CATANIA : PREPARAZIONE 25 APRILE

anpi
 lunedì 24 marzo  presso la CGIL di via crociferi 40

ore 16.00

riunione degli studenti

ore 18.00

riunioni associazioni e partiti

per continuare la preparazione del 25 aprile

un caro saluto

santina sconza presidente anpi provinciale catania

«Altro che feroce invasione» da: il manifesto

Intervista a Noam Chomsky. Il professore del Massachusetts Institute of Technology sui nuovi venti di guerra oriente-occidente, accusa i giornalisti di asservimento al pensiero comune e gli Usa di doppiopesismo

19-inchiesta-Noam-ChomskyDi «pas­sag­gio» a Tokyo per una serie di affol­la­tis­sime con­fe­renze, abbiamo chie­sto a Noam Chom­sky, pro­fes­sore eme­rito di lin­gui­stica al Mas­sa­chu­setts Insti­tute of Tech­no­logy, il suo parere sui nuovi «venti di guerra» tra Occi­dente e Oriente, che agi­tano il pia­neta. E non solo per quel che riguarda la crisi ucraina e ora la Crimea.

L’Occidente sem­bra essere pre­oc­cu­pato da quello che qual­cuno ha defi­nito il «fasci­smo» di Putin. E men­tre tor­nano i toni da guerra fredda, la situa­zione, in Cri­mea, rischia di precipitare…
Non solo in Cri­mea, direi che anche qui, in Asia orien­tale, la ten­sione è altis­sima, tira una brut­tis­sima aria. Il recente rife­ri­mento del pre­mier Shinzo Abe — per il quale non nutro par­ti­co­lare stima — alla situa­zione dell’Europa prima del primo con­flitto mon­diale è più che giu­sti­fi­cato. Per­ché le guerre pos­sono anche scop­piare per caso, o a seguito di un inci­dente, più o meno pro­vo­cato. Quanto alla Cri­mea, fac­cio dav­vero fatica ad asso­ciarmi all’indignazione dell’occidente. Leggo in que­sti giorni edi­to­riali assurdi, a livello di guerra fredda, che accu­sano i russi di essere tor­nati sovie­tici, par­lano di Ceco­slo­vac­chia, Afgha­ni­stan. Ma dico, scher­ziamo? Per un gior­na­li­sta, un com­men­ta­tore poli­tico, scri­vere una cosa del genere, oggi, signi­fica avere svi­lup­pato una capa­cità di asser­vi­mento e subor­di­na­zione al «pen­siero comune» che nem­meno Orwell avrebbe potuto imma­gi­nare. Ma come si fa? Mi sem­bra di essere tor­nato ai tempi della Geor­gia, quando i russi, entrando in Osse­zia e occu­pando tem­po­ra­nea­mente parte della Geor­gia, fer­ma­rono quel pazzo di Sha­kaa­sh­vili, a sua volta (mal) «con­si­gliato» dagli Usa. I russi, all’epoca, evi­ta­rono l’estensione del con­flitto, altro che «feroce invasione».
Per carità, tutto sono tranne che un filo russo o un fan di Putin: ma come si per­met­tono gli Stati uniti, dopo quello che hanno fatto in Iraq – dove dopo aver men­tito spu­do­ra­ta­mente al mondo intero sulla sto­ria delle pre­sunte armi di distru­zioone di massa, sono inter­ve­nuti senza un man­dato Onu a migliaia di chi­lo­me­tri di distanza per sov­ver­tire un regime – a pro­te­stare, oggi, con­tro la Rus­sia? Voglio dire, non mi sem­bra che ci siano state stragi, puli­zie etni­che, vio­lenze dif­fuse. Io mi chiedo: ma per­ché con­ti­nuamo a con­si­de­rare il mondo intero come nostro ter­ri­to­rio, che abbiamo il diritto, quasi il dovere di «con­trol­lare» e, nel caso, modi­fi­care a seconda dei nostri inte­ressi? Non è cam­biato nulla, alla Casa Bianca e al Pen­ta­gono, sono ancora con­vinti che l’America sia e debba essere la guida – e il gen­darme – del mondo.

A pro­po­sito di minacce, oltre alla Rus­sia, anche la Cina e il Giap­pone fanno paura? Chi dob­biamo temere di più?
Dob­biamo temere di più gli Stati uniti. Non ho alcun dub­bio, e del resto è quanto riten­gono il 70% degli inter­vi­stati di un recente son­dag­gio inter­na­zio­nale svolto in Europa e citato anche dalla Bbc. Subito dopo ci sono Paki­stan e India, la Cina è solo quarta. E il Giap­pone non c’è pro­prio. Que­sto non signi­fica che quello che stanno facendo, anzi per ora, per for­tuna, solo dicendo i nuovi lea­der giap­po­nesi non siano peri­co­lose e inac­cet­ta­bili pro­vo­ca­zioni. Il Giap­pone ha un pas­sato recente che non è ancora riu­scito a supe­rare e di cui i paesi vicini, soprat­tutto Corea e Cina non con­si­de­rano chiuso, in assenza di serie scuse e soprat­tutto atti di con­creto rav­ve­di­mento dal parte del Giappone.
Pro­prio in que­sti giorni leggo sui gior­nali che il governo, su pro­po­sta di alcuni par­la­men­tari, ha inten­zione di rive­dere la cosid­detta «dichia­ra­zione Kono», una delle poche dichia­ra­zioni che ammet­teva, espri­mendo con­tri­zione e rav­ve­di­mento, il ruolo dell’esercito e dello stato nel rastrel­lare decine di migliaia di donne coreane, cinesi e di altre nazio­na­lità e costri­gen­dole a pro­stu­tirsi per «risto­rare» le truppe al fronte.

Già, le famose «donne di ristoro», tut­ta­via ogni paese ha i suoi sche­le­tri. In Ita­lia pochi sanno che siamo stati i primi a gasare i «nemici» e anche inglesi e ame­ri­cani non scher­zano, quanto a cri­mini di guerra nasco­sti e/o ignorati
Asso­lu­ta­mente d’accordo. Solo che un conto è l’ignoranza, l’omissione sui testi sco­la­stici, un conto è il nega­zio­ni­smo: insomma, in Ger­ma­nia se neghi l’olocausto rischi la galera, in Giap­pone se neghi il mas­sa­cro di Nan­chino rischi di diven­tare premier.

PIO D’EMILIA

da il manifesto

Facciamoci del male da: il manifesto

 

 

La noti­zia è inso­lita e cla­mo­rosa. L’Arci, il gigante dell’associazionismo ita­liano, l’organizzazione ricrea­tiva e cul­tu­rale nata nel ’57, con 116 comi­tati pro­vin­ciali e un milione e cen­to­mila soci, dopo quat­tro giorni di con­fronto non è riu­scita a con­clu­dere i lavori del suo sedi­ce­simo con­gresso. Al momento di com­porre le diver­sità, tra un’anima legata alle case del popolo e ai cir­coli emi­liani e toscani e una sen­si­bi­lità più movi­men­ti­sta cre­sciuta nelle lotte sociali, molto al sud con­tro la cri­mi­na­lità, si è pre­fe­rito alzare ban­diera bianca e rin­viare tutto a un con­gresso bis. Nel frat­tempo l’associazione sarà gover­nata da un comi­tato di reg­genza diretto dal pre­si­dente uscente, Paolo Beni.

 

Nono­stante ci fos­sero tutti le avvi­sa­glie di un con­flitto, testi­mo­niato dalla sfida di due can­di­dati alla suc­ces­sione, tut­ta­via l’esito di una rot­tura ha colto di sor­presa chi fino all’ultimo aveva spe­rato in una pos­si­bile con­vi­venza delle dif­fe­renze. Per­ché così dovrebbe essere in una asso­cia­zione ricca di sto­ria, di espe­rienze sociali, di bat­ta­glie civili. Per­ché l’Arci non è un par­tito dove que­stioni di potere spesso fanno pre­mio sui con­te­nuti. Per­ché siamo in un momento di sban­da­mento forte della sini­stra, e la presa del potere di Renzi è lì a ricordarcelo.

 

Non essere riu­sciti nell’impresa di valo­riz­zare i diversi orien­ta­menti per farne la forza dell’associazione, per ren­derla più capace di coniu­gare la tra­di­zione, la soli­dità con i mili­tanti più vicini alle mobi­li­ta­zioni e ai momenti di lotta di que­sti anni di crisi (appunto l’obiettivo dif­fi­cile ma ambi­zioso del con­gresso), è un brutto segnale. Pur­troppo non l’unico a col­pire l’arcipelago della sini­stra in que­sto momento.

 

Abbiamo appena visto un esor­dio dif­fi­cile della Lista per Tsi­pras, alla quale pro­prio dall’Arci viene un soste­gno forte e capil­lare già nella rac­colta delle firme e nelle can­di­da­ture. E le cro­na­che di que­sto fine set­ti­mana rac­con­tano di scon­tri (anche fisici) per i pac­chetti di voti nelle urne delle pri­ma­rie degli orga­ni­smi peri­fe­rici del Pd (e in pro­spet­tiva per le can­di­da­ture alle pros­sime ele­zioni europee).

 

Nascon­dere o addol­cire la pil­lola non serve. Meglio guar­dare in fac­cia i nostri limiti e cer­care di trarne qual­che inse­gna­mento. Come fa, egre­gia­mente, uno spot che pub­bli­cizza la Lista per Tsi­pras. Un gruppo di ragazzi attorno al tavolo di un bar che ini­ziano bal­dan­zosi a rife­rire sulla buona rac­colta di firme ma che poi si ritro­vano a liti­gare per­ché cia­scuno pensa che il suo par­ti­cu­lare sia il solo, il vero, l’unico degno di essere rappresentato.

 

La crisi evi­den­te­mente lavora a divi­dere, social­mente innan­zi­tutto e quindi poli­ti­ca­mente. Ma un pen­siero di sini­stra dovrebbe esserne così con­sa­pe­vole da essere in grado di met­tere in campo tutti gli anti­corpi per neu­tra­liz­zare divi­sioni ideo­lo­gi­che che hanno perso da gran tempo la loro forza, per acco­gliere invece le mille sfu­ma­ture cul­tu­rali, poli­ti­che e sociali che fanno della sini­stra l’unica voce cri­tica con­tro la deriva di un modello fal­li­men­tare che ormai si affida al mar­ke­ting poli­tico come l’ultima ancora di con­senso. La crisi dovrebbe essere un’occasione di rin­no­va­mento, lo spec­chio in cui leg­gere gli errori, non l’alibi per raschiare il barile.

70° della Resistenza / FOGLIAZZA presenta “…Teniamoci Visti & Resistenti” – Tour2014 / CALENDARIO SPETTACOLI


Elytra
in collaborazione con
LOGO SC DEF
presentano
In occasione delle Celebrazioni del 70° Anniversario della Resistenza (1943-1945)
GIANLUCA FOGLIA “FOGLIAZZA”
in
RCS.fogliazza1
… Teniamoci Visti & Resistenti Tour2014
MARZO
SABATO 22 MARZO
OFFICINE LIBERTA’ – l’Onda della Madonnina
(Prova aperta riservata alle scuole)
ore 10,30 – OFFICINA GENERALE ATM – via Teodosio
MILANO
SABATO 22 MARZO
OFFICINE LIBERTA’ – l’Onda della Madonnina
(DEBUTTO UFFICIALE)
ore 21 – OFFICINA GENERALE ATM – via Teodosio
MILANO
INVITO DEF
LUNEDI 24 MARZO
RIBELLI COME IL SOLE / il libro
ORE 11,00 – LICEO ARTISTICO TOSCHI
PARMA
MARTEDI 25 MARZO
RIBELLI COME IL SOLE / il libro
ORE 11,00 – ISTITUTO GUATELLI
COLLECCHIO (PR)
GIOVEDI 27 MARZO
RIBELLI COME IL SOLE / il libro
ORE 11,00 – ISTITUTO MAESTRI
SALA BAGANZA (PR)
APRILE
MERCOLEDI 02 APRILE
MEMORIA INDIFFERENTE – le Donne della Resistenza
ORE 21,00 – SALA DEGLI ESPOSTI
CASTELFRANCO EMILIA (MO)
GIOVEDI 03 APRILE
MEMORIA INDIFFERENTE – le Donne della Resistenza
ORE 11,30 – TEATRO SAN GIOVANNI BOSCO
POZZUOLO MARTESANA (MI)
VENERDI 04 APRILE
MEMORIA INDIFFERENTE – le Donne della Resistenza
ORE 21,00 – AUDITORIUM MARIO RIGONI STERN
AGRATE BRIANZA (MB)
LUNEDI 07 APRILE
OFFICINE LIBERTA’ – l’Onda della Madonnina
ORE 21 – AUDITORIUM DI VITTORIO C/O CAMERA DEL LAVORO
MILANO
MERCOLEDI 09 APRILE
OFFICINE LIBERTA’ – l’Onda della Madonnina
ORE 11 – CINEMA TEATRO ARISTON
SAN GIULIANO MILANESE (MI)
GIOVEDI 10 APRILE
MEMORIA INDIFFERENTE – le Donne della Resistenza
ORE 11 – CENTRO SOCIALE I° MAGGIO
GUASTALLA (RE)
VENERDI 11 APRILE
MEMORIA INDIFFERENTE – le Donne della Resistenza
ORE 11 – AUDITORIUM
GEMONA (UD)
VENERDI 11 APRILE
MEMORIA INDIFFERENTE – le Donne della Resistenza
ORE 21 – AUDITORIUM
GEMONA (UD)
DOMENICA 13 APRILE
MEMORIA INDIFFERENTE – le Donne della Resistenza
ORE 17 – GALLERIA SCIPIONE
MACERATA
LUNEDI 14 APRILE
MEMORIA INDIFFERENTE – le Donne della Resistenza
ORE 21 – SALA DELLE PIETRE c/o PALAZZO COMUNALE
TODI (PG)
MERCOLEDI 16 APRILE
MEMORIA INDIFFERENTE – le Donne della Resistenza
ORE 11 – TEATRO DE ANDRE’
CASALGRANDE (RE)
MERCOLEDI 23 APRILE
MEMORIA INDIFFERENTE – le Donne della Resistenza
ORE 11 – LICEO NEWTON
CAMPOSAMPIERO (PD)
MERCOLEDI 23 APRILE
MEMORIA INDIFFERENTE – le Donne della Resistenza
ORE 21 – AUDITORIUM
CENTO (FE)
GIOVEDI 24 APRILE
MEMORIA INDIFFERENTE – le Donne della Resistenza
ORE 21 – BIBLIOTECA COMUNALE
SAN BENEDETTO VAL DI SAMBRO (BO)
SABATO 26 APRILE
MEMORIA INDIFFERENTE – le Donne della Resistenza
ORE 21 – FESTA PROVINCIALE A.N.P.I.
COPPARO (FE)
DOMENICA 27 APRILE
MEMORIA INDIFFERENTE – le Donne della Resistenza
ORE 21 – TEATRO BIAGI – D’ANTONA
CASTEL MAGGIORE (BO)
MAGGIO
VENERDI 02 MAGGIO
MEMORIA INDIFFERENTE – le Donne della Resistenza
ORE 11 – ISTITUTO TECNICO GENGA
PESARO

Libri & Conflitti. L’intervista a Antonio Musella, autore di IL PAESE DEI VELENI Autore: Valerio Sebastiani da: controlacrisi.org

Libri & Conflitti. Il “miracolo” economico italiano è stato in realtà un disastro. Dietro la favola della crescita e del progresso si è nascosto un sistema industriale che ha avvelenato un Paese intero. La maggior parte della superficie nazionale, insieme alle persone che la abitano, è stata svenduta al profitto, con la complicità della politica. Oggi, che l’Italia non può più ignorare il prezzo troppo caro in termini di vite umane che ha versato e continua a versare, anche le bonifiche si rivelano un grande business. Da Taranto a Napoli, da Rosignano a Brescia, passando per il Lazio e la Sicilia, il libro ripercorre la genesi del fenomeno biocidio che sta uccidendo il Belpaese. E delle comunità che hanno scelto di ribellarsi.
Il paese dei veleni. Il paese reale che muore, sotto i colpi di speculazione e profitto. Un’intervista ad Antonio Musella, uno dei curatori dell’inchiesta sui disastri ambientali degli ultimi anni.


Che cosa significa in questo periodo storico caratterizzato da una crisi che aggredisce corpi, coscienze, benessere e dignità, scrivere un’inchiesta sul biocidio?

Significa provare a mostrare come in conflitto tra capitale e lavoro interessi anche l’ambiente e come conseguenza incida anche sul bios di ciascuno di noi. Il lavoro che abbiamo fatto non indugia sul dolore delle vittime del biocidio, esercizio spesso caro ai preti, ma prova a svelare attraverso il metodo dell’inchiesta giornalistica come lo scempio del territorio sia parte integrante del sistema economico in cui viviamo e dentro la crisi l’aggressione si fa ancora piu’ acuta.

 

Di fronte ad un’opinione pubblica silenziosa, complice dei vari governi dell’austerità che si sono susseguiti in questi anni, si è opposta la tenacia dei comitati politici che hanno costruito campagne di critica e sensibilizzazione, come quella dello “Stop Biocidio”. Credete che la spinta dal basso tramite l’autorganizzazione, coadiuvato dall’apporto tecnico di medici, sia una strada efficace da percorrere per la denuncia e il cambiamento di condizioni critiche in cui verte, tra i tanti, la Terra dei Fuochi in Campania?
Crediamo che sia la sola possibile. I comitati in questi anni sono stati punti di riferimento impareggiabili. Senza di loro oggi non si saprebbe nulla del biocidio. Nel nostro paese c’e’ un gruppo di giornalisti che ha deciso di fare rete e dare voce alle ragioni dei comitati. Questo libro vuole essere uno strumento nelle mani di queste esperienze.

 

L’invasione degli impianti industriali (che siano fabbriche di armi o acciaierie), delle discariche e degli inceneritori (e perché no, della TAV) modificano la geografia ambientale e umana dei luoghi. Dai dati offerti dall’inchiesta risulta essere abbastanza sfumata la speranza di una sana convivenza – anche a livello economico – di queste “grandi opere” con l’uomo. Quali le prospettive per una gestione sana per il problema del corrotto industrialismo all’italiana?
La questione è molto complessa ed è al centro di una articolata discussione. In molti credono che la strada della riconversione ecologica sia lo strumento per alzare la soglia di sostenibilità. Noi ci sforziamo di indagare le diverse proposte e proviamo a stare nel recito del nostro mestiere. Di certo appare assai difficile immaginare la riconversione di una mostruosità come l’Ilva ad esempio.

 

E’ recentissima la notizia del rinvio a giudizio sul caso Ilva del governatore di Puglia Nichi Vendola, accusato ora di Concussione aggravata. Insieme a lui, una lista di nomi tutti legati da un filo rosso che come un cappio ha circondato la città di Taranto, diventata ormai un tutt’uno con l’Italsider, un essere chimerico da immaginario post apocalittico. In questo scenario non si può tralasciare la responsabilità di Vendola, complice insieme ai fratelli Riva e ad un sistema più vasto in cui sono partecipi media, DIGOS e aziende private, che ha permesso la sopravvivenza di un’architettura tutta retta dalla logica del profitto, a costo della vita stessa dei cittadini. La sinistra parlamentare, dunque, pare aver perso pure questo ultimo baluardo. Che considerazioni politiche puoi estrapolare da questi ultimi eventi?
Non spetta a me fare questo tipo di considerazioni. Dalle vicende che abbiamo indagato, compreso quella tarantina, è evidente che le amministrazioni di tutti i livelli da quello comunale fino al governo nazionale hanno avuto dei ruoli talvolta di complicità, talvolta di connivenza, talvolta di ambigua attenzione nei confronti degli autori dei peggiori scempi ambientali. Non credo che si possa fare una distinzione di tipo ideologico, gli amministratori locali devono rispondere innanzitutto ai cittadini del proprio territorio e troppo spesso destra e sinistra hanno avuto comportamenti analoghi. Credo pero’ che senza quel profilo culturale che i movimenti sociali che traggono le loro radici dalla sinistra extraparlamentare hanno saputo dare a diverse battaglie ambientali oggi saremo in un paese che, piuttosto che trarre ricchezza dalle esperienza di lotta sui territori come prefigurazione di una società altra, saremmo nel paese dei Nimby o degli interessi particolari. La sinistra come universo mondo ha dato un contributo importante a queste lotte. In tanti a sinistra anche in parlamento hanno sostenuto e sostengono queste battaglie. Pertanto credo che sia ingeneroso un giudizio frettoloso su questi temi sulla sinistra parlamentare, credo piuttosto che contino le responsabilità dei singoli.

Andreina Baccaro, 32 anni di Taranto. Giornalista professionista, lavora per il settimanale Wemag. Ha lavorato a L’Unità di Bologna. Nel 2007 ha vinto il premio “Ilaria Alpi Maria Grazia Cutuli” della Camera dei Deputati con la tesi di laurea “Il diritto all’informazione in tempo di guerra”.

 

Antonio Musella, 32 anni, giornalista ed attivista, reporter del giornale online Fanpage.it e collaboratore del settimanale Left. Ha pubblicato Mi rifiuto (Sensibili alle foglie, 2008, è coautore di Chi comanda Napoli (Castelvecchi, 2012).

 

Il paese dei veleni (Biocidio, viaggio nell’Italia contaminata)
di Andreina Baccaro e Antonio Musella
robin round edizioni
collana: Fuori rotta
pagine: 120
isbn: 9788895731964
prezzo: € 13

Cgil, un sindacato nel pantano il “bel risultato” della gestione Camusso Autore: fabio sebastiani da: controlacrisi.org

Sale la tensione tra Maurizio Landini e Susanna Camusso a poco meno di due mesi dal XVII congresso nazionale. Come era prevedibile, dopo le dichiarazioni del leader della Fiom sulla validità della consultazione sulla rappresentanza per le sole urne della Fiom, Camusso replica innervosita chiedendo più rispetto per la Cgil e bollando il segretario della Fiom come uno che “ha delle opinioni che non sono quelle della Cgil”. Una affermazione che di solito nel sindacato prelude all’espulsione.

 

E’ solo l’ultimo episodio, questo, di uno scontro interno che non conosce tregua e che rischia di portare la Cgil, insieme a mille altri fattori e dopo anni di sconfitte, nell’immobilità più assoluta in un momento in cui ci sarebbe bisogno di un’azione decisa. Da ieri, dalla visita di Renzi in Germania, è chiaro che l’azione sindacale ha bisogno di un salto di qualità. E invece, mentre la Cisl va per conto suo la Cgil sembra eprdersi sempre di più in un labirinto di “non azioni” e passi indietro. E la porta in faccia sbattuta dal presidente del Consiglio sulla precarietà, tema tanto caro alla leader della Cgil, è la prova tangibile che nemmeno più con i governi amici si riesce a cavare un ragno dal buco. E intanto, un nuovo attacco alle pensioni bussa alla porta.

 

Pronta la risposta di Landini che, come ha più volte ripetuto, cerca di disincagliare lo scontro dal perimetro mediatico tra lui e Susanna Camusso. “Non ho mai parlato a titolo personale – dice – essendo il segretario generale della Fiom Cgil parlo a nome dei metalmeccanici che mi hanno eletto”. “Non ho mai pensato che io sono la Cgil – aggiunge Landini – non ho deliri di onnipotenza, so che sono il sindacalista della Fiom Cgil e parlo a nome dei metalmeccanici che rappresento”. Landini, poi, torna sul punto della democrazia, e sottolinea che c’e’ nel paese una “crisi di rappresentanza” ma anche una “crisi democratica” nel sindacato, come dimostrano gli accordi separati, e nella Cgil. Landini e’ quindi tornato a chiedere una legge sulla rappresentanza che metta il lavoratore nelle condizioni di scegliere il sindacato che vuole e di validare col voto gli accordi. La Fiom terrà venerdì prossimo l’assemblea dei delegati. E questo è il clima migliore per far maturare un nuovo episodio dello scontro, che si va configurando sempre più come il punto vero del congresso, soprattutto in riferimento alle due diverse strategie con le quali Landini e Camusso stanno affrontando i rapporti con il governo. Fiom tiene pronta l’arma dello sciopero mentre la Cgil, e ieri Camusso l’ha ribadito, non  ha nessuna voglia di misurarsi su quel terreno.

Ma gli scontri interni per Camusso non sono finiti qui. Da ieri si deve difendere anche dagli attacchi di Giorgio Cremaschi che a chiusura del “consuntivo” delle assemblee congressuali di base parla apertamente di brogli e conti che non tornano. In un congresso, replica Camusso, “c’e’ sempre qualcuno che comincia a parlare di brogli, voti falsi e mancanza di trasparenza, ma l’avesse mai fatto qualcuno di maggioranza. Lo fa sempre, guarda caso, chi e’ in minoranza”, dice nel corso del suo intervento al congresso del sindacato di Roma e Lazio. “Giorgio dice – spiega ancora Camusso – siccome noi abbiamo fatto le assemblee e abbiamo preso quei voti e’ evidente che quella e’ la proiezione dell’universo mondo e che quindi i numeri che sta dando la Cgil sono falsi”. Invece per Camusso “occorre interrogarci su come un’organizzazione quale la Cgil, che ha 5,7 milioni di iscritti, fa un dibattito nelle sue commissioni e litiga su come abbiamo votato troppi lavoratori, quando – sottolinea Camusso – semmai hanno votato in troppo pochi”

E’ la pace? Macché, è la spending review bellezza Fonte: Il Manifesto | Autore: Francesca Fornerio

Dopo l’Austerity, a cadere in disgra­zia sono gli F35, i cac­cia­bom­bar­dieri Joint Stright Fighter che solo in un paese con la cono­scenza media dell’inglese di par­la­men­tare dell’Italia dei valori pas­sato con Sil­vio Ber­lu­sconi pote­vano essere spac­ciati per «un mezzo non di attacco» (dialogo-tipo in Com­mis­sione Difesa: «Ma se non sono aerei da guerra per­ché si chia­mano così?» «Così come?»).

A difen­dere i Jsf è rima­sto solo l’ex mini­stro della difesa (dei cac­cia­bom­bar­dieri) Mario Mauro, uno dei dieci saggi a suo tempo con­vo­cati da Gior­gio Napo­li­tano per indi­vi­duare le prio­rità del paese (ve li ricor­date i 10 saggi, tutti maschi? Resto col dub­bio che Napo­li­tano volesse orga­niz­zare una par­tita di cal­cetto), non­ché testi­mo­nial della cam­pa­gna pub­bli­ci­ta­ria del colosso dell’industria bel­lica Loc­kheed Mar­tin, pro­dut­tore degli F35, dove il mini­stro scan­diva festo­sa­mente lo slo­gan «To love peace you must arm peace» (mi ero sem­pre chie­sta in quali cir­co­stanze sarebbe morto John Len­non se fosse scam­pato ai pro­iet­tili di Mark Chapman).

Mauro si duole dell’intenzione ven­ti­lata dal mini­stro Roberta Pinotti di ridurre ulte­rior­mente l’acquisto degli F35 e dichiara al Cor­riere della sera : «L’acquisto degli F35 era stato votato dal Pd, non si può cam­biare linea in con­ti­nua­zione!» (deve aver­glielo fatto notare qual­cuno quando è pas­sato da Ber­lu­sconi a Monti. O da Monti ai Popo­lari per l’Italia). Il motivo per cui il governo ita­liano — ultimo tra tutti i governi che hanno par­te­ci­pato alla costru­zione degli F35 — ha deciso di alleg­ge­rire l’ordinativo ha poco a che vedere con que­stioni eti­che: il fatto è che i Joint Stright Fighter costano il tri­plo rispetto a quanto ini­zial­mente pre­ven­ti­vato dal Pd (17 miliardi invece di 5. Doveva aver fatto i conti lo stesso che ha con­tato le mani alzate per Romano Prodi).
Inol­tre, l’aereo non fun­ziona: il mec­ca­ni­smo di aggan­cio di coda ha fal­lito otto test su otto, ha pro­blemi all’accensione, vibra in modo ano­malo, si depe­ri­sce prima del pre­vi­sto e costa il tri­plo di un altro modello (ma come gli è venuto in mente di costruire aerei da guerra alla Apple?). Quindi si è scelto di cor­rere ai ripari pun­tando su un diverso modello: l’Eurofighter, inter­cet­tore tra­sfor­ma­bile in cacciabombardiere.

Il Pd sta pre­pa­rando un docu­mento per illu­strare i risparmi di spesa e la sini­stra Pd esulta, ma più che una vit­to­ria della sini­stra a me pare una scon­fitta: che la rinun­cia all’acquisto di una flotta di aerei da guerra sia indotta dalla spen­ding review piut­to­sto che dal disarmo. Sì, lo so che i cac­cia­bom­bar­dieri ser­vono a espor­tare la demo­cra­zia, ma non vor­rei che a forza di espor­tarla fini­sce che restiamo senza.

A termine per sempre Fonte: Il Manifesto | Autore: Antonio Sciotto

La riforma del tempo determinato. Renzi difende il “contratto Poletti”: «Le regole restrittive del passato hanno fallito, ora si cambia gioco». Ma la Cgil non si arrende. Camusso: «Pressioni in Parlamento per modificare il decreto»

Mat­teo Renzi ha potuto por­tare ad Angela Mer­kel, ieri a Ber­lino, non solo il suo «ambi­zioso» (parole della stessa can­cel­liera) piano eco­no­mico, ma anche qual­cosa di già rea­liz­zato: ovvero il decreto Poletti sui con­tratti a ter­mine e l’apprendistato. Il pre­si­dente del con­si­glio ieri ha spie­gato la filo­so­fia di quel prov­ve­di­mento, e lo ha fatto pro­prio nel paese che traina tutta l’Europa e che insieme spinge costan­te­mente verso i sacri­fici e il rigore: «La pre­tesa di creare posti di lavoro attra­verso una legi­sla­zione molto pre­cisa, restrit­tiva è fal­lita – ha detto il pre­mier – Ora biso­gna cam­biare le regole del gioco».

Lui, Renzi, sta ten­tando di farlo, e ieri – obbli­ghi di cor­te­sia – ha rico­no­sciuto alla can­cel­liera che «la Ger­ma­nia è il punto di rife­ri­mento delle nostre poli­ti­che del lavoro». Ma nono­stante la cam­pa­gna quasi napo­leo­nica di con­qui­sta di Renzi, che con velo­cità e blitz ina­spet­tati ina­nella riforme e le pre­senta al pub­blico e ai suoi col­le­ghi al ver­tice degli altri paesi, in Ita­lia il dibat­tito sui con­tratti a ter­mine non si è ancora con­cluso. Anzi sarebbe più cor­retto dire che è appena ini­ziato, da qual­che giorno, visto che deve star die­tro ai tempi renziani.

La segre­ta­ria della Cgil Susanna Camusso ieri ha riba­dito che la Cgil farà di tutto per cam­biare il prov­ve­di­mento in Par­la­mento, per­ché «aumenta la pre­ca­rietà». Opi­nione con­di­visa anche dal lea­der della Fiom, Mau­ri­zio Lan­dini (e almeno su que­sto punto le due orga­niz­za­zioni vanno d’accordo). Men­tre gli altri due sin­da­cati, la Cisl e la Uil, hanno già dato disco verde alla riforma del governo.

«Se un con­tratto è pro­ro­ga­bile otto volte che dif­fe­renza ci sarà con un lavoro a chia­mata se puoi inter­rom­pere il con­tratto ogni volta? – si chie­deva ieri Camusso, par­lando davanti ai dele­gati della Cgil di Roma e del Lazio – E che inter­vento di qua­lità sul lavoro è mai que­sto se si mette un lavo­ra­tore nella perenne con­di­zione di sapere che dopo tre mesi il con­tratto è finito? Dob­biamo chie­derci se siamo di nuovo di fronte a una sta­gione che pro­muove il lavoro pur­ché sia. E potrà pure darsi che qual­che posto in più lo creino ma mi chiedo: qual è la pro­spet­tiva che si offre?».

Quindi pol­lice verso, e l’annuncio di una cam­pa­gna di pres­sione, anche se certo la scelta della piazza (o addi­rit­tura dello scio­pero) tra gli 85 euro in busta paga e la distanza da Cisl e Uil, a que­sto punto appare dif­fi­cile e quasi proi­bi­tiva: «La Cgil si con­fron­terà con i gruppi par­la­men­tari pro­vando a chie­dere modi­fi­che al decreto lavoro», annun­cia Camusso. Infine la segre­ta­ria ha rispo­sto a una domanda sulla tem­pi­stica della rea­zione del sin­da­cato: «Abbiamo detto la prima sera, con­tem­po­ra­nea­mente, quanto era­vamo con­tenti e sod­di­sfatti della resti­tu­zione fiscale e quanto era­vamo pre­oc­cu­pati sul lavoro. Quindi non vedo dove sia il ritardo».

Renzi stesso, ieri da Ber­lino, ha amm­messo che in effetti qual­che pro­blema il decreto lo ha incon­trato, sulla sua strada: sul  Jobs Act  «forse in qual­che parte del sin­da­cato ci sono stati dis­sensi», ha detto il pre­si­dente del consiglio.

Modi­fi­che ven­gono annun­ciate anche dalla mino­ranza del Pd, i «non ren­ziani» o «ber­sa­niani» che dir si voglia. Uno dei prin­ci­pali avver­sari di Renzi, l’ex vice­mi­ni­stro all’Economia Ste­fano Fas­sina, spiega che il dl Poletti «è in con­ti­nuità con la ricetta che vede nella pre­ca­rietà la via per gene­rare lavoro. Ma non è così: il lavoro dipende dalla domanda aggre­gata, dagli inve­sti­menti, dal livello di atti­vità pro­dut­tiva. L’intervento, per come è con­fe­zio­nato al momento, pre­fi­gura un altis­simo rischio di aumen­tare la pre­ca­rietà, senza creare nean­che un posto di lavoro in più».

Dun­que nel Pd si pre­vede un dibat­tito, che potrebbe sfo­ciare in un ten­ta­tivo di modi­fica in Par­la­mento, annun­ciato anche dal pre­si­dente della Com­mis­sione Lavoro della Camera, Cesare Damiano. L’ex mini­stro del Lavoro del governo Prodi con­corda nel rite­nere che «tre anni senza cau­sale sono troppi» e spiega che «deve rima­nere cen­trale il tempo indeterminato».

Intanto da Ncd con­ti­nuano a plau­dere al decreto. In par­ti­co­lare l’ex mini­stro Pdl del Lavoro, Mau­ri­zio Sac­coni, che sicu­ra­mente ha con­tri­buito a defi­nirlo: «Le novità intro­dotte – dice – indi­cano la dire­zione di mar­cia del governo».