Roma Sparita-Arrivo degli alleati a Roma

4 Giugno: liberazione di Roma

Appello alla mobilitazione: “Rispettare la Costituzione” Discorso del presidente Anpi Carlo Smuraglia il 2 giugno

 

Questo il discorso del presidente dell’Anpi, Carlo Smuraglia, tenuto il 2 giugno a Bologna alla manifestazione “Non è cosa vostra” promossa da Libertà e Giustizia.

“Ad una magnifica manifestazione come questa, che oltretutto cade in un giorno in cui solitamente festeggiamo la Repubblica e la Costituzione e che oggi assume un valore particolarissimo, non poteva mancare la presenza e l’apporto di una Associazione come l’ANPI che ha fatto della difesa ed attuazione della Costituzione uno dei suoi contenuti ed obiettivi basilari.

Noi siamo contrari al sistema “costituente” che ci viene proposto e minaccia di esserci imposto, perché questa Costituzione può certamente essere modificata col normale sistema previsto dall’art. 138 della Costituzione nei pochi punti sui quali ci sono già convergenze essenziali, ma non può e non deve essere stravolta nei suoi contenuti e nella struttura complessiva non solo della prima, ma anche della seconda parte.

Oltretutto, di questo “processo costituente” non c’è necessità ne tanto meno urgenza. Ci hanno detto che questo Governo, davvero eccezionale nella sua composizione, avrebbe dovuto fare poche cose estremamente necessarie ed urgenti (prima di tutto la riforma della legge elettorale e pressoché insieme provvedimenti immediati per uscire dalla gravissima emergenza sociale che il Paese sta dolorosamente vivendo).

Invece, la legge elettorale è stata collocata dopo il lungo processo “riformatore” che si ipotizza, mentre tardano a venire quei provvedimenti decisivi per l’attività produttiva, per il lavoro, per lo sviluppo che il Paese attende da mesi e che non possono essere ulteriormente differiti.

Sembra invece, a leggere le cronache, che il problema principale sia quello del presidenzialismo o quello di attribuire più poteri all’esecutivo. Tutte cose che non hanno fondamento e che vanno vigorosamente contratate.

Ero già preoccupato di fronte alle incognite di un Governo  composto da forze in gran parte inconciliabili. Ma poi lo sono diventato ancora di più quando ho letto il discorso di insediamento del nuovo Presidente del Consiglio. Per la verità vi ho subito cercato, ma invano, la parola “antifascismo”; in compenso ne ho trovate altre, davvero preoccupanti.

Le ricordo sinteticamente:

già all’inizio si parla della necessità che anche forze che sostengono il Governo partecipino pienamente al “processo costituente”. Una definizione assai significativa perché il processo costituente ha un significato inequivocabile che non è quello della riforma di singole parti della Costituzione.

Mi sono allarmato, ma poi ho pensato che magari si trattava di una imprecisione di linguaggio.  Ma subito dopo ho visto che si parlava di una via possibile per una riforma anche radicale del sistema istituzionale. E qui si andava davvero sulle cose preoccupanti, visto che si faceva riferimento a  riforme radicali del sistema istituzionale.

Ma sono andato ancora oltre e ho visto che si parlava dell’idea di una Convenzione aperta alla partecipazione di autorevoli esperti non parlamentari, con riferimento anche alle conclusioni del Comitato dei saggi. E l’allarme, a questo punto, diventava davvero forte.

Sono andato comunque avanti e ho trovato che si parlava del rafforzamento della investitura popolare dell’esecutivo. Seguivano alcune frasi consuete e piuttosto generiche, ma poi si parlava di riforma della forma di Governo, prefiggendosi anche di fare su questo punto scelte coraggiose. E si parlava anche di naturale collegamento elettorale alla forma di Governo.

Un quadro come questo mi è apparso davvero degno delle più serie preoccupazioni.

L’ANPI assumeva allora una posizione molto rigorosa precisando in un documento ufficiale pubblicato il 16 maggio:

– la ferma contrarietà ad ogni modifica legislativa o di fatto dell’art. 138;

– il nostro convincimento che ogni procedimento di modifica non può che essere parlamentare, attraverso gli strumenti ordinari;

– l’inopportunità del ricorso ad apporti esterni che non siano quelli già previsti dai regolamenti e dalle prassi parlamentari;

– che le uniche riforme possibili sono quelle che risultano in piena coerenza non solo coi princìpi della prima parte della Costituzione ma  anche con la concezione che è a base fondamentale della seconda parte;

– la netta opposizione ad ogni ipotesi di presidenzialismo o semipresidenzialismo

– l’assoluta e prioritaria necessità di procedere alla modifica della legge elettorale vigente.

Naturalmente non mi aspettavo che questo bastasse a fermare le correnti impetuose che stavano avanzando; e altrettanto pensavo per quanto riguarda le pur autorevolissime prese di posizione di esperti come Zagrebelsky e Pace, di Associazioni come Libertà e Giustizia e dell’Associazione “Salviamo la Costituzione”, perché quando certi processi si mettono in moto, per di più con l’autorevolezza di un Governo nel quale sono rappresentati i partiti più forti, è chiaro che c’è dietro un disegno e un ragionamento, in buona parte condiviso e frutto di accordi che facilmente si possono intuire; ma mi illudevo che almeno alcune argomentazioni potessero essere prese in considerazione.

Mi sbagliavo, perché se ad un certo punto sembrava che naufragasse l’idea della Convenzione (cosa che mi lasciava comunque vigilante), non per questo si poteva ritenere adottata una linea diversa, tant’è che alcuni princìpi di fondo sono stati ribaditi anche da parte di chi ammetteva che della Convenzione si potesse fare a meno. Ma le “coraggiose” scelte venivano riaffermate anche per la sede parlamentare; così come restava ferma l’idea che ci si potesse avvalere di contributi esterni attraverso vie non previste dalla Costituzione e dal sistema parlamentare. Poi, l’ultima novità, il proposito di anticipare il processo di riforma per passare solo dopo alla modifica della legge elettorale, che invece io  mi ostino a considerare la cosa più urgente e prioritaria su ogni altra.

Oltretutto, bisogna considerare che la legge elettorale vigente è stata fortemente criticata praticamente da tutte le forze politiche; e tuttavia non si è riusciti a modificarla; ne deriverebbe, intuitivamente, l’esigenza di modificarla con urgenza, anche in vista di possibili, ulteriori, consultazioni elettorali.

Ma c’è una ragione in più, perché la Corte di Cassazione ha dichiarato rilevanti e non manifestatamente infondate le questioni di legittimità Costituzionale che incidono sulle modalità di esercizio della sovranità popolare e in particolare quelle che riguardano il premio di maggioranza per la Camera e il Senato, e il voto di preferenza, sempre per Camera e Senato. Una coalizione politica che intenda esprimere una volontà democratica, dovrebbe farsi un punto d’onore di non aspettare che decida la Corte Costituzionale, ma di restituire senza indugi alla sovranità popolare ciò che le è stato tolto; e invece si pensa addirittura di posporre una questione prioritaria ad un processo riformatore,  per sua natura complesso e certamente non rapido.

A questo punto le mie preoccupazioni sono ovviamente aumentate a dismisura perché intravedo una volontà molto decisa di andare avanti comunque, su un terreno che considero estremamente pericoloso, quale che sia la forma che assumerà in concreto.

L’approvazione di due mozioni analoghe, alla Camera e al Senato, dimostra la volontà di accelerare l’iter seguendo linee sulle quali l’eterogenea maggioranza non demorde.

Si impegna il governo a presentare una legge costituzionale entro giugno per dare vita ad una procedura straordinaria di revisione della Carta Costituzionale, in deroga rispetto all’art. 138 ; si parla di modifiche ai titoli 1, 2, 3, 5 della seconda parte, vale a dire: Parlamento, Presidenza Repubblica, Governo, Regioni ed Enti Locali.

Si parla di metodi particolari per garantire i tempi e si crea un comitato bicamerale del tutto anomalo.

Ricompare il presidenzialismo o semipresidenzialismo; si ricupera una cosa di cui non si era parlato se non nel passato, il potere del Governo di dettare tempi e modi dell’attività parlamentare, secondo le esigenze del programma di Governo.

Insomma, si accelera in una direzione non condivisibile, si colloca la riforma della legge elettorale in coda, si confermano convergenze quanto meno anche sul semipresidenzialismo, come avevamo sospettato dopo alcune dichiarazioni di esponenti del partito democratico.

Ho l’impressione che non si capisca o non si voglia capire che si sta maneggiando una materia di estrema delicatezza come quella costituzionale, dove i tasselli non possono essere spostati come su una tastiera di scacchi (dove al più si può perdere una partita), ma si rischia invece di intaccare sistemi e procedimenti che furono studiati a suo tempo con estrema attenzione e che sono stati formulati per rispondere a un’intima e profonda coerenza.

D’altronde c’è un abisso quasi incolmabile tra chi pensa che la fedeltà all’art. 138 sia obbligatoria e chi pensa di poter scavalcare con facilità o accomodamenti l’ostacolo; tra chi pensa che esista certamente la possibilità di apportare modifiche della Costituzione col sistema dell’art. 138 e chi invece ritiene di dare vita addirittura ad un processo costituente. Chi pronuncia questa parola, ha davvero la consapevolezza di ciò che essa significa? Chi parla di semipresidenzialismo si rende conto che questo significa cambiare la struttura e la sostanza del sistema costituzionale? Chi parla di scelte coraggiose comprende che il coraggio sarebbe meglio adoperarlo per affrontare una difficilissima situazione economica e sociale piuttosto che applicarlo ad aggredire, nella sostanza, una Costituzione su cui riposano le fondamenta della nostra civile convivenza?

D’altronde, non è a caso che qualche mese fa, esattamente  il 28 gennaio, nel corso della campagna elettorale, facemmo partire dall’”Associazione Salviamo la Costituzione” una lettera in cui si chiedeva ai candidati alla Presidenza del Consiglio un impegno su due quesiti: la disponibilità ad un irrobustimento dell’art. 138 elevando il quorum e consentendo in ogni caso il referendum conservativo da un lato, e quello di assicurare la coerenza delle riforme istituzionali che venissero proposte con i princìpi e i valori della Costituzione e la loro compatibilità con i suoi equilibri fondamentali, compresa la forma di Governo parlamentare. Avevamo fiutato giustamente il pericolo; e ne avemmo conferma dal fatto che ben poche furono le risposte.

Oggi siamo in presenza di una conferma definitiva di quali possano essere le reali intenzioni dei “riformatori” e dei pericoli che stiamo correndo. Sono già in campo le osservazioni e le critiche a questi progetti, redatte da studiosi e costituzionalisti ben più titolati di  me a formularle. E dunque non ci tornerò, accontentandomi di quanto l’ANPI ha già scritto in un documento approvato il 16 maggio scorso e ampiamente diffuso. Ma voglio esprimere la convinzione che il pericolo è reale e grave e che la mobilitazione di cui oggi viene dato un saggio imponente, debba essere considerata come il primo avvio di un impegno costante e continuativo, capace di coinvolgere associazioni (ce ne sono già oggi in campo più di quaranta), cittadini ed anche tanti che pur all’interno dei partiti disponibili a questo tipo di processi riformatori, sono fermamente convinti che si debbano apportare, con i metodi normali a partire dall’art. 138, solo le modifiche già mature e considerate compatibili e coerenti col sistema vigente.  In realtà, nel nostro Paese ha fatto sempre fatica ad affermarsi quello che alcuni costituzionalisti definiscono come il “sentimento Costituzionale”.

E questo può diventare pericoloso nel momento in cui al difetto di tale sentimento può sostituirsi o aggiungersi una tendenza alla semplificazione di un “riformismo” a tutti i costi, ed alla prospettazione di un futuro senza memoria e senza identità civica.

Ecco perché, la prima cosa che occorre fare è una massiccia iniezione di “sentimento Costituzionale” che metta al riparo della improvvisazione e delle smanie revisionistiche ed eriga un argine ampio e fortemente condiviso contro quelli che potrebbero diventare veri e propri attentati alla Costituzione.

Insomma, bisogna diffondere e sostenere quell’attaccamento alla Costituzione, come cosa propria, che è il migliore presupposto per creare una vera allerta e le precondizioni per contrastare i propositi di chi minaccia di stravolgere la nostra Carta Costituzionale.

Non illudiamoci: la battaglia sarà dura e difficile; e dunque ci vorrà una mobilitazione permanente, come quando scendemmo in campo per il referendum che poi riuscì a battere progetti davvero eversivi; ci vorrà la ricostituzione o una nuova messa in campo dei Comitati per la Costituzione; ci vorranno energie, sforzi, impegno e soprattutto continuità.

Bisogna chiarire ai cittadini che opporsi a certi intendimenti non significa essere conservatori ed opporsi a qualsiasi modifica, ma solo pretendere il rispetto e la coerenza intima di una Costituzione che, pur non applicata in tante parti, è stata in questi anni la nostra guida e la nostra più forte garanzia.

Bisogna chiarire che non siamo disponibili a compromessi ed a soluzioni pasticciate, noi che non siamo soggetti a vincoli di nessun genere, soprattutto quando si tratta di difendere gelosamente una Costituzione che abbiamo nel cuore, che consideriamo il frutto del più straordinario momento della storia del nostro Paese e per la quale tanti si sono impegnati e sacrificati. Tutte le volte che si è cercato di metter mano ad un processo cosiddetto costituente, in questi anni, sappiamo bene dove si è andati a finire e come dai progetti dichiarati si sia passati alle peggiori proposte. Non siamo contrari a leggi che, di volta in volta ma nel quadro di una reale coerenza, corrispondano a quanto consentito dall’art. 138; ma non possiamo permettere stravolgimenti né dei metodi né dei contenuti senza che vengano meno alcune delle ragioni ideali per cui siamo tanto attaccati a questa Costituzione.

Lo dico con forza e con fermezza anche perché penso di esprimere i sentimenti, la volontà, le idee non solo di coloro che hanno combattuto per conquistare libertà e democrazia e dunque anche per dar vita a questa Costituzione, che di essi è l’espressione più alta, ma anche dei tanti che – dichiarandosi antifascisti e condividendo le nostre finalità e i nostri ideali – sono affluiti in questi anni nelle nostre file. Abbiamo il dovere di non deludere queste aspettative, così come gli antichi sogni dei combattenti per la Libertà; abbiamo il dovere di impiegare tutto il coraggio e la forza delle nostre idee per conservare fino in fondo i princìpi, i valori e la struttura di fondo di una Costituzione che i costituenti  vollero destinata a durare ed a garantire nel tempo l’esercizio dei diritti di tutti, come vuole la democrazia. Impegniamoci, dunque fino in fondo in questa battaglia, che sarà decisa e forte ed alla quale non mancherà certamente  l’apporto dell’Associazione Nazionale dei Partigiani d’Italia”.

Turchia, terza notte di scontri. A migliaia le foto su twitter | Autore: fabio sebastiani da: controlacrisi.org

 

Terza notte di scontri a Istanbul e ad Ankara, dove la polizia e’ tornata a disperdere i manifestanti in piazza per contestare il governo di Recep Tayyip Erdogan. Da una manifestazione pacifica per contestare l’abbattimento di una vasta area verde a Istanbul in vista della costruzione del terzo ponte sul Bosforo, la protesta ha infatti assunto un carattere piu’ squisitamente politico, con i contestatori che si sono rivolti direttamente a Erdogan definendolo un ”dittatore” e chiedendo le sue dimissioni. ”Dittatore, dimettiti! Noi resisteremo fino alla vittoria”, hanno urlato i manifestanti mentre continuavano gli scontri con le forze dell’ordine che, secondo dati ufficiali, hanno portato al ferimento di 58 civili e 115 agenti. Un numero decisamente piu’ alto per le fonti mediche di Ankara, che parlano di almeno 400 civili feriti. Non confermate per ora le due vittime segnalate da Amnesty international ieri.

La protesta in serata è diventata anche sonora, e ha invaso le strade di Istanbul, Ankara e Smirne. Il centro delle tre più grandi città del paese si è animato di migliaia di automobilisti a clacson aperti. Sui balconi di molte case e per le strade il concerto dei clakson è stato accompagnato da quello metallico delle pentole sbattute una contro l’altra dalla gente per unirsi alla richiesta dei manifestanti di Taksim e Kizilai. Alcune sedi del Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (AKP), di cui è presidente il primo ministro turco Recep Tayyip Erdogan, sono stati incendiate. Un gruppo di manifestanti ha guidato una escavatrice verso la polizia, aprendo la strada al passaggio di altri manifestanti.

Erdogan, che ha tenuto tre discorsi pubblici in tre giorni, ieri ha respinto le accuse di essere ”un dittatore” e ha detto ai manifestanti che ”se voi amate questo Paese, se amate Istanbul, non cadete in questi giochi” che, ha spiegato in un discorso televisivo, sono condotti da una frangia estremista.

Ben poco, comunque, si e’ visto di questa protesta sui media turchi, in particolare sulle emittenti televisive, mentre un ruolo determinante nel diffondere le informazioni in merito lo hanno avuto i social media Facebook e Twitter che hanno mandato in giro migliaia e migliaia di foto. Tanto che Erdogan ha affermato che ”ora c’e’ una nuova minaccia che si chiama Twitter. Le bugie migliori si possono trovare qui. Per me, i social media sono la peggiore minaccia della societa”’.

Libri & Conflitti. L’estratto da Il futuro che non c’era. Storie di donne e di vite negate da: controlacrisi.org

Libri & Conflitti. Claps, Meredith Kercher, Simonetta Cesaroni, Carmela Petrucci. Otto donne. Otto vite spezzate, quasi certamente, per mano di uomini. Otto uomini, dunque, raccontano in questo volume le vite di queste donne regalando loro “Il futuro che non c’era” (edizioni psiconline). Tutti conoscono nei dettagli quel che queste donne hanno fatto nella loro breve vita.
Ma nessuno sa – e nessuno purtroppo saprà mai – quel che, invece, avrebbero voluto fare, quel che avrebbero potuto fare. Chi avrebbero amato, dove avrebbero vissuto, quali emozioni avrebbero provato a ogni piccola conquista dei fi gliche avrebbero avuto (o che avevano già, ma che non vedranno crescere).
Gli otto autori che hanno partecipatto all’antologia hanno accontato la vita di queste donne, come fosse proseguita normalmente. Una vita nuova, né “perfetta” né “terribile”. Un futuro “semplice”, fatto anche di sogni, infranti e realizzati, o di desideri accessibili. L’obiettivo dell’intero progetto editoriale, è di ricordare i fatti accaduti (e non minimizzarli) utilizzando un approccio diverso. Un approccio che mira a stimolare le coscienze attraverso uno sguardo inatteso.

Ristrutturazioni edilizie e interventi per risparmio energetico degli edifici: detrazioni approvate dal Consiglio dei Ministri Fonte: cgil

 

La detrazione per le ristrutturazioni edilizie è stata confermata con l’aliquota del 50% e prorogata fino alla fine del 2013. Quella per gli interventi di miglioramento dell’efficienza energetica “passerà dal 55% al 65%, concentrando la misura sugli interventi strutturali sull’involucro edilizio, maggiormente idonei a ridurre stabilmente il fabbisogno di energia”. La nota del Consiglio dei ministri specifica che è “un’ultima conferma, e non ne sono previste successive, stabilita per dare la possibilità a quanti non lo avessero già fatto di migliorare l’efficienza energetica del proprio edificio”.Proprio nell’effetto concentrato nel tempo della proroga e nell’aumento della percentuale della detrazione si individua la possibilità di “dare un forte impulso all’economia di settore e in particolare al comparto dell’edilizia specializzata, caratterizzato da una forte base occupazionale, concorrendo in questo momento di crisi al rilancio della crescita e dell’occupazione e allo sviluppo di un comparto strategico per la crescita sostenibile”.

Un Piano di ristrutturazione, che valorizzi risorse private e pubbliche, è indispensabile per il nostro patrimonio edilizio che presenta problemi di vetustà (oggi il 55% ha più di 40 anni, ma nei comuni capoluogo la percentuale raggiunge il 70% e in quelli metropolitani il 75%), problemi di condizioni manutentive (un quinto di questo si trova in condizioni mediocri e quasi la metà non risulta essere stato interessato da opere o interventi); problemi di riqualificazione energetica (gli edifici, in generale, contribuiscono al 40% del consumo di energia, quasi al 50% delle emissioni di CO2 globali) e problemi di messa in sicurezza (n Italia il 70% degli edifici sono a rischio crolli in caso di terremoti di una certa rilevanza, circa 6,5 milioni di edifici esposti a rischio sismico).

La proroga della detrazione per interventi di ristrutturazione e riqualificazione energetica è sicuramente positiva: la riqualificazione e l’adeguamento del patrimonio edilizio esistente è infatti fondamentale per il rinnovamento dei contesti urbani, anche nell’ottica di aumentare l’offerta abitativa, attraverso incentivazione e recupero qualitativo e funzionale.

Ma una parte importante di un processo di rigenerazione urbana passa attraverso la riqualificazione energetica degli edifici, anche per gli obiettivi ambientali che siamo chiamati a raggiungere.

La necessità è che sia resa strutturale, al fine di poter pianificare anche interventi complessi, evitando in questo modo approcci che non permettono programmazione degli investimenti e sviluppo tecnologico e favorendo un vero rilancio dell’economia e dell’occupazione.

Secondo stime elaborate da Confindustria, ENEA, CGIL, CISL e UIL, prorogando l’attuale livello di incentivazione strutturalmente al 2020, si può generare un aumento della produzione diretta ed indiretta a livello nazionale di quasi 240 mld di euro, la creazione di oltre 1,6 mln di posti di lavoro, con un incremento del PIL medio dello 0,6% annuo. Alla fine del decennio si produrrebbe un beneficio economico netto di oltre 15 mld di euro.

La detrazione deve essere estesa anche al patrimonio di edilizia pubblica, settore in cui circa 400.000 alloggi sono stati costruiti prima del 1990, senza alcuna misura di isolamento termico e con la necessità, per la maggior parte degli impianti, di essere sostituiti. In questo modo, peraltro, si potrebbero rendere agibili migliaia di alloggi oggi inutilizzati proprio perché necessitano di interventi, aumentando la disponibilità di abitazioni pubbliche da dare in locazione alle famiglie più disagiate.

Eternit, due anni in più a Schmidheiny nel processo di Appello a Torino: da 16 a 18 | Autore: fabio sebastiani da: controlacrisi.org

 

La corte di appello di Torino ha condannato Stephan Schmidheiny a 18 anni di reclusione, per disastro ambientale doloso e omissione dolosa di misure di sicurezza. In primo grado il manager della multinazionale dell’amianto era stato condannato a 16 anni. La Corte d’Appello di Torino ha ritenuto il miliardario elvetico responsabile di disastro anche per gli stabilimenti Eternit di Bagnoli e Rubiera. Per quel che riguarda l’altro imputato, il barone belga Louis De Cartier, i giudici si sono pronunciati direttamente per l’assoluzione per alcuni degli episodi contestati, mentre hanno dichiarato il non luogo a procedere data la morte dell’imputato per gli altri. Tra gli altri dispositivi della sentenza, è stata quantificata in 30,9 milioni di euro la somma che i giudici hanno accordato al Comune di Casale Monferrato. La cittadina dell’alessandrino infatti ha ospitato lo stabilimento principale in Italia della multinazionale.
“E’ stato riconosciuto un danno ingente per il nostro territorio, al nostro comune e’ stata riconosciuta una provvisionale che, a differenza della sentenza di primo grado, e’ immediatamente esecutiva”, ha sottolineato il sindaco di Casale Monferrato Giorgio Demezzi ha espresso soddisfazione per la sentenza d’appello. “Adesso – ha concluso – questo signore deve capire che dovra’ pagare o lo Stato dovra’ intervenire, soprattutto per il problema delle bonifiche”.
In aula a seguire il verdetto l’ex ministro della salute, Renato Balduzzi, il procuratore capo della Repubblica di Torino, Gian Carlo Caselli, il procuratore generale Marcello Maddalena, oltre a centinaia di parenti delle vittime giunti da tutta Italia e anche network televisivi stranieri.Paolo Ferrero, segretario del Prc, ha commentato così la notizia: “Bene la sentenza che in appello ha condannato Stephan Schmidheiny a una pena aumentata a 18 anni. Ora chiediamo che si continui l’azione legale e la battaglia sociale per far si’ che la parte mancante di questa sentenza, dovuta alla morte del barone belga Jean-Louis de Cartier, non infici un risarcimento che e’ anzi tutto il riconoscimento di un percorso di giustizia delle vittime dell’amianto e delle loro famiglie”.

La sentenza è stata trasmessa in streaming sul sito della Provincia di Torino. I parenti delle vittime, la comunità di Casale Monferrato e diverse organizzazioni sindacali si sono comunque mobilitati in massa fin dalle prime ore della mattina. Si calcola che non siano state meno di mille le persone presenti. I primi ad arrivare sono stati quelli dei sindacati di base Cub, seguiti da una delegazione di svizzeri del Caova, da Losanna, un comitato di ”aiuto e orientamento delle vittime dell’amianto”. Alle recinzioni e’ stato affisso il primo striscione:”Schmidheiny, ti aspettiamo in Svizzera”.

Rappresentanza, lettera di Carlo Guglielmi al leader della Fiom Landini: “La battaglia per la democrazia è per tutti | Autore: fabio sebastiani da: controlacrisi.org

Caro Landini (…) l’unico limite che hai identificato è che il patto (sulla Rappresentanza, ndr) “non risolve il problema della Fiat”, ed è “proprio per questo necessario arrivare comunque ad una legge” che evidentemente speri possa ricalcare i medesimi contenuti dell’accordo. Inizia così la lunga lettera (testo completo) che Carlo Guglielmi, presidente del Forum Diritti Lavoro, indirizza al leader della Fiom sul giudizio, “positivo”, che questi ha dato dell’accordo tra sindacati confederali e Confindustria raggiunto pochi giorni fa. Questi i punti di critica elencati da Guglielmi.

 

 

         Il dato elettorale” nelle elezioni per le Rsu. In base all’accordo del 31 maggio nei posti di lavoro (di certo prevalenti) ove i lavoratori già oggi non votano per eleggere i propri rappresentanti si potrà procedere al “passaggio alle elezioni delle Rsu ….solo se definito unitariamente dalle federazioni aderenti alle Confederazioni firmatarie il presente accordo” con pesantissimo arretramento rispetto al protocollo del 1993 che prevedeva il potere di impulso a qualsiasi sindacato raccogliesse il 5% delle firme dei lavoratori e aderisse alle procedure elettorali di cui al protocollo stesso. Con il patto del 31 maggio il diritto di scelta dei propri rappresentati non è più neppure formalmente dei lavoratori ma diviene una facoltà di Cgil, Cisl e Uil azionabile discrezionalmente a seconda delle convenienze azienda per azienda. Insomma, quand’anche la Fiat rientrasse in Confindustria, comunque senza il consenso di Fim e Uilm e Federmeccanica i lavoratori non potrebbero votare.

 

         Ma addirittura stupefacente è la successiva previsione contenuta nell’accordo del 31 maggio per cui comunque – laddove le elezioni delle Rsu invece si terranno – ‘ai fini della misurazione del voto espresso da lavoratrici e lavoratori nella elezione della Rappresentanza Sindacale Unitaria varranno esclusivamente i voti assoluti espressi per ogni Organizzazione Sindacale aderente alle Confederazioni firmatarie della presente intesa’. Insomma – dato che tu stesso additi le regole dell’accordo di venerdì scorso “alla politica” come strumento per “risolve(re)…quella che è una crisi generale della rappresentanza” – è come se consigliassi all’omologo governo di larghe intese di fare una riforma elettorale che dica che il cittadino può scegliere il partito che vuole ma poi, per la distribuzione dei seggi in Parlamento, varranno esclusivamente le tessere e i voti espressi per i soli partiti aderenti alla maggioranza che sostiene il Governo Letta-Alfano, realizzando un sistema quanto meno”protetto” cioè autoritario.

 

         Alla domanda sui limiti dell’accordo, tu abbia del tutto omesso di riferire come per te (e per la tua organizzazione) sia almeno un “problema” il fatto che l’accordo del 31 maggio non solo prevede “l’impegno… a non promuovere iniziative di contrasto agli accordi” ma che ad esso si aggiunge il rinvio ai contratti di categoria per identificare “le conseguenze di eventuali inadempimenti”. E così il patto del 31 maggio ha fatto cadere persino la davvero minimale clausola di garanzia contenuta nell’accordo del 28 giugno 2011 che quanto meno imponeva che le sanzioni riguardassero “non i singoli lavoratori” avendo invece da oggi i contratti nazionali facoltà di colpirli qualora vogliano mettere in campo “iniziative di contrasto” (come subito rilevato dal vicepresidente di Confindustria Dolcetta sul Sole 24 ore del 2 giugno).

 

         Insomma forse per qualche giorno la tua personale credibilità e quella della tua organizzazione potranno impedire ai più di comprendere appieno i contenuti dell’accordo e quindi prendere per buona la tua affermazione per cui l’accordo del 31 maggio “riconosce il valore delle nostre lotte”. Ma il punto è che quando dici “nostre” non puoi fare riferimento solo al gruppo dirigente nazionale che ti sostiene e neppure alla sola Fiom ma lo devi fare al ben più ampio movimento di cittadini, studiosi, personalità pubbliche, associazioni, partiti e altri sindacati che con te si sono attivati e battuti. Ti ricordo allora che le “nostre” lotte non erano per sostituire la regola dell’art. 19 dello Statuto per cui può rappresentare i lavoratori solo chi firma il contratto con la nuova regola del 31 maggio per cui possono rappresentare i lavoratori solo Cgil Cisl e Uil. Le “nostre” lotte non erano solo per ottenere il doverosissimo reingresso della Fiom ai tavoli della contrattazione e nella pienezza dell’agibilità sindacale (trattenute, diritto di assemblea eccetera) in cambio della rinunzia al conflitto sindacale e giudiziario. Le “nostre” lotte erano per l’esatto contrario: un nuovo protagonismo conflittuale e democratico dei cittadini al lavoro.

 

        Credo quindi tu abbia oggi tre scelte davanti a te da prendere molto rapidamente. La prima è dire che il tuo giudizio positivo atteneva alla scelta di contare voti e tessere ma che non approverai mai nessun accordo e nessuna legge che non prevederanno il diritto universale dei lavoratori di votare e il corrispondente dovere di contare voti e tessere di tutti i lavoratori senza alcuno scambio con il diritto al conflitto, continuando così ad essere uno dei protagonisti assoluti della battaglia per la democrazia sul posto di lavoro. La seconda scelta è dire la verità sui disastrosi contenuti dell’accordo del 31 maggio e provare a spiegare la tua posizione per tentare di tenere unito un filo di confronto con i moltissimi che hanno guardato alla Fiom e a te personalmente con speranza e fiducia e che ora si sentono abbandonati e delusi. La terza scelta è continuare a sostenere che l’accordo del 31 maggio sia “positivo e importante… un passo avanti in materia …di democrazia nei luoghi di lavoro” da generalizzare per legge, diventando così tu di fatto un vero e proprio ostacolo (forse il maggiore) sulla strada della democrazia del lavoro in questo paese.