo alle nostre donne e ai giovani compagni.”

Ocalan ha concluso il suo messaggio abbracciando il popolo curdo e ha espresso la sua fiducia che “tutti noi saremo uniti in una terra libera”.

Sciopero, la Commissione di garanzia vuole impedirlo nel semestre Ue dell’Italia e durante l’Expo!Autore: fabrizio salvatori da: controlacrisi.org

Negli ultimi mesi la Commissione di Garanzia per lo Sciopero si è resa protagonista di decisioni che hanno colpito duramente i promotori ed i lavoratori per le azioni di lotta intraprese. La Commissione sta oltrepassando ogni logica e ormai interpreta in modo estensivo la legge stessa, come nel caso eclatante dello sciopero del personale addetto alla merce dell’aeroporto di Venezia per il quale è intervenuta, in modo grottesco, a “tutela del diritto costituzionalmente garantito” per una vettura lamborghini.

Lunedì scorso USB ha ricevuto una lettera del Presidente della Commissione che invita i sindacati a non scioperare per tutto il periodo della presidenza italiana della UE (dal 1° luglio al 31 dicembre 2014) e quello dell’EXPO 2015, mentre è allo studio anche la revisione delle regolamentazioni provvisorie che sono quelle normative che, approvate dalla Commissione e accettate da Cgil, Cisl e Uil, hanno prodotto effetti abnormi di divieto del diritto di sciopero che vanno ben al di là della legge.

Tutto questo mentre sono in corso vertenze di rilevanza eccezionale come, ad esempio, quelle nei trasporti (privatizzazioni, crisi generalizzata delle grandi aziende, smantellamento dei patrimoni pubblici, messa in cigs di quasi la metà del personale in alcuni settori, ecc).

L’Usb ha convocato per il 15 aprile un presidio “per la ripresa dell’iniziativa sindacale nei confronti di una Istituzione posta “a guardia” di una legge che negli anni ha solo garantito le aziende e la destrutturazione dei settori coinvolti, impedendo esclusivamente il conflitto di fronte al disastro industriale e occupazionale che stiamo subendo”. Per Usb, l’obiettivo è quello di accendere un riflettore ed evidenziare le contraddizioni evidenti della Commissione, che controlla e sanziona sempre più pesantemente il conflitto mentre nessuno sanziona e controlla aziende e manager che violano costantemente i patti e producono danni immensi a lavoratori e cittadini.

Lavoro, i giovani del Pd scrivono a Renzi: “Il Jobs act non è la strada giusta” Autore: fabrizio salvatori da: controlacrisi.org

Pd sotto tiro per il Jobs act e il decreto lavoro. C’è una mezza rivolta ne partito, a partire da regioni importanti come l’Emilia Romagna. Non solo, dall’esterno arrivano vere e proprie azioni mirate. Ieri gli insegnanti precari che da due settimane tengono un presidio davanti alla sede del PD a Milano per chiedere un impegno sul tema della Scuola Pubblica e della stabilizzazione di chi insegna da troppi anni come precario, hanno occupato simbolicamente la sede del PD esponendo il loro striscione. Intanto si annuncia lo sciopero dei precari della scuola per l’11 aprile con un corteo a Roma.A dire nero su bianco che il decreto Lavoro “non e’ la strada giusta” e per questo va ritirato e’ Vinicio Zanetti, segretario regionale dei Giovani democratici dell’Emilia-Romagna, che ha spedito una lettera al premier Matteo Renzi proprio alla vigilia della conferenza economica del Pd di domani a Viano, nel reggiano, con il responsabile Economia del partito, Filippo Taddei. Il segretario dei giovani del Pd (che alle scorse primarie appoggio’ Gianni Cuperlo) non e’ nuovo alle critiche al decreto Lavoro, che defini’ “una porcata pazzesca” non piu’ tardi di tre settimane fa. “Basta con la precarieta’- scrive Zanetti- non ne possiamo piu’. E’ inutile negare che in Italia, in questi anni, si e’ gia’ abbastanza abusato dei contratti a termine o a progetto e delle false partite Iva. Basta. La nostra e’ ormai diventata una vita precaria, senza la possibilita’ di costruirci un futuro. Non possiamo piu’ immaginare o sognare una vita dignitosa, perche’ gia’ sappiamo che molto probabilmente non ne avremo i mezzi e dovremo pesare sulle spalle dei nostri genitori per tanti anni”.
Zanetti chiede a Renzi se “e’ questo il futuro che vuoi per i giovani del tuo Paese. Io non credo che sia la strada giusta e per questo, a nome di tantissimi giovani precari, ti chiedo: ritira il decreto Lavoro”, che “introduce piu’ precarieta’ o, di fatto, la legalizza piu’ di quanto non lo fosse gia’”. Piuttosto, suggerisce il segretario dei giovani del Pd dell’Emilia-Romagna, “riduci il numero delle tipologie contrattuali e inserisci il contratto unico a tempo indeterminato a tutele crescenti, come dovrebbe prevedere il Jobs act”. “Caro Matteo- scrive il numero uno dei giovani Pd in Emilia-Romagna al premier- riconsegnaci la possibilita’ di sognare e di vedere un futuro davanti a noi”. In Italia, ricorda Zanetti, “la disoccupazione giovanile e’ al 43%, la piu’ alta di sempre; due milioni di ragazzi non studiano e non lavorano; un’intera generazione e’ senza speranza e non vede un futuro davanti a se'”. Pero’, sostiene il segretario dei Giovani democratici, “molti ragazzi ripongono tanta fiducia nei tuoi confronti e, nonostante non ti abbia votato al congresso, penso e spero che tu sia veramente in grado di cambiare e risollevare le sorti di questo Paese”. Finora, infatti, “le tue proposte e i tuoi provvedimenti sono andati nella direzione giusta- afferma Zanetti- il taglio dell’Irpef; il pagamento dei debiti della Pa; l’aumento delle tasse sulle rendite finanziarie; gli investimenti sulla scuola, sugli insegnanti e sull’educazione, anche se spero che ci saranno anche investimenti sul diritto allo studio”. Inoltre, continua Zanetti, “ci piace la tua visione di Europa, ma soprattutto del ruolo che l’Italia deve avere in Europa”. Quello che invece proprio non va, invece, “e’ il decreto lavoro”, ribadisce il segretario dei giovani Pd emiliano-romagnoli.

Deriva autoritaria Fonte: Il Manifesto | Autore: Piero Bevilacqua

Che il nostro paese sia messo su una china auto­ri­ta­ria lo prova non solo il con­te­nuto delle riforme isti­tu­zio­nali pro­po­ste dal governo Renzi e appro­vate in Con­si­glio dei mini­stri. Su que­ste valga non solo l’appello lan­ciato da Zagre­bel­sky e Rodotà, ma anche le osser­va­zioni e le riserve di tanti com­men­ta­tori, per­fino di espo­nenti e set­tori mode­rati della vita poli­tica ita­liana. Quel che indica il senso di mar­cia, la dire­zione dei venti domi­nanti è il favore popo­lare di cui gode al momento l’iniziativa del governo, il con­senso aperto della grande stampa, come Repub­blica (ad ecce­zione del suo fon­da­tore), l’ibrido e poli­ti­ca­mente indi­stinto coro di appro­va­zione che sale dai vari angoli del paese. E, segno dei tempi non poco signi­fi­ca­tivo, è il con­certo di voci ostili, la con­danna cor­riva, il lin­guag­gio sca­dente fino a essere scur­rile con­tro i cri­tici del pro­getto di riforme. Costoro ven­gono bol­lati come par­ruc­coni, defi­niti — con una seman­tica della deri­sione che capo­volge il signi­fi­cato delle parole — «soliti intel­let­tuali», quasi fos­sero la banda de I soliti ignoti del film di Moni­celli. È già acca­duto che in momenti tri­sti e dif­fi­cili della vita nazio­nale l’intelligenza sia stata derisa.

Certo, que­sto favore con­fuso e indi­stinto che sof­fia nelle vele di Mat­teo Renzi, non è solo il risul­tato dell’abilità comu­ni­ca­tiva del nostro pre­si­dente del Con­si­glio. A reg­gere il suo atteg­gia­mento oggi aper­ta­mente ricat­ta­to­rio c’è, come ha scritto Norma Ran­geri su que­sto gior­nale (1/4) «la forza d’urto dei fal­li­menti della classe diri­gente, a comin­ciare da quelle forze inter­me­die, par­titi e sin­da­cati, che si rife­ri­scono alla sini­stra». Come negarlo? Quali sono state le idee, le pro­po­ste, le ini­zia­tive mobi­li­tanti che son venute dal Pd in que­sti ultimi anni, così dram­ma­tici per tanti cit­ta­dini ita­liani? Nulla che non fosse l’applicazione dei det­tami della poli­tica di auste­rità impo­sta dalla Ue, sia dall’opposizione (ultimo governo Ber­lu­sconi) sia nel governo Monti e non diver­sa­mente nel governo Letta. E qual­cuno ha udito, in que­sti ultimi 4 anni di disoc­cu­pa­zione dila­gante, una, una sola idea, una qual­che ini­zia­tiva all’altezza dei tempi, venir fuori dalla Cgil di Susanna Camusso? Il più opaco e impie­ga­ti­zio tran tran tran quo­ti­diano ha scan­dito la vita del mag­giore sin­da­cato ita­liano nel corso di una della pagine social­mente più dram­ma­ti­che nella sto­ria della repubblica.

Si capi­sce, dun­que, il favore, l’impazienza, la fretta, con cui tanta parte del paese guarda al «fare» di Renzi. Dopo tanta iner­zia e incon­clu­denza (ma anche, dovremmo ricor­dare, dopo tante scelte fero­ce­mente anti­po­po­lari) final­mente qual­cuno che passa all’azione. Qua­lun­que essa sia.

Un’altra e più vasta cor­rente sot­ter­ra­nea ali­menta gli spi­riti ani­mali del pre­sente «deci­sio­ni­smo». È la cre­scente velo­cità con cui il capi­ta­li­smo si muove sulla scena mon­diale. È la rapi­dità delle deci­sioni e delle scelte, di inve­sti­menti, di spe­cu­la­zioni con cui mul­ti­na­zio­nali e gruppi finan­ziari spo­stano for­tune da un capo all’altro del mondo, con­di­zio­nando la vita degli stati. È una nuova dimen­sione tem­po­rale (e spa­ziale) dell’economia che spiazza le anti­che cro­no­lo­gie della poli­tica. Di fronte alla cele­rità degli scambi, degli accordi com­mer­ciali, della mano­vre finan­zia­rie, pro­pria del capi­ta­li­smo attuale, la poli­tica appare, nelle sue più con­na­tu­rate forme, come lenta, dila­to­ria, incon­clu­dente. E la demo­cra­zia, che è dia­logo, discus­sione, pon­de­ra­zione delle scelte, ascolto delle diverse voci, pro­ce­dura for­male, appare un rituale vec­chio e obso­leto, inca­pace di rica­dute posi­tive sulla vita dei cit­ta­dini. E qui sta il nodo su cui occorre riflettere.

È vero, ci sono rituali nella vita par­la­men­tare ita­liana che oggi non sono più accet­ta­bili e occor­re­rebbe dare all’intera mac­china legi­sla­tiva una mag­giore snel­lezza ed effi­cienza. Qui la sini­stra dovrebbe mostrare mag­giore con­vin­zione e ori­gi­na­lità di pro­po­sta. Ma occorre avere sguardo sto­rico per capire il nodo che ci si para davanti, per non repli­care gli errori che ci hanno por­tato alla situa­zione pre­sente. La poli­tica appare lenta e inef­fi­ciente soprat­tutto per­ché essa, per pro­pria scelta, negli ultimi 30 anni ha ceduto mol­tis­simi dei suoi poteri all’economia capitalistico-finanziaria. Dalla That­cher a Rea­gan, da Clin­ton a Mit­te­rand per arri­vare ai nostri vari governi, essa si è pri­vata di tanti con­trolli sulle ban­che, sui movi­menti dei capi­tali, sui vari stru­menti della poli­tica eco­no­mica. Al tempo stesso, e con­se­guen­te­mente, ha inde­bo­lito i suoi tra­di­zio­nali legami con le masse popo­lari, ponen­dosi così in una con­di­zione di subal­ter­nità pro­gres­siva nei con­fronti del potere eco­no­mico. E’ la poli­tica che ha favo­rito il disfre­na­mento della potenza ano­nima del mer­cato. Ciò che oggi appare come una con­di­zione data, quasi natu­rale, spin­gendo i com­men­ta­tori odierni ad accet­tarla come uno stato ine­lu­di­bile, un prin­ci­pio di realtà, è di fatto il risul­tato di una scelta di un’autolimitazione della sovra­nità sta­tuale. Anche auto­re­voli osser­va­tori oggi ricor­rono alla parola magica glo­ba­liz­za­zione, come se si rife­ris­sero alla sic­cità o al mal­tempo. Ma un più sor­ve­gliato uso delle parole con­si­glie­rebbe il ricorso a un altro ter­mine, ora fuori moda: dere­gu­la­tion. Per­ché que­sta glo­ba­liz­za­zione non è che una forma mon­diale di domi­nio, pri­vato di molti freni e regole da parte dei governi nazio­nali. Non è — come si vor­rebbe far cre­dere — il nor­male avan­zare della sto­ria del mondo.

L’attuale impo­tenza dei governi, la loro inca­pa­cità di met­tere sotto con­trollo le ini­zia­tive delle potenze infer­nali lasciate libere di con­di­zio­nare la vita delle nazioni, li spinge a restrin­gere il campo del comando, a con­cen­trarsi sulla mac­china pub­blica, sull’efficienza e la rapi­dità delle deci­sioni. E’ la sur­ro­ga­zione di un potere per­duto, che cerca un risar­ci­mento limi­tando gli spazi della demo­cra­zia, strap­pando mar­gini di mano­vra alla rap­pre­sen­tanza, restrin­gendo il pro­ta­go­ni­smo delle masse popo­lari. E cosi ripro­du­cendo le cause sto­ri­che della pro­pria subalternità.

Ma la china auto­ri­ta­ria del governo Renzi si coglie appieno non solo met­tendo assieme la riforma elet­to­rale con la pro­po­sta di raf­for­za­mento della figura del pre­mier e l’abolizione del Senato. Anche il Jobs act rien­tra in piena coe­renza con la ten­denza. Nel momento in cui non si rie­sce a otte­nere da Bru­xel­les il via libera a una poli­tica eco­no­mica espan­siva, si ricalca con pro­terva osti­na­zione il vec­chio sen­tiero. Non si punta su inve­sti­menti e sul ruolo deci­sivo che il potere pub­blico potrebbe svol­gere in una fase di depres­sione, ma si cerca di far leva sulla piena dispo­ni­bi­lità della forza lavoro alle con­ve­nienze delle imprese. È la poli­tica fal­li­men­tare degli ultimi decenni. Essa ha creato lavoro sem­pre più pre­ca­rio, gene­rato bassi salari, inde­bo­lito la domanda interna, spinto gli impren­di­tori a con­tare sullo sfrut­ta­mento della forza lavoro più che sull’innovazione, con­tri­buito a ingi­gan­tire la scala della sovrap­pro­du­zione capi­ta­li­stica mon­diale alla base della crisi di que­sti anni. Gli oltre 3 milioni di disoc­cu­pati appena cen­siti dall’Istat sono il seguito natu­rale di tale sto­ria, nazio­nale e mondiale.

In Ita­lia que­sta via con­tri­buirà ad allar­gare l’area del “sot­to­mondo” in cui vivono ormai milioni di per­sone, con lavori sal­tuari e mal pagati, privi di cer­tezze, di iden­tità e di spe­ranze: uno solco ancor più pro­fondo fra società e ceto poli­tico. Quando, tra meno di due anni, occor­rerà togliere dal bilan­cio pub­blico intorno ai 40–50 miliardi di euro all’anno per ono­rare il rien­tro dal debito, come vuole il fiscal com­pact, occor­rerà aver pronto uno stato forte per con­trol­lare l’esplosione di con­flitti che seguirà alla distru­zione defi­ni­tiva del nostro wel­fare. Come si fa a non vedere già oggi la cur­va­tura auto­ri­ta­ria che sta pren­dendo il nostro Stato?

“Modello Syriza per portare i movimenti in Europa”. Intervista ad Antonio Mazzeo | Autore: fabio sebastiani da: controlacrisi.org

Tsipras ha messo ben al centro della campagna elettorale la battaglia dei paesi del Sud Europa? 
Di fronte agli scenari drammatici sia economici che geostrategici e militari che si stanno giocando nel Sud Europa bisogna comunque spendersi e metterci la faccia. Il Mediterraneo è l’estrema frontiera di un‘Europa-fortezza che ha deciso di utilizzare la sponda Nord come teatro di guerra, negando l’identità di un mare che da secoli rappresenta luogo di confronto e di mobilità libera. L’Europa ha fatto una scelta, quella di impedire l’accesso ai migranti e alle migrazioni. Utilizzano Spagna, Grecia e Italia come avamposti per impedire il flusso migratorio. Risultato, migliaia di persone da una parte sono alla fame e, dall’altra si sperperano le risorse nel Frontex e si attaccano in chiave colonialista le terre del Nord-Africa. Da una parte creano la crisi e, dall’altra, agiscono con la guerra, in varie forme sia asimmetrica che guerreggiata.

Come si risponde?
In una logica internazionalista di ricostruzione non soltanto di una sinistra antagonista ma anche una sinistra che mette insieme le aree sociali più importanti, quelle colpite dalla crisi e apre un confronto con i movimenti e le soggettività che si pongono il rifiuto del modello neoliberista. Nel nostro paese il rapporto tra sinistra antagonista e movimenti è arretrato. Rischiamo di perdere il treno con l’Europa perché l’altra Europa dei movimenti e della sinistra radicale continua nonostante le crisi a crescere come ha dimostrato anche il voto francese. Esiste il problema in Italia delle sconfitte e delle divisioni che bisogna superare. Bisogna interrogarsi di fronte agli scenari drammatici e fare tutti un passo indietro. Fare quello che è stato fatto in Grecia con Syriza come lo strumento cardine per impedire le politiche della Troika. Ma imparare quello che è stato fatto in America Latina dove si sono creati fronti ampli che di fatto stanno impedendo la colonizzazione degli Usa. Il trattato di libero commercio è stato fermato dalle organizzazioni sociali.

Il modello Syriza segue il filone di una “lotta contaminante”.
Ecco appunto, partiamo da un’altra esperienza come la lotta contro il Ponte sullo stretto. Una città difficile e un’area drammatica da un punto di vista sociale con il controllo di mafia e massoneria. Quella lotta ha permesso di costruire un movimento che è andato al di là delle organizzazioni sociali. Un risultato inimmaginabile, la vittoria come sindaco di Accorinti. Sei si costruiscono processi dal basso e ci si mette in discussione quelle che sono lotte territoriali diventano lotte di trasformazione e di rimpossessamento dei territori. Elementi che le logiche del governo Renzi mettono in discussione perché cancellano le autonomie locali e le forme di rappresentanza dal basso. La mia candidatura in linea con l’esperienza di “Messina dal basso” e con Accorinti. Oggi le lotte territoriali non sono solo contro i processi liberisti ma anche per riappropriarsi della democrazia.

La giornata di Tsipras a Palermo è stata caratterizzata dal grande entusiasmo e da una forte caratterizzazione politica che ha creato un filo diretto tra i poteri criminali in Italia e lo strapotere di certe cordate politico-burocratiche a Bruxelles.
Certo, nel caso di Bruxelles non parliamo di organizzazioni militari come la mafia e la ‘ndrangheta ma certamente di gruppi bancari criminogeni. Quello che mi ha piacevolmente sorpreso è l’aver battuto tantissimo da parte di Tsipras, sia durante la visita che nel suo intervento, sulle mafie. La scelta di Palermo è un esempio per tutta l’Europa proprio per il modello di lotta sociale antimafia. Tsipras ha riconosciuto una identità storica a Palermo e alla Sicilia. E l’incontro con Di Matteo e la scelta di andare all’albero Falcone lo testimoniano. Tra le vittime di mafia, poi, ha scelto Rosario Di Salvo e Pio La torre ovvero figure di comuniste presenti e attivi nelle lotte scoiali e nella lotta per la pace.

Qual è il tuo slogan come candidato in questa competizione elettorale europea?
Non mi voglio più vergognare di essere l’europeo che guarda da questa parte della rete i fratelli dei Cie o, sempre diviso da una rete, i cacciabombardieri e i droni che spargono distruzione a livello continentale.