L’ex procuratore antimafia Grasso è il nuovo presidente del Senato da: controlacrisi.org

Piero Grasso, ex procuratore antimafia e candidato del Pd, è il nuovo presidente del Senato, grazie a 137 voti. Schifani, lo sfidante, ha ottenuto 117 voti.

Un applauso del centrosinistra in pieno spoglio si è levato per Pietro Grasso, che si è alzato in piedi per stringere le mani ai colleghi.

Stando ai numeri, una decina di voti sono stati espressi da senatori fuori dalla coalizione del centrosinistra, probabilmente si tratta di esponenti del M5S.

Il segretario del Pdl, Angelino Alfano, al termine del discorso di Boldrini alla Camera, aveva sottolineato: «La scelta del Pdl per Schifani alla presidenza del Senato è una risposta istituzionale, una scelta di chi ha già ben rappresentato le istituzioni. Se si vota Schifani, ci potrebbero essere delle chance perchè la legislatura prosegua, altrimenti possiamo precipitare verso le urne».

Siciliano di Licata, 67 anni, Piero Grasso è una delle figure più importanti della lotta alla mafia in Italia. Eletto senatore del Pd alle ultime elezioni, è stato procuratore capo di Palermo e dal 2005 procuratore generale antimafia. Amico di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, entra in magistratura il 5 novembre 1969. Prima nomina: pretore a Barrafranca (Enna) fino al settembre 1972, quando viene trasferito alla Procura di Palermo. Per 12 anni è sostituto procuratore e ha diretto indagini scottanti come quella sull’omicidio di Piersanti Mattarella.

Libri & Conflitti. Lo stralcio da L’ISOLA DEL SILENZIO, di Horacio Verbitsky. Il ruolo della chiesa nella dittatura argentina | Autore: Horacio Verbitsky da: controlacrisi.org

Libri & Conflitti. Buenos Aires, settembre 1979.
Prima dell’ispezione della Commissione interamericana per i diritti umani viene smantellato in poche ore il centro di detenzione clandestina per gli oppositori politici costituito all’interno della Scuola di Meccanica della Marina. Nella notte, tutti i detenuti sono trasferiti in un’isola dell’arcipelago del Tigre, fino ad allora utilizzata come luogo di riposo dal Cardinale di Buenos Aires. Ad accogliere i prigionieri un cartello: El Silencio. Nell’isola di El Silencio i detenuti saranno vittime di un misterioso programma di “disintossicazione e rieducazione”. Attraverso le agghiaccianti testimonianze dei sopravvissuti e dei parenti dei desaparecidos, Horacio Verbitsky – uno dei più autorevoli giornalisti argentini, impegnato a denunciare i crimini del regime militare – ricostruisce per la prima volta la storia di questo terribile campo di concentramento finora nascosto al mondo. Con una prosa avvincente, Verbitsky parte da El Silencio per svelare retroscena inediti del rapporto che ci fu negli anni della “guerra sporca” argentina tra il regime militare e le gerarchie ecclesiastiche. L’inchiesta, che ha suscitato enorme clamore in Argentina, incrocia alcune delle figure più importanti del Vaticano, dal nunzio apostolico Pio Laghi al cardinale Jorge Bergoglio, fino ad analizzare il ruolo di Papa Paolo VI. Dopo trent’anni dall’inizio della sanguinosa dittatura argentina e dopo aver raccolto nel libro Il volo la sconvolgente confessione di Adolfo Scilingo che eliminò numerosi oppositori politici lanciandoli in mare dagli aerei, Verbitsky ha firmato nel 2006 una nuova, coraggiosa e documentata inchiesta che ha gettato luce sull’assordante silenzio della Chiesa rispetto ad una delle pagine più drammatiche della storia del Novecento.

Il Cristo sei tu
Quella scena si svolse lunedì 16 aprile 1979, sei mesi prima che il novantenne agonizzante nella penombra finisse di morire. Il giovedì seguente Graciela Daleo arrivò all’Arcivescovato di Buenos Aires all’ora convenuta.
Sequestrata un anno e mezzo prima da un plotone della Marina in una stazione della metropolitana e condotta alla camera di tortura numero 13 della Scuola di meccanica della Marina, aveva superato le terribili prove alle quali fu sottoposta senza smarrire la fede.
“Sei nelle nostre mani. Se non parli ti mandiamo in cielo.7 Devi dirci chi sono i tuoi compagni”, le diceva il suo interrogatore, il
tenente di vascello Antonio Pernías. Mentre le applicava delle scariche elettriche a partire dalle caviglie insù fino al petto, continuava a porle domande sulla sua militanza politica e sulle sue abitudini sessuali. La donna gridava avemarie e questo mandava su tutte le furie il suo interrogatore. Ne capì il motivo quando vide che l’uomo portava al collo un crocefisso e una medaglietta della Vergine Miracolosa. Nelle due estremità della picana non si manifesta soltanto il peronismo.
Dopodiché la slegarono, la rivestirono, le ammanettarono le braccia dietro le spalle e le coprirono gli occhi con una mascherina nera.
La fecero salire su una macchina. Sentiva rumore di armi da fuoco.
Dopo aver girato un po’ la fecero scendere. L’interrogatore la infor
mò che a causa del suo rifiuto di denunciare i suoi compagni avevano deciso di fucilarla.
“Qual è il tuo ultimo desiderio?”, chiese.
“Che mi togli la benda. Voglio vedere come mi ammazzano.”
“Questo non è possibile. Dinne un altro”, insisté il tenente.
Spararono un colpo e qualcuno disse:
“Che mira pessima!”.
Tirarono la giacca della prigioniera e le ordinarono:
“Toglitela, la voglio per mia moglie”.
Dopo la fecero inginocchiare, le puntarono un’arma alla tempia e
spararono una seconda volta in aria. Ripeterono quella messinscena per tre volte.
Quello scontro in una camera di tortura della Scuola di meccanica della Marina tra la montonera che si rimetteva alla Vergine e l’onnipotente ufficiale di Marina con gli ornamenti della medesima fede testimonia di una profonda frattura nella Chiesa cattolica.
La Curia di Buenos Aires operò per decenni in quel vecchio edificio di calle Suipacha nel quale avrebbe visto per la seconda volta l’uomo che accudiva il moribondo.
Graciela Daleo oltrepassò il pesante portone di ferro scuro e si diresse verso la porta laterale, sotto una galleria di colonne e piastrelle a scacchi. Prima di trovare la porta fu colta di sorpresa da una voce alle sue spalle. Proveniva da un’automobile ferma sotto le alte palme del giardino, quelle rare palme che ancora fioriscono nel cemento di Buenos Aires. Il monsignore dalla capigliatura rada la invitò a salire nella vettura. Lo raggiunse. Le disse che era al corrente di quanto accadeva nel luogo da cui lei
veniva e che ave va aiutato molta gente a uscire dal paese. Aprì il passa p o rto che la donna gli porgeva e osservò la fotografia. Quindi controllò il biglietto aereo. C’era scritto il nome della donna, il numero e l’ora del vo l o. Si accertò che non mancasse nulla e li tenne con sé:
“So molte cose”, disse.
“E allora perché non le denuncia?”, si avventurò a domandare la
donna.
“Se parlassi sarei costretto a lasciare il paese e non potrei farti avere il visto.”
“Non sono disposta a barattare il visto con la vita di tanta gente.”
L’uomo sorrise, non rispose e si limitò a porgerle un crocifisso.
“Il Cristo sei tu”, le disse.
Le impartì la confessione all’interno dell’auto e ripeté la domanda che lo ossessionava:
“Violentano le donne, in quel posto?”.
Lei accennò un gesto di fastidio. L’uomo insisté:
“Ti hanno violentato?”.
La donna scese dalla macchina. Il sacerdote la osservò con ansia mentre si allontanava. La donna si diresse verso la strada, dove l’aspettava l’uomo più giovane che l’aveva condotta lì e che le aveva consegnato il biglietto aereo.
Il suo nome era Jorge Perren ma lo chiamavano Octavio,Morris o Puma. Era uno dei membri del reparto speciale della ESMA, nella
cui sordida soffitta la donna aveva vissuto un anno e mezzo in compagnia di altre centinaia di prigionieri, prima incatenati al pavimento con gli occhi bendati, poi costretti a lavorare, in cambio della vita, per il progetto politico del comandante in capo della Marina, l’ammiraglio Emilio Massera, che sognava di diventare un nuovo Perón.
Il giorno seguente, il 20 aprile 1979, Graciela Daleo si imbarcò su un volo diretto in Venezuela. All’arrivo a Caracas, presentò il visto
procuratole dall’uomo calvo col riporto, monsignor Emilio Teodoro Grasselli, segretario particolare dell’ex Arcivescovo di Buenos Aires, ex Vicario castrense ed ex Primate argentino, il dottor professor cardinale Antonio Caggiano, figura chiave della Chiesa cattolica apo stolica romana in Argentina per tutto il cinquantennio precedente, agonizzante nell’oscurità.

Collana: Documenti
Pagine: 177
Prezzo: € 15
Isbn: 9-788860-440044

Ribadire i diritti sessuali per fermare ogni violenza Fonte: il manifesto | Autore: Raffaele K. Salinari *

Non sappiamo ancora quale sarà la posizione di Francesco I nei confronti del mondo femminile; se oltre al nome che ha scelto cioè, ricorderà l’atteggiamento di san Francesco, che mostrò verso le donne nella relazione con Chiara Scifi che prese l’abito monacale e fondò l’ordine femminile delle Clarisse. San Francesco metteva sullo stesso piano «fratello sole e sorella luna» e per lui l’acqua, entità femminile, era fonte di ispirazione divina.
Le resistenze della gerarchia vaticana nei confronti dei diritti sessuali e riproduttivi delle donne, si sono espresse anche in occasione di questa Csw57 (Commissione sullo Stato delle Donne) conclusa ieri all’Onu, e sembrano per ora smentire l’ispirazione di cui il nuovo pontefice vorrebbe essere l’erede. La posizione della Santa Sede non è isolata: un nutrito gruppo di Paesi africani hanno cercato di condizionare sino all’ultimo il fattivo rispetto dei diritti sessuali e riproduttivi delle bambine, come originariamente proposti nel testo della risoluzione finale. Cosa diceva il paragrafo in questione: «Promuovere e proteggere i diritti umani di ogni donna e bambina, inclusi i diritti di avere il controllo e decidere liberamente e responsabilmente sulle questioni relative alla loro sessualità libere da costrizioni, discriminazioni, violenza, il diritto ai più alti standard sanitari inclusa la salute sessuale e riproduttiva ed i diritti riproduttività».
Evidentemente la questione è: come fare perché ogni donna al mondo possa decidere in modo consapevole e liberamente della propria sessualità? Questa, assieme alla possibilità di diventare madre senza imposizioni, è la posta in gioco, che implica la possibilità della contraccezione o dell’aborto, o ancora il rifiuto dei matrimoni precoci o combinati; tutte pratiche inaccettabili per il Vaticano e per molti altri Paesi equamente distribuiti tra i cinque continenti e di diversa sensibilità religiosa. Gli integralismi, infatti, non appartengono solo ad una parte. L’affermazione dei diritti sessuali e riproduttivi è il fulcro per un’evoluzione positiva delle dinamiche di genere, in quanto si tratta di diritti umani fondamentali, a partire dal non subire violenze, come nel caso delle mutilazioni genitali femminili (Mgf), ancora tragica realtà per molte ragazze africane.
Ora la questione che si dibattuta sino alla ultime ore della Conferenza è stata: si possono sconfiggere queste pratiche senza includerle nell’affermazione dei diritti sessuali e riproduttivi? L’opinione delle Ong per i diritti umani e dei bambini, come Terre des Hommes che ha presentato una sua posizione al riguardo, è che senza una vera e ferma affermazione dei diritti sessuali e riproduttivi delle bambine non si potrà arrivare a eliminare la violenza contro le bambine. Sulla base di questo principio e richiamando fortemente le acquisizioni della Conferenza di Pechino, i Paesi europei e gli Stati uniti, hanno infine proposto una mediazione per cui nella Dichiarazione finale si legano i diritti sessuali e riproduttivi proprio all’eliminazione della violenza sulle donne: «La Commissione riconosce che la violenza contro le donne ha conseguenze sia di breve che di lungo termine sulla loro salute, inclusa la salute sessuale e riproduttiva e la fruizione dei diritti umani fondamentali, e che il rispetto, la promozione della salute sessuale e riproduttiva come anche la protezione e il compimento dei diritti riproduttivi sanciti dal Piano d’azione della Conferenza sulla popolazione e lo sviluppo di Pechino, sono condizioni necessarie per ottenere la parità di genere e mettere in condizioni le donne per poter usufruire di tutti i loro diritti e delle libertà fondamentali, nonché per prevenire e mitigare ogni forma di violenza». C
iò significa che si è dovuti partire dalla lotta alla violenza per affermare dei diritti e non il contrario. Un passo di mediazione dunque, che però riafferma il rapporto tra sessualità liberamente scelta e contrasto alle violenze. Un supporto importante anche per le associazioni che ai vari livelli nazionali chiederanno il rispetto di queste posizioni.
* Presidente Terre des Hommes

La donna politicamente più potente del mondo | Fonte: il manifesto | Autore: Simone Pieranni

NUOVO GOVERNO CINESE · Liu Yandong vice premier
L’età media è sui 65 anni circa: la Cina con il nuovo governo sembra andare sul sicuro. Si tratta di persone con esperienza sia nei compiti che dovranno svolgere, sia nell’ambito delle lotte interne del Partito. D’altro canto il ricambio decennale di fatto non è avvenuto: nell’ultimo congresso del Partito, nel novembre scorso, sono stati nominati i sette nuovi timonieri, cinque dei quali però al prossimo congresso andranno in pensioni per limiti di età. Si tratta quindi di un ricambio molto graduale, in attesa che la «sesta generazione» possa dimostrare sul campo la propria efficienza. Innanzitutto: con le nuove nomine stabilite dalla coppia Xi JinpingLi Keqiang una donna arriva forse nella posizione politica più alta del pianeta.
Si tratta di Liu Yandong 67 anni, nominata come vice premier (in Cina sono quattro). Liu respira grande politica da tempo: il padre aveva connessioni importanti con Jiang Zemin, lei ha studiato alla Tsinghua – ingegneria chimica – nella stessa facoltà dell’attuale premier Xi Jinping ed è considerata una protetta di Hu Jintao, tanto che prima del 18mo congresso era data come quasi certa tra i sette più potenti. Nomina sfumata, cui è seguito un ruolo importante, considerando che tra i venticinque membri del Comitato permanente del Partito c’è solo un’altra donna, Sun Chunlan.
Un’altra, Li Bin – come anticipato dal manifesto nei giorni scorsi ha ottenuto l’importante ministero della Salute. Un ufficio che nell’ambito del rimpasto generale diventa la «Commissione per la salute e la pianificazione familiare». Toccherà a lei provare a riformare la legge del figlio unico che proprio in questi giorni è tornata di attualità. Secondo dati ufficiali infatti, dal 1971 a oggi sarebbero stati 336 milioni gli aborti in Cina. La legge potrebbe essere riformata ma non cancellata. Sempre nell’ambito dei vice premier altre novità importanti. Si dirà nei prossimi giorni di un governo conservatore per curriculum e fedeltà alla linea. Però tra i vice premier è finito anche Wang Yang, il più giovane, 58 anni. L’ex governatore del Guangdong, protagonista del «capolavoro di Wukan» quando scelse il dialogo anziché lo scontro con i rivoltosi, è considerato uno dei più liberali e più attenti alla società civile tra i nuovi funzionari cinesi. Il terzo vice premier è Zhang Gaoli, già membro del comitato permanente del Politburo, ex capo di Partito di Tianjin, una metropoli a mezz’ora da Pechino che ha visto un boom finanziario impressionante negli ultimi anni.
Infine, altro vice premier, lo shanghaiese Ma Kai, già responsabile della Commissione nazionale per le riforme. Novità anche sul fronte degli Esteri, con la decisione di affidarsi a persone in confidenza con quanto dovranno occuparsi e con rilevanti esperienze internazionali. Innanzitutto l’ex ministro degli Esteri, Yang Jiechi è promosso consigliere di stato. Laureato alla London School o f Economics era stato anche ambasciatore negli Usa durante il primo mandato di George W. Bush. Al suo posto è stato nominato Wang Yi, 59 anni. Wang ha esperienza come ambasciatore in Giappone, è stato il funzionario incaricato di gestire i dialoghi a sei sugli armamenti nucleari nord coreani, è stato direttore dell’Ufficio che si occupa dei rapporti con Taiwan.
La sua nomina evidenzia le priorità di Pechino: sistemare le contese con i vicini e riportare la Corea del Nord sotto controllo, per la stabilità nell’area. Infine alcune conferme e novità importanti sul fronte finanziario. Zhou Xiaochan rimane a capo della Banca centrale cinese, sintomo della volontà di Pechino di rendere via via lo yuan più flessibile. Lou Jiwei invece, l’uomo più desiderato d’Europa e non solo, in quanto a capo del gigantesco fondo sovrano cinese China Investment Corp., è il neo ministro delle finanze (prima era il vice). Dovrà rendere la Cina un paese finanziariamente appetibile per i soldi europei e statunitensi, con i quali Pechino, forse, sta pensando di pagarsi il suo futuro sviluppo, evitando le crisi finanziarie che hanno messo al tappeto l’altra parte del mondo.

Il “Gay Pride” quest’anno si terrà il 23 giugno a Palermo | Autore: fabrizio salvatori da: controlacrisi.org da: controlacrisi.org

Il “Pride” nazionale, ovvero la festa-kermesse di tutte le diversità, si terrà quest’anno a Palermo. Il prossimo 23 giugno il capoluogo siciliano sarà il teatro principale della manifestazione dedicata all’orgoglio e alla rivendicazione dei diritti non solo legati agli omosessuali, ma a tutti coloro che orgogliosamente rivendicano la propria diversità.
Madrina della manifestazione Mariagrazia Cucinotta, che ha colto l’occasione per ribadire il suo essere a favore delle adozioni da parte di coppie omosessuali. “Sono stata 10 anni in America dove i miei migliori amici gay erano papà e mamme fantastiche – ha detto l’attrice messinese -. L’amore non dipende da con chi vai a letto, va al di là. Un figlio lo ami se sei gay o non sei gay, e questo non condiziona nulla. L’importante è che il bambino sia amato”.
A volere fortemente lo svolgimento del Pride nazionale a Palermo anche l’amministrazione comunale del capoluogo siciliano guidata dal sindaco Leoluca Orlando:”Ci candidiamo ad essere capitale europea della cultura – ha detto il primo cittadino -, e questo è un contributo perché Palermo venga riconosciuta per quello che è, una capitare che riconosce i diritti di ognuno senza se e senza ma”.Orlando poi, tornando sull’aggressione verbale subita da due medici omosessuali da parte dell’impiegata di una banca di Palermo, ha detto: “Il comportamento di singoli non può certamente sfregiare l’immagine di una città che non vuole essere soltanto una città che accoglie e tollera, ma vuole essere una città nella quale si possa essere diversi e uguali”.
Ma il Pride di Palermo, il più a Sud d’Europa, non sarà solo la coloratissima sfilata che animerà le vie del capoluogo siciliano, come accaduto già negli anni scorsi. Tra il 14 e il 23 giugno, infatti, la città sarà polo culturale e di riflessione con incontri e dibattiti sull’uguaglianza, e sul riconoscimento dei diritti delle minoranze; nel ricordo di quanti hanno lottato, a volte fino alla morte, per affermare il proprio diritto al rispetto.

Grillo incastrato nell’antipolitica, ma la gente vuole risposte alla crisi Autore: fabio sebastiani da: controlacrisi.org

Grillo minaccia sfaceli all’interno della sua organizzazione contro chi ha “tradito” (ma che brutta parola quando si parla di politica!) l’M5S nel voto per decidere il presidente del Senato. Che ci piaccia o no, il “tradimento” è una delle categorie della politica. E chi ha messo nell’urna il suo voto a Pietro Grasso sapeva di non rispettare una delle regole dei grillini. E quindi ne deve trarre le “immediate conseguenze”. Si può discutere sul grado di “pena”, decisione che resta pericolosamente in mano al capo supremo; ma di questo stiamo parlando. Il punto non è quindi l’irascibilità di Grillo.

Il punto è interrogarsi sul tasso di democraticità di questa organizzazione politica e su che relazione ci sia tra il modello che propongono e la battaglia per una vera democrazia nel Bel Paese.

Ma davvero Grillo e Casaleggio pensano di governare questa fase politica a colpi di urla e minacce di abbandono? Vista l’età, che così dignitosamente portano, è più facile che prima gli arrivi il coccolone. Intanto, chi sta pagando questa crisi non vede l’alba.

Torna centrale una contraddizione ben presente ai commentatori e agli osservatori politici fin dalle prime battute dell’esordio politico dell’M5S: la battaglia contro la casta non è la battaglia contro la politica. E questo perché la politica ha un luogo suo esclusivo. Insomma, la battaglia contro gli interessi in politica non è la battaglia contro la mediazione degli interessi in politica. Si può discutere su quanto questa mediazione sia andata oltre in Italia, finendo per diventare la mediazione degli interessi nella casta della politica alimentata da una macchina del consenso di fatto sterilizzata da qualsiasi modificazione possibile, ma non si può annientare con un colpo di spugna la specificità della politica. E in politica bisogna dichiarare i propri interessi. E su questi scegliere una strategia. Tutto questo Grillo sembra non avercelo presente. Quindi, delle due l’una: o crede ancora che il suo “sfascismo” possa dare altro consenso, tale da avvicinarlo a quel 100% da lui indicato come obiettivo a breve, oppure ha in testa un modello “fascista” in cui non può esserci mediazione politica e tutto è nelle mani del capo, o delle cosiddette regole: la differenza è irrilevante. Si potrebbe dire che questo è il difetto dei neo-peronismi televisivi, ma non si andrebbe molto lontano. Il punto, osservato da sinistra, ha molto a che vedere con l’origine del movimento dei grillini, così lontani dalle lotte, così trasversali e quindi per niente legati ad una piattaforma politica definita. E’ lì il vulnus dell’azzeramento del tasso di democrazia dell’M5S. La presenza in Parlamento di ogni singolo deputato dell’M5S ha ben poco a che vedere con la procedura democratica, sebbene ammantata dal voto on line e mascherate del genere. Somiglia molto a una cooptazione. E sotto questo profilo non ci sono grandi differenze con il partito di Silvio Berlusconi, che divide con Grillo e Casaleggio la stessa origine massmediatica.

Come in altre fasi della storia italiana, ciò che ha portato sulla scena politica una formazione che si professa “palingenetica” è stato più che altro un “casus belli” e non una piattaforma programmatica. Grillo, da questo punto di vista, comincia da un “punto” che dire arretrato e provvisorio è davvero poco. E se la gestione è questa, i problemi non mancheranno.

E’ il momento della verità per l’M5S. E altri ne verranno. Affrontarla con urla e minacce o, peggio ancora, con i soliti anatemi contro la stampa, che sinceramente lasciano un po’ il tempo che trovano, non serve a niente. Grillo dovrebbe passare dal casus belli al programma politico e quindi alla politica. I suoi deputati dovrebbero rappresentare la loro storia di battaglia politica dai territori di provenienza, se ce l’hanno, e non comportarsi da ragionieri o, peggio ancora, da membri di un club esclusivo.

Uno dei segni più evidenti del voto di febbraio è stato il rifiuto dell’austerity. Questo Grillo non lo può negare. A lui la scelta se rappresentare il voto o la stretta cerchia del suo movimento. Sarebbe già una risposta importante. La crisi non aspetta. E chi la sta pagando meno che mai. Il resto sono i soliti numeri da circo. E se è questo allora possiamo dire che, caro Grillo, non è cambiato davvero niente.