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“e nel Cuor… l’Italia” Concerto del maestro Leonardo Locatelli con la partecipazione di Federica Tangari. Saranno letti brani sulla Resistenza partigiana e sull’antifascismo 12 AGOSTO 2013 CORTILE PLATAMONE ORE 21 Via Vittorio Emanuele angolo Via Landolina
La Storia del partigiano Duccio Galimberti
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“Firmiamo o sarà la vittoria di B.” di Antonio Ingroia da: il fatto quotidiano
di Antonio Ingroia – 26 luglio 2013
L’estate, si sa, è sempre galeotta. Tutti assopiti sotto l’ombrellone, compresa la grande informazione sempre più soporifera, è la stagione preferita dai malintenzionati per operare indisturbati. Così ha sempre fatto la mafia per colpire quando la tensione cala. E sta succedendo anche quest’estate. Ma non è dalla mafia che dobbiamo guardarci stavolta, pur tenendo alta la guardia di fronte ai rischi crescenti per i pm di Palermo, e Di Matteo in particolare. Questa volta l’attentato si sta consumando in Parlamento e la vittima predestinata è ciò che di più bello e importante ci resta, l’ultima ancora di salvataggio della nostra democrazia: la Costituzione. E la data in cui si compie l’assalto definitivo alla diligenza è già stabilita: il 29 luglio. Giorno in cui approda alla Camera per la sua definitiva approvazione la modifica dell’art. 138. Un articolo apparentemente anonimo, che è invece l’architrave dell’impianto costituzionale, che fa della nostra Carta una costituzione rigida, forte, una vera cassaforte. E l’art. 138 è il chiavistello della cassaforte, saltato il quale la Costituzione diventa debole, esposta a scorribande e atti di pirateria. E Dio sa quanti pirati sono approdati in Parlamento grazie a una legge elettorale anch’essa incostituzionale… L’art. 138 prevede una serie di meccanismi che irrigidiscono la procedura di revisione della Costituzione per obbligare al più ampio dibattito, parlamentare e nel Paese, prima di ogni modifica. E perciò prevede la doppia lettura, e cioè che lo stesso testo di modifica debba essere approvato per ben due volte da ciascun ramo del Parlamento, e a distanza di almeno tre mesi fra la prima e la seconda votazione, e con in più l’obbligo di un referendum confermativo, tranne il caso in cui la maggioranza parlamentare sia qualificata dal voto favorevole dei 2/3 dei componenti le Camere.
LA MODIFICA del 138, dimezzando fra l’altro i tempi fra le due votazioni (45 giorni anziché tre mesi) e istituendo un comitato parlamentare che porrà mano alla riforma delle strutture portanti della nostra organizzazione costituzionale scardinerebbe la cassaforte costituzionale. E il 29 luglio si aprirà dunque una breccia che, dopo l’approvazione definitiva in seconda votazione entro fine ottobre, e senza referendum confermativo in vista di una maggioranza “bulgara” di ben oltre i 2/3 dei parlamentari, consentirà una slavina di modifiche che cambierà il volto della nostra Costituzione e della nostra Repubblica. Una Repubblica non più parlamentare, ma presidenziale. Una svolta autoritaria che determinerà la neutralizzazione di ogni potere di controllo (magistratura e Parlamento, in primis) in favore della teoria di “un uomo solo al comando”. Così finendo per attuare il progetto principe di Berlusconi che, a sua volta, ha cercato di portare a termine un vecchio pallino di Licio Gelli (il cui progetto tutti concordano nel definire eversivo e golpista). Ma quel che è più inaccettabile è che tutto ciò debba avvenire a totale insaputa degli italiani. Ecco perché alcuni cittadini, giuristi, costituzionalisti e rappresentanti di associazioni hanno deciso di prendere l’iniziativa: rivolgersi ai parlamentari democratici perché consentano ai cittadini di partecipare al processo decisionale, esprimendo le loro opzioni in un referendum confermativo. E perciò chiediamo ai parlamentari di far mancare la maggioranza dei 2/3, la sola che renderebbe superfluo il referendum. Ma per far ascoltare questo appello non basta la voce dei pochi che si sono resi conto dell’emergenza costituzionale in cui siamo, ignara la stragrande maggioranza degli italiani. Occorre che si sollevi una voce alta, forte, popolare. Per questo si stanno costituendo in tutta Italia i comitati “Viva la Costituzione”, che in coordinamento con le altre associazioni, movimenti e comitati sorti in questi anni a difesa della Carta, da domani inizieranno a raccogliere le firme dei cittadini che vorranno aderire all’appello. Un appello per la democrazia. Un appello per la partecipazione dei cittadini al dibattito sulla decisione se e come cambiare la Costituzione. Un appello per rivendicare il diritto alla cittadinanza attiva. Per ribellarci alla solita politica sorda e distante che ci vuole condannare alla sudditanza obbediente e silenziosa.
Tratto da: Il Fatto Quotidiano
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…e io ero Sandokan ! Canzone sulla Resistenza
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Benito Mussolini arrestato 25 luglio 1943 ore17. Alle ore 22’15 del 25 luglio gli italani apprenderanno dalla radio che il fascismo è crollato
Una forza di sinistra fuori e contro il Pd Fonte: il manifesto | Autore: Alfonso Gianni
L’azione dal basso non basta, troppi cantieri mai aperti, serve un’assunzione di responsabilità. E da Messina, con l’elezione del nuovo sindaco, arriva un segnale
Può succedere persino che un dibattito finora insabbiato nelle speculazioni sulle quotidiane interviste di Matteo Renzi o le facete proposte di congressi paralleli e convergenti fra grandi e piccole forze di una coalizione che dopo avere perso di fatto le elezioni si trova divisa fra governo e opposizione – pessimo oltre l’immaginabile il primo quanto inadeguata la seconda, se non altro per mancanza di insediamento sociale, si pensi solo all’astensionismo – riceva improvvisamente una scossa da nuovi fatti e argomenti. Quando succede non bisogna perdere l’occasione per tentare di rivivificare una sinistra d’alternativa che pare anch’essa “in sonno”.
Mi riferisco ad esempio all’esito di un’elezione paradigmatica, quella di Messina, su cui così poco si è ragionato. Ed è un peccato perché non si tratta di una tarda propaggine dei successi elettorali, alcuni già un po’ ingialliti, di Milano, di Genova, di Cagliari o di Napoli, ma di un risultato nuovo e originale, costruito completamente al di fuori del quadro politico dato e fondato sulla capacità di aggregazione dei movimenti, delle loro nuove pratiche di democrazia diretta, o, meglio, deliberativa e delle intelligenze politiche presenti al loro interno.
Sull’altro lato, quello del dibattito vero è proprio, si collocano con evidenza la discussione promossa da un supplemento all’ultimo numero di Micromega e due articoli pubblicati su questo giornale (Marco Revelli e Giorgio Airaudo in coppia con Giulio Marcon). Tutti questi hanno un tratto comune che va valorizzato: l’obiettivo della costruzione di una nuova soggettività politica della sinistra in connessione con lo sviluppo della sinistra diffusa nella società.
Se il tentativo di Micromega si era risolto con un mezzo insuccesso, secondo la severa autoanalisi dello stesso Paolo Flores d’Arcais, non era però trascorso invano, visto che nella sostanza soprattutto l’articolo di Revelli ne riprende i temi. In particolare quello della insufficienza di una azione dal “basso” e della necessità di un ente “catalizzatore”, ovvero «di qualcuno – un gruppo di donne e di uomini – che dall”alto’ dia un segnale con pochi semplici denominatori comuni», dalla difesa intransigente della Costituzione, al primato del lavoro, passando per la difesa dei beni comuni, per imporre all’Europa un cambio radicale della sua politica economica e al nostro paese una bonifica politica e morale.
Un compito tanto più urgente se si registra che anche Casaleggio, il guru di Grillo, prevede rivolte per autunno (c’è solo da stupirsi che non ci siano state finora) e queste rischiano di consumarsi in esplosioni isolate se non incrociano almeno un abbozzo di forza alternativa dotata di un programma e di una ferma determinazione di radicale cambiamento.
Una discussione di questo genere non può venire isolata in un resort, ma tanto meno lasciata all’equivoco delle primarie o delle tante promesse di cantieri della sinistra che mai si aprono e tantomeno si chiudono con un qualcosa di fatto. C’è bisogno di un’assunzione di responsabilità di quel quadro pensante, diffuso e privo di contorni partitici, ma pure esistente e resistente, intrecciato con esperienze di movimento, di ricerca intellettuale, di militanza sindacale, di costruzione di nuovo senso di sinistra nella società.
Non saprei dire quale è il numero delle questioni da porre per dare concretezza ad una simile discussione. Probabilmente più delle quattro cui fanno riferimento Airaudo e Marcon. Ciò che conta è il punto di partenza e la linea di direzione verso un possibile approdo, pur da verificare e rettificare quanto si vuole strada facendo.
La premessa non può non essere che la constatazione della morte dell’attuale centrosinistra. L’operazione è cominciata con il governo Monti, contando già su solide premesse; è stata ispirata, sostanziata e guidata dalle scelte della nuova governance europea; è approdata a «quell’odore marcio del compromesso» di cui ha scritto Barbara Spinelli, che è tale proprio perché a lungo covato. Solo il non esito, questo difficilmente prevedibile, delle ultime elezioni politiche ha fatto sì che Sel, contrariamente alla retorica governista sviluppata negli ultimi tempi, si trovasse all’opposizione e il Pdl per intero al governo.
Ma la Grosse Koalition non è un’invenzione dell’ultima ora. Parafrasando Giulio Bollati – quando parlava del fascismo, che è cosa diversissima, per dire che non era improvviso né imprevedibile – «il fenomeno può essere condensato in una formula: nulla è (nelle larghe intese) quod prius non fuerit nella società, nella cultura, nella politica italiana, tranne che (le larghe intese) stesse» da almeno 25 anni a questa parte. Infatti questa forma di governo a-democratica, prima ancora che tecnocratica, è la più congrua al capitalismo finanziario nel quadro europeo.
Il Pd è diventato il pivot di questa politica. Non ha senso proporsi di modificarlo all’interno (oltretutto tutti lavorano per Renzi) né attenderne la possibile implosione. Il “campo del cambiamento” va organizzato fuori e contro. La caduta del governo Letta è il primo compito di un’opposizione di sinistra che si rispetti e non può essere messo in ombra da calcoli congressuali. Se entro l’anno si giungesse a una grande manifestazione nazionale contro il governo, capace di raccogliere tutte le forze che ad esso si oppongono, questo sarebbe l’unico modo per cambiare tutte le agende politiche.
Coerentemente lo sbocco europeo deve essere ricercato nel campo della sinistra di alternativa su scala continentale. Serve una campagna di massa, capace di unire i temi della concreta sofferenza sociale con le cause che la provocano e che stanno nelle politiche di austerità di Bruxelles, ma a questa non si potrà poi dare una rappresentanza politica scelta nell’ambito di quel socialismo europeo che, a partire dalla Germania, si attrezza a essere garante di quelle politiche.
Le possibilità vanno raccolte da subito senza timidezza o pretese di primogenitura, ma avendo il coraggio di produrre scelte di campo nette e riconoscibili.
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L’F-35 decolla sul parlamento | Fonte: il manifesto | Autore: Manlio Dinucci
Nuovi aerei da 14 miliardi. Mentre in Sicilia la regione riapre i lavori nella mega-base radar Usa Il 12 luglio scorso, mentre le camere votavano la sospensione nell’acquisizione dei nuovi caccia, la Northrop Grumman consegnava a Cameri la prima fusoliera pronta per la linea di montaggio. Una consegna su cui il governo italiano ha taciuto
Il parlamento è sovrano. Ha quindi deciso anche sui caccia F-35. La mozione bipartisan approvata dalla camera il 26 giugno «impegna il governo, relativamente al programma F-35, a non procedere a nessuna fase di ulteriore acquisizione senza che il Parlamento si sia espresso nel merito, ai sensi dell’articolo 4 della legge 31 dicembre 2012, n. 244». La stessa formula è stata usata nella mozione approvata dal senato il 16 luglio.
Siamo dunque in attesa che il Parlamento si esprima nel merito. Intanto però si è espressa la Northrop Grumman Corporation, uno dei maggiori contrattisti del programma statunitense dell’F-35 che fa capo alla Lockheed Martin. In un comunicato diffuso ieri l’azienda Usa annuncia di aver «consegnato il 12 luglio all’impianto Faco di Cameri la sezione centrale della fusoliera del primo F-35 Lightning II dell’Italia». Questa «puntuale consegna – sottolinea la Northrop Grumman – permette il primo assemblaggio di un F-35 all’impianto Faco». Precisa quindi che quella appena consegnata costituisce «la prima delle 90 sezioni centrali della fusoliera che saranno fornite all’impianto Faco per assemblare gli aerei italiani». La Northrop Grumman, come la Lockheed Martin, non ha quindi alcun dubbio che l’Italia acquisterà 90 F-35. Forse di più, come ha fatto intendere il ministro della Difesa Mauro.
Dunque, quattro giorni prima che il senato, confermando quanto già deciso dalla camera il 26 giugno, impegnasse il governo a «non procedere a nessuna fase di ulteriore acquisizione» dell’F-35, la catena di assemblaggio dell’impianto di Cameri si è messa in moto per sfornare il primo caccia della serie. Oggi si capisce bene quindi perché l’inaugurazione ufficiale, prevista per il 18 luglio, sia stata rimandata «a data da destinarsi». Se si fosse tenuta il 18 luglio, con la partecipazione del generale statunitense Bogdan (responsabile del Pentagono per il programma F-35), sarebbe venuto alla luce quanto si è saputo ieri dal comunicato della Northrop Grumman: ossia che, in barba a quanto deciso dal Parlamento italiano, è iniziata la produzione degli F-35 che l’Italia acquisterà sborsando quasi 15 miliardi di euro.
L’impianto Faco di Cameri, con 20 fabbricati e una superficie di mezzo milione di metri quadri, è costato (sempre con denaro pubblico) circa 800 milioni. Da impianto di assemblaggio e collaudo dei caccia verrà in seguito trasformato in centro di manutenzione, revisione, riparazione e modifica (con ulteriori esborsi di denaro pubblico). Esso è solo una parte della rete dell’F-35, che in Italia coinvolge oltre venti industrie: Alenia Aeronautica, Galileo Avionica, Datamat e Otomelara di Finmeccanica e altre tra cui la Piaggio. Queste aziende funzionano come reparti della «grande fabbrica» dell’F-35 sotto la direzione della Lockheed Martin, che concede alle singole industrie solo il know how strettamente necessario alle parti dell’aereo che assemblano o producono.
La partecipazione dell’Italia al programma F-35 viene presentata come un grande affare. Non si dice però quanto verranno a costare i pochi posti di lavoro creati in questa industria bellica. Non si dice che, mentre i miliardi dei contratti per l’F-35 entreranno nelle casse di aziende private, quelli per l’acquisto dei caccia usciranno dalle casse pubbliche. Non si dice, soprattutto, che con questo programma si rafforza anche in Italia il potere del complesso militare-industriale. Come conferma il fatto che è stata la Northrop Grumman a farci sapere quanto avrebbe invece dovuto dirci il governo.
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