MISTERBIANCO 17 /2 /2014: 70° ANNIVERSARIO DELLA MORTE DEL PARTIGIANO ORAZIO COSTORELLA EROE DELLA RESISTENZA E MEDAGLIA D’ORO AL VALORE CIVILE

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Alitalia, il percorso sindacale ancora non è finito. Ora sotto mira ci sono le buste paga | Autore: fabio sebastiani da: controlacrisi.org

 

In Alitalia il duro percorso per il taglio dei posti di lavoro non è finito. Nonostante quello che dicono sindacati e dirigenti, la partita non è ancora chiusa. L’intesa dell’altro giorno su 1.900 “esuberi-non esuberi”, ovvero un taglio che per il momento verrà trattato con ammortizzatori sociali e contratti di solidarietà. Per Gabriele Del Torchio, l’intesa “e’ solo un primo passaggio, che e’ quello del ricorso agli ammortizzatori: ora abbiamo un altro passaggio da fare, che e’ quello sul costo del lavoro, ma lo affronteremo dalla prossima settimana”. Il Piano industriale di Del Torchio prevede risparmi su questa voce per 128 milioni (su complessivi 295 milioni di risparmi totali) e l’accordo siglato l’altra notte sugli esuberi vale per circa un’ottantina di milioni: quelli che mancano all’appello, dovrebbero essere reperiti attraverso un taglio degli stipendi superiori ai 40 mila euro.

Critiche all’accordo sindacale arrivano dalla Cub, che per il 21 febbraio ha dichiarato uno sciopero con mobilitazione. “In sintesi, le organizzazioni sindacali concertative (Cgil, Cisl, Uil, Ugl e Usb + Ass. Piloti e AA/VV) e i vari governi succedutesi – si legge in un comunicato – hanno concesso alla CAI, dopo la mattanza di circa 10.000 lavoratori espulsi da Alitalia nel 2008, di mascherare la propria incapacità e i debiti accumulati, scaricando sulle spalle dei dipendenti e del paese altri 2938 esuberi ‘certificati’, che saranno gestiti con cassa integrazione e contratti di solidarietà”.

In pratica, i licenziamenti si sono semplicemente differiti al 2015, e cioè alla fine degli ammortizzatori sociali concordati.

La scossa democratica | Fonte: il manifesto | Autore: Jacopo Rosatelli

Intervista a Gustavo Zagrebelsky . «Contro antieuropeisti e mercatisti, la terza via è la Lista Tsipras. Per tornare alla civiltà, alla cultura del Vecchio Continente. Per riaccendere la corrente dell’Europarlamento»

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«Siamo in un momento cru­ciale. Cia­scuno dia il con­tri­buto che è nelle sue pos­si­bi­lità». Gustavo Zagre­bel­sky, ex pre­si­dente della Corte costi­tu­zio­nale, giu­ri­sta e intel­let­tuale di fama, guarda con molto inte­resse all’iniziativa che fa capo ad Ale­xis Tsi­pras, in vista delle pros­sime ele­zioni euro­pee: «C’è biso­gno di un sus­sulto di con­sa­pe­vo­lezza. E c’è poco tempo: dedi­chia­molo a spie­gare per­ché l’Europa ha biso­gno di una scossa e a chia­rirne i con­te­nuti da pre­sen­tare agli elettori».

Pro­fes­sore, lei sostiene che que­sta scossa può venire sol­tanto da un’affermazione del pro­getto che incarna il 39enne lea­der della sini­stra greca. Perché?
Pre­scin­diamo un momento dai nomi, guar­diamo prima al qua­dro d’insieme. Alle ele­zioni di mag­gio si affron­te­ranno due masto­donti: da una parte, gli anti­eu­ro­pei­sti, che sono tali in nome della rea­zione all’Europa della finanza che sta influendo pesan­te­mente sulle libertà demo­cra­ti­che dei Paesi in dif­fi­coltà; dall’altra, l’Europa degli inte­ressi della finanza incar­nati dagli Stati forti che impon­gono la loro legge ai deboli. I primi vogliono il ritorno alle sovra­nità chiuse, al nazio­na­li­smo. Gli altri vogliono il man­te­ni­mento dello sta­tus quo . Di fronte a que­sti due giganti, c’è una terza pos­si­bi­lità, rap­pre­sen­tata dall’iniziativa di Tsi­pras: è il recu­pero dell’idea di Europa dei padri fon­da­tori, che pen­sa­vano che l’integrazione eco­no­mica fosse solo il primo passo verso una piena inte­gra­zione poli­tica. Inol­tre, essendo un lea­der greco, la figura di Tsi­pras ha anche un aspetto sim­bo­lico, sia per­ché lì stanno le ori­gini della nostra civiltà, sia per la situa­zione in cui attual­mente versa quel Paese: non so se ci ren­diamo conto che qual­che mese fa ha chiuso l’Università di Atene.

Lei esclude, dun­que, che un simile ruolo di rot­tura pos­sano gio­carlo i socia­li­sti gui­dati dal tede­sco Mar­tin Schulz…
Non lo escludo affatto. Temo, però, che se si con­fron­te­ranno le due forze di cui dicevo — nazio­na­li­sti e «mer­ca­ti­sti» — alla fine la social­de­mo­cra­zia farà blocco con i con­ser­va­tori, nella logica delle lar­ghe intese, per far fronte al nemico comune. Sarebbe la para­lisi. So bene che quest’iniziativa della lista Tsi­pras è accu­sata di essere l’ennesimo ten­ta­tivo mino­ri­ta­rio, set­ta­rio, che fa il gioco di altri… Ma ormai non se ne può più di que­sto modo di ragio­nare. Penso che la que­stione Europa non si esau­ri­sca nell’allentamento del vin­colo del 3% deficit/pil o simili: c’è ben altro in gioco. Inten­dia­moci: met­tere in discus­sione i rigidi vin­coli finan­ziari, come dicono di voler fare i socia­li­sti, è pro­pe­deu­tico alle neces­sa­rie poli­ti­che di svi­luppo, ma è pur sem­pre un aggiu­sta­mento all’interno della logica che attual­mente regge l’Ue. Noi vogliamo riap­pro­priarci dell’idea dei padri fon­da­tori, che non si limi­tava alla dimen­sione mer­can­tile, ma mirava a un’idea politico-culturale: l’Europa come punto di rife­ri­mento per il mondo, basato sulle sue acqui­si­zioni civili e sociali. E se ciò potesse esi­stere, sarebbe anche un ele­mento d’equilibrio nei rap­porti inter­na­zio­nali: una dimen­sione total­mente estra­nea all’Ue di oggi, che non gioca alcun ruolo nella scena mon­diale e che non fa nulla affin­ché, ad esem­pio, i diritti sociali siano rico­no­sciuti anche nei Paesi di nuova indu­stria­liz­za­zione. Ma per farlo, dovrebbe prima esi­stere come entità poli­tica: per me, la lista Tsi­pras, scon­tran­dosi con gli inte­ressi delle nazio­na­lità chiuse e con quelli dei mer­cati glo­bali de-regolati, è un pro­getto che ha come primo obbiet­tivo costruire l’Europa come auten­tico spa­zio poli­tico demo­cra­tico. Siamo per­sino ancora «al di qua» di una divi­sione fra destra e sinistra.

Anche lei con­di­vide, come i pro­mo­tori dell’appello per la lista Tsi­pras, la neces­sità di cam­biare i trat­tati, magari attra­verso un pro­cesso costi­tuente. Sbaglio?
No, non sba­glia. Que­sto è ciò che dicono giu­sta­mente il movi­mento fede­ra­li­sta e, in gene­rale, tutti gli euro­pei­sti più avver­titi. Siamo in un momento in cui o si pone seria­mente il tema della demo­cra­tiz­za­zione delle isti­tu­zioni euro­pee o andremo incon­tro a un pro­gres­sivo depe­ri­mento dell’idea di Europa unita».

A pro­po­sito del pro­cesso costi­tuente non sarebbe come fare una costi­tu­zione senza popolo, senza un demos europeo…
Anche secondo me non si può fare una costi­tu­zione senza un popolo euro­peo, che attual­mente ancora non c’è. Ma ciò non signi­fica che abbiano ragione coloro che sosten­gono l’ipotesi «fun­zio­na­li­sta». Senza un popolo, c’è solo l’oligarchia. Senza demo­cra­zia, c’è solo la tec­no­cra­zia. Non può reg­gere l’Ue senza una sorta di «patriot­ti­smo» euro­peo, legato alla nostra con­sa­pe­vo­lezza orgo­gliosa di quella parte della sto­ria dell’Europa che ha gene­rato tol­le­ranza, diritti civili e sociali, uguale dignità degli esseri umani, amore per scienze e arte, pro­te­zione per i deboli, rifiuto di quel dar­wi­ni­smo sociale che, sotto forma di iper­li­be­ri­smo, sta inva­dendo il mondo. Una sto­ria fatta anche dalle sue cul­ture poli­ti­che: illu­mi­ni­smo, socia­li­smo e soli­da­ri­smo cri­stiano. Oggi, pur­troppo, c’è un impe­di­mento ogget­tivo alla pos­si­bi­lità di una costi­tu­zione euro­pea: l’indisponibilità alla soli­da­rietà fra Paesi. E se non c’è dispo­ni­bi­lità dei forti a con­di­vi­dere la fra­gi­lità dei deboli, non c’è costi­tu­zione che tenga.

Pensa che la Carta dei diritti fon­da­men­tali di Nizza sia una leva per aprire delle con­trad­di­zioni all’interno del diritto comu­ni­ta­rio vigente?
Quella Carta doveva essere la base di tutto, per­ché fon­dava la cit­ta­di­nanza euro­pea. È stata cri­ti­cata per essere sbi­lan­ciata sul piano dei diritti indi­vi­duali rispetto a quelli sociali, ma il pro­blema è che non è mai entrata dav­vero nel «san­gue» che cir­cola nella Ue: è vigente, ma è anche effet­tiva? Deci­sa­mente più «viva» è la Con­ven­zione euro­pea dei diritti umani, quella su cui vigila la Corte di Stra­sburgo. Va detto, tut­ta­via, che il ter­reno pura­mente giu­ri­dico è impor­tante, ma non è quello deter­mi­nante: di fronte alla bufera finan­zia­ria, il mondo del diritto non può fare molto. Ha biso­gno di essere ali­men­tato dal basso, dalla par­te­ci­pa­zione, dal fatto che «si avverta» che le carte e le corti hanno un ruolo. In ogni caso, biso­gna cer­ta­mente insi­stere sul fatto che una realtà come la troika (Com­mis­sione, Bce e Fondo mone­ta­rio, ndr ) non ha alcun fon­da­mento giu­ri­dico: in base a cosa vanno a con­trol­lare i conti dei Paesi come la Gre­cia? Non c’è né legit­ti­mità né lega­lità. Eppure, i suoi con­trolli e responsi con­ta­bili con­tano molto di più dell’Europarlamento, e pos­sono addi­rit­tura aprire la strada al fal­li­mento degli stati. Un tema, quello del fal­li­mento, su cui occorre porre molto di più l’attenzione.

In che senso?
Fino a qual­che tempo fa, l’accostamento stato-fallimento sarebbe apparso un’aberrazione: lo Stato non poteva fal­lire. Se oggi non respin­giamo que­sto acco­sta­mento è per­ché accet­tiamo senza accor­ger­cene la degra­da­zione dello Stato a società com­mer­ciale. Ma non può essere così, è una con­trad­di­zione in ter­mini: lo Stato è un’altra cosa. Noi non pos­siamo par­te­ci­pare a un’istituzione come la Ue se essa pre­vede, tra i suoi stru­menti, il fal­li­mento dei suoi mem­bri: uno stru­mento capace di annul­larne le isti­tu­zioni demo­cra­ti­che. Da costi­tu­zio­na­li­sta, osservo che l’adesione dell’Italia alla Ue si fonda sull’art.11 della nostra Costi­tu­zione, che dice che si può limi­tare la sovra­nità a favore di isti­tu­zioni sovra­na­zio­nali, ma a con­di­zione che esse ser­vano la pace e la giu­sti­zia tra i popoli. Se ser­vono non a que­sti, ma ad altri scopi, che si fa? Diciamo: con la lista Tsi­pras ci si impe­gna per scon­fig­gere i due masto­donti di cui dicevo prima, essendo aperti a ogni pos­si­bile col­la­bo­ra­zione per una Europa di pace e di giustizia.

C’è chi ha cri­ti­cato l’idea di que­sta lista per­ché sarebbe ostile ai par­titi, quasi il frutto di una sorta di gril­li­smo da intel­let­tuali. Come risponde?
Io credo al ruolo inso­sti­tui­bile dei par­titi, e penso che la poli­tica — come inse­gna Max Weber — debba essere anche una pro­fes­sione. Se ci guar­diamo attorno, però, dob­biamo dire che in Ita­lia non sem­pre ciò che si chiama «par­tito poli­tico», è dav­vero «poli­tico». Abbiamo idea di che cosa deve essere la poli­tica? Die­tro la lista Tsi­pras, per come la vedo io, c’è invece un’idea pie­na­mente poli­tica di orga­niz­za­zione di biso­gni, inte­ressi e pro­spet­tive: mi auguro che que­sta espe­rienza possa ser­vire a moti­vare una parte di elet­to­rato che non va più a votare, sce­glie il Movi­mento 5Stelle o è delusa del par­tito cui finora ha dato il suo voto. Una parte sem­pre più grande di popo­la­zione, che — non credo ci sia nem­meno biso­gno di dirlo — è com­po­sta di molte per­sone di valore, di una parte buona di società.

Rodotà mette Camusso ko Fonte: il manifesto | Autore: Antonio Sciotto

 

Rappresentanza . Il costituzionalista: l’accordo può violare la Carta, come fece la Fiat. A Bologna l’assemblea degli autoconvocati. Landini: «Solo se il voto sarà democratico, ne accetteremo l’esito»

Un colpo duris­simo per la Cgil e per Susanna Camusso. Ste­fano Rodotà, costi­tu­zio­na­li­sta che non ha biso­gno di pre­sen­ta­zioni, in pre­di­cato per diven­tare pre­si­dente della Repub­blica a cavallo dei due man­dati di Napo­li­tano (e che potrebbe tor­nare a cor­rere per la carica, in un futuro non lon­tano), boc­cia senza appello l’accordo sulla rap­pre­sen­tanza fir­mato lo scorso 10 gen­naio dalla segretaria.

«Potrebbe con­te­nere pro­fili di inco­sti­tu­zio­na­lità», ha spie­gato il pro­fes­sore dal palco del Pala­nord di Bolo­gna, all’assemblea dei dele­gati auto­con­vo­cati con­tro l’intesa: visto che «appare con­tra­rio anche alla sen­tenza della Corte costi­tu­zio­nale che ha stron­cato l’articolo 19 della legge 300 in quanto lesivo della libertà sindacale».

Ancora, secondo il giu­ri­sta, non si pos­sono «usare due pesi e due misure»: e qui il paral­lelo con i pro­fili di inco­sti­tu­zio­na­lità che nelle scorse set­ti­mane lo stesso Rodotà ha indi­cato nell’«Italicum», la legge elet­to­rale figlia dell’accordo Renzi-Berlusconi.

Poi un apprez­za­mento per la Fiom, anche que­sto piut­to­sto bru­ciante per la Cgil e le sue cate­go­rie che oggi spo­sano il «sì» all’accordo: per Rodotà la Fiom negli ultimi anni ha avuto il merito di aver fatto «una delle più grandi bat­ta­glie di poli­tica costi­tu­zio­nale in que­sto Paese. La bat­ta­glia che si sta facendo in que­sto momento – ha detto par­lando alla pla­tea dei dele­gati e con­fer­mando il suo impe­gno – è «per la libertà sin­da­cale, seque­stratà da que­sto accordo che stra­volge il senso della par­te­ci­pa­zione. Un pro­blema che non può essere messo da parte». Anche per­ché il rischio è che pro­prio da que­sta intesa – «non so se sono troppo mali­zioso», ha con­cluso il giu­ri­sta – prenda le mosse la legge da più parti auspi­cata sulla rappresentanza.

Certo Rodotà non è nuovo alle ini­zia­tive della Fiom, alle mani­fe­sta­zioni con Mau­ri­zio Lan­dini, al soste­gno per le tute blu (ha difeso ad esem­pio gli ope­rai Fiat di Pomi­gliano). Ma nello stesso tempo, essendo molto amato a sini­stra (e non solo, anche dai gril­lini), in un modo del tutto tra­sver­sale e che va ben oltre la Fiom, il suo parere ha un peso poli­tico notevolissimo.

E non solo, la boc­cia­tura è piena anche nel merito: se l’accordo era già parec­chio con­te­stato, e in qual­che maniera “smon­tato” dalle cri­ti­che della Fiom – ma che per molti pote­vano sem­brare di parte o stru­men­tali – il parere di un intel­let­tuale così insi­gne lo squa­li­fica senza appello.

Ora sem­pre di più, potremmo infe­rire, le san­zioni da com­mi­nare ai dele­gati appa­iono chia­ra­mente anti­de­mo­cra­ti­che. Una vera minac­cia per l’esercizio della libertà sin­da­cale: la morte del sin­da­cato come lo cono­sciamo oggi. A meno ovvia­mente che non lo si voglia tra­sfor­mare in un uffi­cio di ser­vizi vari e di collocamento.

All’assemblea degli auto­con­vo­cati è inter­ve­nuto anche Lan­dini: il lea­der delle tute blu Cgil ha spie­gato che la Fiom «accet­terà il risul­tato di una vota­zione, solo qua­lora essa sia fatta tra i lavo­ra­tori delle cate­go­rie che hanno fir­mato con­tratti con gli indu­striali, e con regole e moda­lità tra­spa­renti e democratiche».

«Se le regole saranno que­ste – ha detto Lan­dini – se si vince, si vince. E se perdo, ho perso». La stessa Susanna Camusso, pro­po­nendo esat­ta­mente una set­ti­mana fa un refe­ren­dum, aveva detto che si deve andare al voto «così nes­suno avrà più alibi». Una resa dei conti che però rischia di inca­gliarsi, appunto, pro­prio nelle regole e nella pla­tea che verrà indi­vi­duata per la par­te­ci­pa­zione al voto.

Infine Lan­dini è tor­nato sull’episodio delle botte a Milano tra la Cgil e Cre­ma­schi: «Io e la Fiom lì non ci era­vamo, però non posso non notare una crisi nella demo­cra­zia del sin­da­cato. Biso­gna smet­terla con la gestione auto­ri­ta­ria, si devono poter espri­mere tutti, pur con­dan­nando le stru­men­ta­liz­za­zioni e le azioni violente».