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AUGURI DI BUONE FESTE dall’ANPI CATANIA
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Storie – Il «marrano» che finì ad Auschwitz di Mario Avagliano da:Stori@ – il blog di Mario Avagliano
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La galera di Daymani Barla Fonte: il manifesto | Autore: Marina Forti
Alla fine degli anni ’90 è tornata nel suo distretto per partecipare alla battaglia contro il progetto di due dighe sui fiumi Koel e Karo, che avrebbe sommerso decine di villaggi e cancellato la sopravvivenza di migliaia di persone: la rivolta contro il Koel Karo Project ha avuto molta risonanza perché è stato uno dei primi movimenti di massa che portavano alla ribalta la questione degli sfollati ambientali in questa zona dell’India – e anche perché è stato vittorioso, dato che il progetto è stato poi sospeso. Dayamani Barla ne fu protagonista e da allora è riconosciuta come una leader popolare. Nel 2005è stata protagonista di un altro movimento, quello contro una grande acciaieria progettata da Arcelor-Mittal (12mila acri di terra, 70mila persone da 45 villaggi destinate a sfollare). Nel frattempo ha sempre continuato a scrivere, ormai guardata con attenzione anche dai media nazionali in inglese. Ma ha continuato a vivere con una minuscola rivendita popolare di tè, acquistata vent’anni fa con i primi guadagni : «Per essere indipendente», mi aveva spiegato, seduta a un tavolo del suo tea shop (ora gestito dal marito Nelson). «Certo che vogliamo lo sviluppo», diceva: «Ma vogliamo che sia per tutti. Quanta gente è stata costretta a sfollare in nome dello sviluppo, dall’indipendenza a oggi?» Non si tratta solo di risarcimenti e soldi, spiegava, perché gli sfollati restano senza terra, inserimento sociale, cultura, legami. Dal carcere ha scritto ai suoi compagni di battaglia che non si arrenderà: «Protestare negli interessi e per i diritti della nostra gente è nostra responsabilità».
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Amnesty Migranti nei campi, il Paese degli abusi- Fonte: Francesco Bravi- il manifesto
Le conclusioni cui arriva lo studio derivano da due missioni di ricerca, condotte nel febbraio 2012 a Milano, Roma e Rosarno, e, tra giugno e luglio 2012, di nuovo a Roma e nell’area di Latina e di Caserta. Ricognizioni sul territorio nel corso delle quali i delegati di Amnesty hanno realizzato interviste e incontri con gli stessi lavoratori, con alcune organizzazioni non governative e altre organizzazioni della società civile, sindacati e accademici, oltre a interpellare rappresentanti della Direzione nazionale antimafia e delle questure.
I numeri ufficiali sulla presenza e le ore lavorate dalla manodopera migrante in queste zone sono già di per sé elevati: a Latina, ad esempio, uno su tre fra questi lavoratori agricoli è nato all’estero; mentre nell’area di Caserta la popolazione migrante conta circa 23.000 persone, ossia il 2,5% del totale, per gran parte impiegata nella raccolta di pomodori e frutta. Nel 2010, e quindi ancora due anni fa, sempre secondo stime ufficiali, l’incidenza del lavoro migrante nel settore primario era tale da riempire il 23,6 delle giornate lavorative. Si sa però che oltre le statistiche degli istituti si apre la voragine del sommerso. Così, nell’area della città laziale, secondo Giovanni Gioia della Flai-Cgil locale, i lavoratori agricoli immigrati arriverebbero all’80%, mentre a Castel Volturno, in Campania, a fronte dei 2900 censiti, i braccianti nati all’estero raggiungerebbero i 7000. Una popolazione itinerante che, almeno nel nel secondo caso, si sposta secondo le stagioni di raccolta in altre parti d’Italia.
Il contratto provinciale concluso tra sindacati e organizzazioni degli imprenditori agricoli prevederebbe, nella zona di Latina, 6,5 ore di lavoro al giorno, sei giorni alla settimana, per un salario orario lordo di 8,26 euro. Quando però Amnesty International ha visitato l’area, nel giugno 2012, molti braccianti agricoli indiani (che là sono numerosi, circa 7000) lavoravano 9-10 ore al giorno dal lunedì al sabato e poi mezza giornata la domenica mattina, per circa 3-3,50 euro l’ora. Lo stesso accade a Caserta, dove la paga minima, contrattata fra le parti sociali, dovrebbe essere di 5,70 euro l’ora. Anche qui infatti le regole non valgono, e i lavoratori che nelle prime ore del mattino fanno la ressa nelle rotonde e nelle piazze per essere arruolati a giornata, si ritrovano a disputarsi una «paga standard di 20-30 euro, cioè non più di 3,75 euro l’ora».
La politica migratoria italiana fa poi la sua parte, in negativo. Per Amnesty, il cosiddetto «decreto flussi» non riduce ma aumenta il rischio di sfruttamento a cui sono esposti i lavoratori immigrati.
Oltre alla sistematica sottostima della domanda reale di lavoro migrante operata con le quote d’ingresso, senza la cooperazione dei datori di lavoro essi non possono nemmeno fare domanda per un permesso di soggiorno.
Se si aggiungono i nove mesi che le lungaggini burocratiche impongono per il rilascio di un «nulla osta al lavoro», si vede come la pretesa che i lavoratori migranti siano reclutati ancora nel loro paese d’origine sia piuttosto discutibile. Soprattutto, i permessi di soggiorno per lavoro subordinato o stagionale non possono per legge essere rilasciati a lavoratori immigrati che si trovino già in Italia irregolarmente. Risultato? I lavoratori migranti irregolari non hanno altra scelta se non lavorare nell’economia informale.
Infine, il rapporto di Amnesty solleva la questione dell’accesso alla giustizia per le «vittime di sfruttamento lavorativo». Se la clandestinità è un reato è impossibile per un lavoratore «clandestino» denunciare soprusi a un pubblico ufficiale.
La cosiddetta «legge Rosarno» del luglio di quest’anno, non basta a migliorare le cose. Per i lavoratori soggetti a «particolare sfruttamento», essa prevede infatti il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari, che però comporta la denuncia da parte loro del datore di lavoro e la cooperazione al procedimento penale: ma quante di queste vittime potrebbero non avere i requisiti per ottenere il permesso di soggiorno e, di conseguenza, non essere in grado di rimanere nel paese per fare uso dei ricorsi disponibili?
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CALABRIA È emergenza, a furia di sgomberi-fonte:il manifesto-autore:Silvio Messinetti
CATANZARO. La fotografia devastante che ha fornito Amnesty International nel dossier sullo sfruttamento dei lavoratori migranti nel settore agricolo trova una drammatica conferma dalla cronaca di queste ore. In Calabria è emergenza immigrazione. Dallo Jonio al Tirreno. Qualche giorno fa i carabinieri avevano sgomberato sulla spiaggia di Schiavonea, la marineria di Corigliano, una tendopoli divenuta una cittadella della disperazione migrante, un luogo simbolo dell’emarginazione e del degrado, un’istantanea di miseria, di ricoveri e tende di fortuna create sulla battigia del lungomare, prive di servizi ed esposti alle intemperie, ricavate con l’utilizzo di lamiere e teli. A 14 immigrati, privi di permesso di soggiorno, i carabinieri hanno notificato l’ordine di espulsione, mentre altri 17 sono stati denunciati. Vivevano come bestie, lavoravano da schiavi e sono stati pure espulsi. Nel mentre qualche centinaio di chilometri più a sud a San Ferdinando, a due passi da Rosarno, nella piana di Gioia Tauro, il sindaco, Domenico Madafferi, emetteva un’ordinanza di sgombero della megatendopoli per immigrati «e di quanto intorno ad essa abusivamente realizzato». La decisione fa seguito alla relazione sanitaria che aveva parlato di «condizioni igienico-sanitarie inesistenti». Una tendopoli di mille persone a fronte di una capienza di appena 200. «Sono solo – ha detto il sindaco – a gestire questa vera e propria emergenza. Ditemi voi come può un paese di 4 mila abitanti, uscito da poco da due gestioni commissariali per infiltrazioni mafiose, e con un solo vigile urbano in servizio, gestire una situazione del genere». Un grido d’allarme, una provocazione forte, un disperato sos di fronte ad uno Stato assente, a un ministro renitente, Riccardi, che dovrebbe prender atto del fallimento che si è rivelato il neonato dicastero dell’Immigrazione da lui presieduto. Al disagio dei migranti si somma infatti la lentezza degli interventi istituzionali. «Ho scritto al presidente della Repubblica, al ministro Cancellieri, al ministro Riccardi, al presidente del consiglio regionale della Calabria che è la massima autorità elettiva della Regione, al presidente Scopelliti. Se non rispondono loro, se il problema non è loro, come può un comune di 4000 abitanti sostenere la pressione di mille immigrati? È pazzesco» si è sfogato il sindaco. La situazione nella Piana è poi aggravata dalla mancanza di lavoro: molti degli immigrati che provengono in gran parte dall’Africa subsahariana non riescono a trovare occupazione nella raccolta degli agrumi per la crisi nel settore (domani pubblicheremo un reportage dalla Piana). Attorno alla tendopoli sono sorte altre 120 baracche. Ma il dramma più cogente è soprattutto di natura igienico-sanitaria in quanto il sovrannumero degli immigrati, i rifiuti maleodoranti, la mancanza di servizi igienici, le dimore abusive senza le condizioni minime di vivibilità, potrebbero essere focolaio di infezioni e sedi di animali. Un film già visto. A Rosarno, tre anni fa
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Bella Ciao dopo La Santa Messa per il 42 anniversario della comunità di San Benedetto 8 dicembre 2012
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