Mafia: condanna a dieci anni per Mercadante DA: ANTIMAFIA DUEMILA

 

mercadante-giovanniL’ex esponente di Forza Italia era ‘Cosa’ di Bernardo Provenzano
di AMDuemila – 21 marzo 2014
Dieci anni e otto mesi. Pesantissima condanna per Giovanni Mercadante, ex deputato regionale di Forza Italia e primario della radiologia del Maurizio Ascoli di Palermo, accusato dalla Procura di essere “uno di quei soggetti che, fungendo da elemento di cerniera tra società civile e l’organizzazione mafiosa, hanno consentito a Cosa Nostra di sopravvivere per decenni all’azione di contrasto svolta dagli organi dello Stato”. La sentenza conferma di fatto quella in primo grado del 2009.
La seconda sezione della Cassazione aveva precedentemente annullato con rinvio la sentenza che aveva invece assolto Mercadante “perché il fatto non sussiste”.

Definito dal gip che lo mandò in carcere (l’ex primario ha trascorso 12 mesi in detenzione e 43 ai domiciliari) parlando degli stretti rapporti con il boss Bernardo Provenzano, “una Cosa sua”, il radiologo era accusato di essere medico di fiducia nonchè punto di riferimento per le famiglie mafiose, e in particolare per il padrino corleonese. L’inchiesta ebbe un svolta solo nel 2006, dopo l’arresto di Provenzano, mentre in passato il suo nome, finito nelle indagini, era stato archiviato due volte.
Il pentito Giovanni Brusca aveva parlato della sua vicinanza al boss Tommaso Cannella, cugino di Mercadante, mentre il collaboratore Antonino Giuffrè raccontò di essersi rivolto al medico, su indicazione dello stesso Provenzano, per fare eseguire alcuni esami clinici al latitante agrigentino Ignazio Ribisi.
L’accusa ha sostenuto che Mercadante è stato votato alle Regionali del 2001 grazie al benestare di Cosa nostra, “lei non ha idea di come lo stiamo portando”, diceva Salvatore Alfano, appartenente al mandamento della Noce e in seguito arrestato. “… Tutta Via Noce, guardi … non c’è nessuno che alzi un dito contro Giovanni Mercadante…”. In cambio, ovviamente, di una serie di favori.
Durante il processo erano stati inoltre esaminati i contatti fra il primario della radiologia e il prof. Leoluca Di Miceli, uno dei cassieri di Riina e Provenzano arrestato per associazione mafiosa, al fine di fissare alcuni incontri fra il medico e la famiglia del latitante Provenzano al Maurizio Ascoli.

Turchia, Erdogan oscura Twitter ma non ci riesce. Adesso proverà con Yt e Fb Autore: fabrizio salvatori da: controlacrisi.org

La Turchia ha bloccato l’accesso a Twitter. Ed ora potrebbe toccare anche a Facebook e Youtube. Ieri dopo la minaccia espressa dal premier turco Recep Tayyip Erdogan di voler vietare l’uso del social network nel paese, a seguito della pubblicazione proprio sulla rete delle registrazioni di alcune intercettazioni telefoniche che lo chiamano in causa direttamente in uno scandalo per corruzione, le autorità hanno “tecnicamente bloccato l’accesso a Twitter” perchè
il social media non ha rispettato diversi ordini arrivati dalle autorità giudiziarie di rimuovere link ritenuti illegali. Twitter ha già fatto sapere che i turchi possono aggirare il blocco twittando attraverso il servizio di testo dei telefoni cellulari.Da parte sua il commissario europeo per le nuove tecnologie, Neelie Kroes, ha scritto sul proprio account che il blocco deciso in Turchia “è senza fondamento, inutile e vigliacco”. Erdogan sostiene che l’inchiesta in materia di corruzione che a dicembre ha quasi travolto il suo governo sia stata orchestrata dall’estero tramite i social network, ai quali ha quindi dichiarato guerra. Ironia della sorte, la sua frase su Twitter e’ stata rilanciata dall’agenzia ufficiale Anadolu proprio tramite il suo account sul sito di micro-blogging. Il 7 marzo scorso Erdogan se l’era presa con altri siti.

La minaccia di censurare anche Youtube e Facebook dopo il 30 marzo e’ arrivata dopo che il parlamento ha approvato a fine febbraio una legge di proposta governativa che rafforza il controllo pubblico sul Web, dando all’autority sulle telecomunicazioni i poteri di raccogliere dati sugli utenti e di bloccare siti Web.

Marx a Rosarno Fonte: Il Manifesto | Autore: Teresa Pullano

L’Europa asso­mi­glia sem­pre di più all’Inghilterra descritta da Char­les Dic­kens. E da Karl Marx. Le città inglesi dell’Ottocento, come Roma, Lon­dra o Parigi oggi , sono tra le «città più ric­che d’Europa» dove però «abbonda la più cruda povertà e mise­ria dome­stica». Marx descrive le con­di­zioni di vita della «popo­la­zione nomade». «Pas­siamo ora ad uno strato di ori­gine con­ta­dina, ma di occu­pa­zione in gran parte indu­striale. Esso costi­tui­sce la fan­te­ria leg­gera del capi­tale, che la getta ora in un punto e ora in un altro a seconda del suo fab­bi­so­gno. Se non è in mar­cia, eccolo “accamparsi”.

Il lavoro nomade è uti­liz­zato per diverse ope­ra­zioni edili e di dre­nag­gio, la fab­bri­ca­zione di mat­toni, la cot­tura della calce […]. Nelle imprese che com­por­tano note­voli inve­sti­menti di capi­tale, come la costru­zione di fer­ro­vie ecc., per lo più lo stesso impren­di­tore for­ni­sce al suo eser­cito barac­che di legno o simili: vil­laggi improv­vi­sati senza il minimo di pre­vi­denze sani­ta­rie […]e quanto mai lucra­tivi per il signor appal­ta­tore, che sfrutta due volte gli ope­rai: come sol­dati dell’industria e come inqui­lini» (Marx, Il Capi­tale, volume primo, capi­tolo XXIII). Chiun­que abbia visto le foto­gra­fie delle tende dei brac­cianti immi­grati a Rosarno si rende conto che le con­di­zioni di cui Marx parla sono ancora attuali. Spesso però si crede che riguar­dino solo gli altri da noi, i neri, gli immi­grati senza docu­menti, al mas­simo i nostri con­cit­ta­dini euro­pei rumeni o bul­gari. Invece Marx ci ricorda che i lavo­ra­tori nomadi e sfrut­tati sono la con­di­zione indi­spen­sa­bile per­ché ci sia accu­mu­la­zione del capi­tale, ovvero per­ché i ric­chi lo diven­tino ancora di più

“Ci atterremo al voto delle tute blu”, Landini dal palco dell’assemblea Fiom: strappo con la Cgil Autore: fabio sebastiani da: controlacrisi.org

 

“Quando si creano le condizioni e il consenso si possono respingere i disegni gravi”. Inizia così il suo intervento Maurizio Landini all’assemblea nazionale del delegati che oggi si è tenuta a Roma, ricordando l’anniversario della marea Cgil che ha invaso il Circo Massimo nel 2002 contro l’attacco all’articolo 18. Non a caso, perché quella marea fermò, per un po’, un attacco senza precedenti ai diritti del lavoro. Un’assemblea, particolare, quella all’Eur di oggi perché ha presentato a tutta la Fiom i nuovi eletti nei direttivi regionali e territoriali della Fiom. Una assemblea quindi del gruppo dirigente diffuso dei metalmeccanici, mai convocata prima, come ci tiene a dire Landini.

Due segnali chiari, quindi lanciati all’indirizzo della Cgil per dire, in ben cinquanta minuti di intervento dedicati tutti a questo tema, che la democrazia per i rossi della Fiom continua ad avere una centralità straordinaria. Non lo è solo perché servirà ad affrontare le “scelte importanti che vogliamo fare”, chiosa Landini. Lo è perché con tutta evidenza la Fiom ha deciso di portare avanti la sua battaglia in Cgil “fino in fondo”. Lo strappo sul 10 gennaio ad opera di Susanna Camusso rischia di lasciare un segno profondo nella storia del più grande sindacato italiano dei lavoratori. E, a quanto dice Landini dal palco, non solo perché va a toccare la conta dei dirigenti nel sindacato. Il punto è il passaggio epocale che sta per investire la condizione del lavoro, fino all’idea stessa della confederalità e, appunto, di democrazia.

Il primo guanto di sfida è sulla gestione della cosiddetta consultazione sull’accordo. Il referendum sul testo unico sulla rappresentanza proseguira’ tra i lavoratori metalmeccanici fino al 7 aprile, in modo da avere i risultati prima del congresso nazionale della Federazione delle tute blu, che si terra’ a Rimini dal 10 al 12 aprile.
“Vi invito tutti da qui ai primi di aprile – ha detto Landini – ad andare fabbrica per fabbrica a distribuire il testo, perche’ i lavoratori devono conoscerlo e non leggere delle sintesi su volantini che hanno fatto addirittura a fumetti”. Lo schema di Landini è chiaro: visto le scorrettezze sulla consultazione sugli accordi precedenti (28 giugno 2011 e 31 maggio 2013) stavolta le tute blu voteranno in modo certo, e autogestito. “E noi ci atterremo a quel voto”. Una dichiarazione di guerra che Landini aveva già fatto nei giorni scorsi ma che ripetuta dal palco dell’assemblea nazionale ha tutt’altro sapore. “Noi come Fiom saremo vincolati dall’esito del voto che tutti i metalmeccanici esprimeranno”, dice Landini tra gli applausi della sala. Ma tra le critiche alla Cgil LAndini ci infila anche qualche “appunto” sull’andamento del congresso, di cui non solo non conoscono ancora i dati delle votazione ma che in qualche caso riservano sorprese molto sgradevoli per la Fiom, come il fatto di aver preso il 35% sugli emendamenti e poi non vedersi riconosciuto alcun delegato al congresso.

Di frecce nella faretra il leader della Fiom ne ha molte. A partire dalla sentenza della Consulta sulla vicenda Fiat, “non coerente con l’accordo del 10 gennaio”. E le usa senza risparmio. “La Cgil nel 2009 non firmò l’accordo separato con il Governo. La Cgil non firmò perché era contro arbitrato, Ipca, sanzioni, mancato pronunciamento dei lavoratori e deroghe”, fa notare. E’ evidente che il testo firmato da Susanna Camusso nel gennaio del 2014 ha introdotto una contraddizione perché prevede almeno l’arbitrato, e le sanzioni contro gli stessi delegati. Sollevare l’argomento della coerenza per Landini è facile. “Senza i delegati eletti dai lavoratori non esiste né la Fiom né la Cgil”, sottolinea. Ma il ragionamento non è solo della “vertenza democrazia” che vede la Cgil come controparte della Fiom. Landini mette il dito nella piaga quando parla della crisi della rappresentanza del sindacato. Un crinale pericoloso che sta portando le relazioni sindacali tutto in mano alla “proprietà dell’azienda”. “Un aziendalismo che rompe la solidarietà tra le categorie e il pluralismo sindacale”, dice.Landini poi si rivolge al Governo avvertendolo che per il momento la scelta è quella di “andare a vedere” cosa ha da dire sulla ripresa economica. Ma la linea del Piave è molto netta: “Non c’è scambio tra occupazione da una parte e diritti e democrazia dall’altra”. Il punto vero è che è del tutto inutile “precarizzare” senza creare le basi dello sviluppo.

“Noi diciamo a Renzi che siccome lui vuole cambiare il nostro Paese noi siamo pronti, anche noi lo vogliamo cambiare perche’ cosi’ non funziona. E noi sfidiamo Renzi su cambiamento, ci vogliamo confrontare nel merito”, dice il segretario della Fiom. “Pensiamo che sia importante che ci ascolti- ha detto ancora Landini- . Ma noi non chiediamo che per decidere debba ascoltare noi, lui ha il diritto di decidere il punto e ascoltarci. Se lo fa bene, se non lo fa e dovesse andare avanti su un’altra strada, noi facciamo il nostro mestiere, cioe’ proviamo a far cambiare idea al Governo perche’ pensiamo che c’e’ bisogno di un cambiamento. È un atteggiamento autonomo e rispettoso e soprattutto colgo un elemento di novita’”. Landini ricorda che sono 20 anni che abbiamo governi che fanno delle chiacchiere “ma non cambiano e anzi peggiorano”. Quindi, “una volta che uno dice di voler cambiare questo Paese, noi cosa dovremmo mantenere? Le pensioni che ci hanno cancellato? La precarieta’? I salari bassi, che la gente non ci arriva? Cosa dobbiamo difendere? Noi lo dobbiamo cambiare questo Paese, quindi siamo pronti a confrontarci. Spetta al Governo scegliere con chi vuol cambiare il Paese. Con chi lavora? Con chi paga le tasse? Noi siamo pronti. Lo vuole fare contro di noi? A quel punto li’ decideremo quale iniziativa fare”.
La Fiom è pronta ad unificare il mondo del lavoro, e alla Confindustria e al Governo chiede di mettere carburante negli investimenti e di cambiare le politiche. Innanzitutto, cominciando ad impedire la chiusura delle aziende, magari con il rifinanziamento dei contratti di solidarietà, la penalizzazione della delocalizzazione e un nuovo intervento pubblico. “Misureremo questo governo per quello che concretamente faranno”, conclude tra gli applausi Landini.